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mar26 26/03/2019 16.17
Sono trascorsi appena tre mesi da quando il mio Vecchio Padre mi ha lasciato e per ricordarlo, come avrebbe voluto lui, voglio pubblicare un vecchio racconto, che ci vide protagonisti insieme di un avventura in Slovenia a caccia di caprioli. Una nazione ed una caccia che il vecchio Gianni amava tanto…
Lasciammo Bolzano che era ancora notte fonda preoccupati e con un’ombra di tristezza. Purtroppo alla vigilia della partenza il figlio di Paolo (un carissimo amico di Merano che doveva accompagnarci in quella spedizione) era stato ricoverato in ospedale con una brutta ferita alla mano. Davanti ad un problema così serio l’amico altoatesino era preoccupato per noi perché, non potendoci accompagnare sarebbe venuto a mancarci l’interprete, infatti con gli sloveni riesci a scambiarci qualche parola soltanto in tedesco, lingua che Paolo conosce come l’italiano. Eravamo rimasti tutti molto colpiti per il piccolo Peter, ma eravamo anche dispiaciuti per Paolo che non sarebbe potuto venire con noi. Soltanto il giorno prima avevamo addirittura ricontrollato insieme la taratura del suo 5,6 x 50 R Magnum con palle Nosler BT da 55 grani. Rassicurati sulle condizioni del piccolo Peter, ci congedammo con la promessa di rivederci dopo pochi giorni.. Io, mio padre e Pietro eravamo con un’automobile, Luciano, Paolo ed altri due amici di Bolzano in un’altra. Un gruppo eterogeneo di cacciatori ma tutti accomunati dalla stessa passione: la caccia al capriolo. Luciano, con largo anticipo, ne aveva prenotati una decina, più o meno due per ogni cacciatore. Mio padre, a settanta anni suonati, ci seguì solo in veste di accompagnatore. Quando c’è d’andare a caccia non riesci a tenerlo a casa neanche se lo leghi. Si erano invertite le parti, da quando appena decenne, pregavo io di poterlo seguire a caccia.
Per raggiungere la Slovenia percorremmo sempre la stessa strada via Austria. Era più lunga e più scomoda ma consentiva di esportare l’arma con la sola Carta Verde Europea, cosa impossibile se avessimo voluto attraversare il confine Italiano. Arrivammo al paesino di Stahovica che diluviava. In tanti anni di caccia in quella regione a maggio non avevamo mai trovato il tempo completamente sereno. Noi tre avremmo cacciato presso una Famiglia di Caccia, mentre Luciano e gli altri in un'altra SLD, situata ad una trentina di chilometri di distanza, praticamente sull’altro versante delle montagne. Nella piccola e confortevole casetta di caccia, trovammo il Guardiacaccia Jones già ad aspettarci con quattro “Pivo” Zlatarog sul tavolo. Si trovava ai confini di una valletta tra le montagne, ai margini del bosco a circa mille metri d’altitudine. Dalla finestra di una camera da letto erano visibili un’altana ed una salina! Avevamo ancora due ore di luce prima che facesse buio e la pioggia era quasi cessata del tutto. Così, viste quelle condizioni particolarmente favorevoli, fummo tentati di partire per una prima uscita. Non eravamo mai usciti la sera stessa del nostro arrivo, ma per quella volta facemmo uno strappo alla regola. Mio padre lo lasciammo a casa a preparare la cena, mentre io e Pietro preparammo le nostre armi.
Entrambi eravamo equipaggiati con delle carabine Remington modello 700 BDL praticamente gemelle in calibro 243 Winchester e con ottiche 6 x 42. Le avevamo tarate con palle Nosler Ballistic Tip da 95 grani. Nell’insieme si erano dimostrate una combinazione micidiale per la caccia al capriolo. Pietro, l’autista del gruppo, forse e giustamente un tantino provato dal lungo viaggio, decise di cacciare sull’altana vicino alla nostra casetta di tronchi, mentre io e Jones saremmo andati in un’altra zona. Dopo una piacevole comminata di pochi minuti, salimmo sopra una comodissima Ceka dotata persino di un piccolo letto, perché spesso veniva utilizzata anche per gli appostamenti notturni ai cinghiali. Il guardia, con un gesto inconfondibile, mi fece capire di mettere la cartuccia in canna perché era quasi l’ora buona. Per primi, silenziosissimi, arrivarono alcuni mufloni che presero a pascolare. Jones cercò di spiegarmi che ne abbattevano, in tutte le classi di sesso e d’età, una quarantina l’anno. Guardai l’orologio, erano quasi le venti. Lo sloveno vide il mio gesto ed annuì oscillando la mano destra come a voler dire che c’eravamo quasi.
