CHE C’È IN ALASKA?


venerdì 30 settembre 2016
    

Era in ritardo di mezz’ora e Bart era in pensiero.

Bart aveva ricevuto da un periodico italiano l’incarico di scrivere qualcosa sulla caccia al procione e questo incarico per Bart era molto importante.

Poco prima delle sei dalla finestra lo vide arrivare, fermare la macchina davanti a casa e attendere senza spengere il motore.

Sam era di media statura, baffetti, occhiali, viso tondo ma lineamenti forti e, come redattore sportivo del New Sentinel, la tintarella di chi trascorre molto tempo outdoors.

Quando Bart entrò in macchina Sam teneva gli occhiali tra le dita sfregandoli col fazzoletto, si scusò per il ritardo e innescò la marcia.

Imboccarono la Statale 75.

-Andiamo al Watts Bar Lake, fece Sam dopo qualche minuto.

Bart non sapeva dove si trovasse il lago.

-Oltre Loudon, imbocchiamo la 72…16 miglia e siamo lì. Quelli del Blue Spring Dock sono amici miei, i Bukinsky…e Ray Harper… Ray è il migliore, disse, ci sarà anche lui.

Fin dal mattino la giornata era stata magnifica.

-Stanotte farà un bel freddo, fece Sam accennando un sorriso.

Arrivarono alla baita un’ora e mezzo dopo. Già da un bel po’ si era fatto buio, una notte piena di stelle e l’aria pungeva. Da nord il venticello increspava l’acqua del lago.

La baita era un drugstore combinato a caffettería ed era conosciuta a ogni pescatore e cacciatore della contea. Ebbero appena il tempo di sedersi che Carole Bukinski mise sul tavolo caffè caldo e due pezzi di torta. Sam e Carole si conoscevano da tempo. Da sei anni Sam veniva al Blue Spring Dock dei Bukinsky. Poco dopo venne Ray e anche a lui fu servito caffé fumante e un bel pezzo di torta di prugne. Ray, che era il più esperto, il più anziano, decise che avrebbero dovuto muoversi verso le nove.  A Bart che chiese perché cosí tardi Sam spiegò che occorreva dare tempo al coon di lasciare tracce. Poi Ray uscì e rientrò con Liz, una femmina black and tan tutt’ossi e segnata da una batteria di cicatrici sul petto e sul muso. Bart vide che mancavano pure dei pezzetti dalle lunghe e moscie orecchie.

-È giovane ma coraggiosa, fece Ray dandole un buffetto affettuoso sulla testa.

Aspettando l’ora convenuta si misero a parlare di cani e di racoon così Carole arrivò con altro caffè e ancora tre pezzi di torta. 

-E questo lo offriamo noi, disse facendo posto a tre bicchierini e lasciando che la bottiglia di moonshine li riempisse fino all’orlo.

Fu una buona caccia.

Prua in direzione nord-ovest e circa due miglia più tardi sbarcarono in un punto della sponda opposta.  Quando saltò dalla barca Liz tremava come una foglia. La cagna fiutò subito una traccia e i tre presero ad andargli dietro correndo. Si addentrarono nel bosco facendosi luce con grosse pile. Ray teneva l’arma, un vecchio calibro .22. Dopo circa un’ora di inseguimento Liz riuscì ad "alberare" la preda. Ray prese la mira mentre Bart e Sam puntavano i raggi di luce sui rami alti.

Quando cadde a terra videro che era un opossum.

Lo lasciarono tra le radici coperto di foglie. 

Finalmente verso l’una di notte Liz annusò un’altra traccia. Forse era quella giusta. Ancora una volta dopo un lunghissimo inseguimento Liz "alberó" la preda. Ancora una volta Ray prese la mira mentre Bart e Sam illuminavano e questa volta l’animale che cadde a terra era un procione. Ray con fatica sollevandolo da terra disse che pesava almeno dieci chili. È un racoon femmina, fece Ray, forse a caccia per sfamare i piccoli.

In macchina Bart ritornò sugli appunti presi durante la notte.  Sam Venable usando il flash aveva preso una mezza dozzina di fotografie. Già vedeva il titolo: Caccia al Procione in Tennessee, si disse. Si può andare, è un buon titolo, si disse.

 La mattina di tre giorni dopo Bart si era alzato molto presto. Dopo aver guardato per la decima volta le quattro fotografie lasciate da Sam si mise alla macchina da scrivere.

Scrisse senza interruzioni per alcune ore. Fece una pausa a mezzogiorno per due chiacchere con Rita e Louis. Sulla veranda c’era un grosso cane dal pelo lungo e una ragazza con una espressione seria in viso.

