Ormai da tempo ci siamo abituati a considerare la caccia come il semplice esercizio di una passione. Praticandola, se ne può anche apprezzare il ricco bagaglio di significati e le motivazioni culturali che la mobilitano, ma l'intento resta comunque quello di soddisfare un desiderio personale, senza motivi di necessità.
Nell'era informatica, ovviamente, non c'è più nessuno che vive di caccia. E in proposito esiste un bellissimo aneddoto, riportato da Francesco Pestellini (giornalista, scrittore, storico e “cantore” della Maremma), nel suo “Meglio un ciuco vivo...”, un magnifico libretto, illustrato da Roberto Lemmi.
Il periodo è quello dei primi anni del secolo scorso. Il Prof. Francesco Buonamici, uno dei più strani e geniali docenti universitari, insegnava Diritto Romano a Pisa, amatissimo dai suoi studenti, era molto fiero di essere chiamato semplicemente “Cecco”, senza nessuna mancanza di rispetto. Anzi, ne era fiero.
Per lui tre cose esistevano al mondo: la Patria, i suoi studenti e il Diritto Romano. Ricordatevi – ripeteva – in esso c'è tutto, e il resto è stato copiato da lì!
Un giorno, mentre stava pescando alla canna seduto sul greto d'un fossato a Coltano, passa Re Vittorio Emanuele a passeggio, e lo scambia per “il più miserello dei pescatori”.
- Se ne prende, se ne prende, Galantuomo?...
- Eh, poca roba Maestà.
- Gran mestieraccio a scamparla con la pesca, pover'uomo!.
- Infatti, Maestà, sarebbe trista, se non avessi qualche altro mestiere.
- Eh, dopo la pesca, se m'avanza tempo, faccio il Rettore dell'Università!.
Questa fu la conoscenza, e da quel giorno il Prof. Buonamici, Senatore del Regno e pescatore per diletto, finché visse fu ospite a San Rossore.
Mario Biagioni