Ad un tratto i mufloni alzarono contemporaneamente le loro teste verso la direzione dove eravamo arrivati noi. Ci avevano avventato? Mi sembrava strano, ma tutto era possibile. Partirono di corsa verso il bosco e nello stesso momento anche noi udimmo i canti. Una bella e rumorosa comitiva rientrava dalla scampagnata. Anche con un tempo come quello, un bel gruppo di giovani rientravano dalla montagna. Da Jones in un misto di sloveno ed italiano partirono una serie di bestemmie (chissà chi gliele aveva insegnate) e poi al motto di: “Turistico niente bono“, recuperammo rassegnati le nostre attrezzature e ce ne tornammo a casa.. Nella confortevole casetta di tronchi trovammo mio padre e Pietro che stavano apparecchiando la tavola. Pietro ci disse che non era stato molto fortunato, aveva visto soltanto una giovane femmina.
Il mattino seguente sveglia alle quattro, un provvidenziale Nescafè e partimmo di corsa. Fuori, ad attenderci sulle Lada Niva, oltre a Jones trovammo anche Alesch, l’accompagnatore di Pietro. Fortunatamente non pioveva, l’aria era carica d’umidità ma la giornata si preannunciava bella. Dopo una quindicina di minuti di fuoristrada prendemmo posizione sopra la solita Ceka. Il sole sorse rapidamente inondando di luce un meraviglioso prato montano. L’abbaiare dei caprioli all’interno del bosco mi fece venire i brividi. Ne vidi uscire al pascolo tre, due femmine ed un maschio. Jones calmo ripeté più volte: “Maschio bono, maschio bono“. Sistemai la .243 sul cappello ed il gomito della sinistra, con la quale impugnavo l’arma, sulla traversina dell’altana, ottenendo così un buon appoggio. Mio padre, senza farselo chiedere, con gli occhi incollati al telemetro mi comunicò la distanza: 124 metri esatti. Mirai il capriolo sulla spalla, armai lo stecher, controllai il respiro ed infine sfiorai il sensibilissimo grilletto. La micidiale palla colpì il punto giusto abbattendolo il capriolo sul colpo. Recuperammo subito l’animale e Jones prima ancora di pronunciare: “Lowskiblagor“ lo pulì, preoccupato che si potesse rovinare la carne. Era un capriolo molto vecchio in regresso, doveva avere dai nove ai dieci anni, aveva molari e premolari completamente usurati ed il fronte facciale quasi bianco. Al fine selettivo fu un abbattimento corretto, ma di scarso valore “trofeistico”. Caricammo il capo sul fuoristrada e, senza perder tempo, iniziammo la Pirsch.
Costeggiammo una stazione sciistica, tra impianti di risalita e piccoli chalet chiusi o disabitati. Ogni tanto vedevamo qualche capriolo, ma erano prevalentemente femmine o maschi poco interessanti. A ridosso di una salina erano coricati persino quattro camosci. Guardando verso il basso e vedemmo con stupore che tutta la pianura era sommersa da uno strato di nuvole, sembrava di essere in riva al mare. Era uno spettacolo unico e di una bellezza disarmante. Non avevo mai visto niente di simile neanche sulle nostre amate Alpi. Il guardia ci disse, in un misto di italiano e di inglese, ma più che altro a gesti, che sull’unica montagna visibile vivevano gli stambecchi e che per abbattere un maschio con il trofeo lungo un metro occorrevano quindicimila Euro! Alle nove, Jones decretò: ”tutti i caprioli dormire“. Un quarto d’ora dopo stavamo facendo colazione con Pietro che sembrava uno zombi. Aveva sbagliato un capriolo con un tiro molto lungo e con un appoggio precario, due cose che non andrebbero fatte singolarmente, figuriamoci assieme. Il quel momento non era il caso di criticarlo, anzi, cercai di consolarlo raccontandogli di come avevo abbattuto il mio capriolo. Il resto della giornata trascorse lenta e noiosa, scattammo qualche fotografia al paesaggio ci scolammo un paio di Pivo e poi andammo a pranzo.
Dopo un pisolino ristoratore alle diciotto in punto le nostre rispettive guide vennero a prelevarci. Nel frattempo aveva ripreso a piovere. Jones mi sorrise fiducioso e sempre con qualche difficoltà mi fece capire di preparami ad una bella camminata. Mio padre confermò che sarebbe stato dei nostri. Come previsto, dopo aver parcheggiato la Lada iniziammo una ripida salita. Lo sloveno apriva la pista col binocolo al collo, il Rucksack vuoto sulle spalle e l’alpenstock in mano, dietro c’era mio padre con l’attrezzatura cine-foto ed il telemetro ed infine io chiudevo la fila con la 700 e lo zaino in spalla. Dopo circa una mezzora di cammino salimmo sopra un’altana costruita al bordo di un bosco di conifere. Da lì controllavamo un prato alpino che era caratterizzato da tutte le tonalità di verde. Il silenzio era assoluto e per fortuna aveva smesso anche di piovere. Il vapore acqueo creava uno sfondo surreale, sembrava d’essere in un altro pianeta. Jones ed io non staccavamo un attimo gli occhi dai nostri binocoli, con la speranza di riuscire a vedere un buon capriolo.