-Chi è quella lì fuori? -

Rita era occupata con la macchina da cucire.

-Una mia amica dal tempo dell’università, vive a Fairbanks, Alaska, fece Rita.

-Oilà, Alaska! -fece Bart impressionato, -hai un po’ di caffè? sono rimasto senza.

-C’è del tè freddo in frigorifero, serviti.

Bart se ne riempí un bel bicchiere e uscì sulla veranda.

-Salve, sono Bart, disse sedendosi vicino alla ragazza, -ho sentito che vieni dall’Alaska, sei là da molto?
Senza rispondere lei girò la testa e lo guardò. Gli occhi grigi, il viso lungo e guance arrossate da intemperie artiche.

-Cinque anni, disse infine.

 Il nome era Sara. Sara era una ragazza taciturna. Non domandava ma rispondeva a quelle che Bart le rivolgeva, risposte pensate, abbassando gli occhi, o guardando un punto indefinito nel mezzo della strada. Indossava un pesante giaccone, grossi scarponi e calzettoni tirati sopra i jeans. Il cane, che sembrava un autentico lupo, se ne stava lì accucciato e con gli occhi non la lasciava un istante.

-E che c’è in Alaska? -buttò lì Bart con il bicchiere tra le mani e dondolando leggermente il busto avanti e indietro.

-Che c’è in Alaska… fece Sara guardando la strada. Poi occhiandolo di traverso disse, -È più tranquillo, si respira il silenzio…la gente è più naturale, meno sofisticata…sono abituati ad ascoltare più che a parlare.

A Bart piacque quel “si respira il silenzio”. -Sì, un giorno andrò anch’io in Alaska…o Oregon, disse sicuro Bart.

- Là è un altro mondo…sono a Knoxville per salutare i miei e questa volta credevo proprio che sarei riuscita a rimanere, ma non funziona…Voglio tornare là. Parto oggi.

Sara sentiva la mancanza della grande natura, degli orsi, dei cervi, dell’ululato dei lupi, dei grandi ghiacciai.

Disse Bart, -Ho sentito dire che è difficile trovare lavoro.

-...e pure trovare un appartamento non è facile - fece Sara, ma come parlando a sé stessa.

Bart l’ascoltava fissando il bicchiere ora vuoto. D’improvviso si alzò e andò in cucina, sciacquò il bicchiere e ringraziò Rita con un bacetto sulla guancia. Quando uscì sulla veranda Sara e il suo lupo se ne stavano andando giù per Clinch Av. Li guardò allontanarsi deluso e dispiaciuto. Voleva che lei si voltasse per salutarlo. Avrebbe voluto parlare più a lungo con Sara, chiederle perché sentiva così tanta voglia di tornare in Alaska, sapere chi era. Rimase lì finché scomparvero oltre la cunetta, poi con un’alzata di spalle se ne tornò nel suo appartamento che divideva con Judy.

Judy, sorella piú giovane di Rita, era appena tornata dall’università e stava preparandosi il pranzo. Era un pranzo rigoroso. Judy era molto pignola quando contava le calorie delle diverse pietanze. Era una ardente sostenitrice di Weight Watcher. Judy non avrebbe ingerito un bicchier d’acqua senza l’approvazione di "W.W.".

-Che succede, ora ti sei messo a fare lo scrittore sul serio? disse Judy con aria divertita indicando i fogli sparsi sullo scaffale e attaccati alla parete con spilli.

-ridi, ridi pure, ma vedrai che roba!

-che scrivi?

-sulla caccia al procione.

-non capisco come fate a uccidere animali cosí graziosi…vuoi mangiare qualcosa?

-quella roba lì? fece Bart torcendo la bocca mentre dallo scaffale arraffava un piatto.

Mangiarono in piedi, in cucina, sorseggiando latte sgrassato.

-Stasera vado al Regent! -disse Judy.

-hai ricevuto un’eredità?

-mi ha invitata Tom Mc Cord, lo conosci?

-il professore di Fisica?

-è già un po’ di tempo che mi sta dietro.

-non è troppo vecchio per te?

-mica tanto, e poi ha un sacco di soldi, vedessi che macchina!

-... buon divertimento!

Mentre guardava Judy farsi bella per uscire con la volpe Mc Cord Bart pensava a Sara e al suo lupo.

Rimasto solo cominciò a battere sui tasti. Più tardi fece una pausa per ripensare il titolo del pezzo che aveva appena terminato. Lo avrebbe chiamato "La notte che un opossum fu ucciso per sbaglio”.

 

 

Mauro Luppichini
 


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