Alle venti e un quarto, quando oramai non ci restava che poca luce, Jones decise di andar via. Avevo una fiducia cieca nelle sue capacità professionali, così lo seguii senza discutere. Attraversammo un tratto di bosco per sbucare furtivi in un prato, rapido controllo, niente in vista e passammo oltre. Altro breve tratto di folto, altra radura, stesso metodo. Quella volta, come lo sloveno alzò il binocolo si riabbassò subito per ripararsi. Con la mano m’incitò a raggiungerlo e quando lo affiancai m’indicò un capriolo che brucava nel prato ad un centinaio di metri di distanza. “Maschio molto bono” disse con un sussurro. Cercai subito un appoggio per la carabina, ma non lo trovai. Lo zaino, come il bipede, erano praticamente inutili perché l’erba era troppo alta. Jones capì al volo il mio problema e mi porse veloce l’alpenstock. Appoggiata la carabina al bastone presi di mira il capriolo ma m’accorsi che non ero fermissimo; il reticolo comunque non usciva dalla sagoma dell’animale. Senza neanche armare lo stecher strinsi deciso il grilletto. Il capriolo accusò vistosamente il colpo ma non cadde, percorse di corsa una ventina di metri inoltrandosi nel bosco. Stranamente Jones non bestemmiò e quel fatto fu sufficiente a tranquillizzarmi. Raggiungemmo il punto dov’era entrato il ferito, praticamente al buio. Il guardia mi mostrò subito una manciata di foglie piene di sangue a conferma che l’animale era stato effettivamente ferito. Aspettammo qualche minuto poi entrammo nel bosco con la Maglite. Lo trovammo quasi subito. Per fortuna (grazie anche alla bontà della munizione usata), il capriolo aveva percorso pochi metri nel folto. Senza fatica lo trascinammo al pulito e dopo averlo valutato bene con l’aiuto della piccola torcia, rimanemmo tutti senza parole. Era un capriolo meraviglioso, forse il più bello che avevo abbattuto in tutta la mia vita, sicuramente era in zona medaglia. Anche Jones fu sorpreso. Al buio non si era reso conto neanche lui di quanto fosse importante quel trofeo, specialmente per quella zona. Sorridendo strofinò il pollice con l’indice come a voler dire che quello sarebbe costato parecchio. Alle mie spalle mio padre, che a settantanni non ha quasi più niente da imparare, intuì il mio stato d’animo e disse: “E fatti una risata, che questo te lo offro io”. Avete capito perché me lo porto sempre dietro? Anche a caccia uno sponsor non guasta mai! Lowskiblagor, abbracci, strette di mano e foto, e dopo aver incaprettato il becco nel Rucksack ce ne tornammo alla casa di caccia.
Sulla porta Pietro sfoggiava un sorriso troppo smagliante per non aver avuto successo. Finalmente aveva abbattuto un bel capriolo. Niente di eccezionale ma con un trofeo particolare. Era un tre punte irregolare molto alto, con una stanga da “assassino” e l’altra forcuta, sicuramente doveva aver riportato qualche lesione durante il velluto. Pivo a volontà. Eravamo troppo stanchi ed eccitati per prepararci da mangiare da soli così decidemmo di cenare in paese, sempre se saremmo riusciti a farci capire sul menù. Una volta ero convinto di aver ordinato un arrosto misto mentre invece mi portarono la pastina in brodo!! Purtroppo il nostro interprete era rimasto a Merano e, a proposito, come stava Peter? Il giorno dopo Diana e Sant’Uberto mi vennero in aiuto. Mi permisero d’abbattere altri e due caprioli, un puntuto ed un sechser regolare sugli ottanta punti con molta soddisfazione.
Poco prima di partire, quando ci presentarono il “Conto”, mio padre fingendosi arrabbiato esclamò: “Ma chi me l’ha fatto fare a dirti che quel capriolo te l’avrei offerto io? Da solo costa più degli altri tre messi insieme: ”Ed aveva ragione perché con i suoi 121 punti era una gran bella Medaglia d’argento.
Marco Benecchi
Tags:5 commenti finora...
Re: A caccia tra le nuvole Piango.Quando leggo babbo. da Antichita'
27/03/2019 10.37
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Re: A caccia tra le nuvole Weidmannsheil Marco! Un bel racconto e un bel ricordo del tuo Papà! da bansberia
27/03/2019 8.26
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Re: A caccia tra le nuvole quando il babbo viene a mancare ( a qualsiasi età) una parte di noi se ve via con lui e la vita non sarà più la stessa. Weidmannsheill Marco da Marco
27/03/2019 7.27
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Re: A caccia tra le nuvole Non e' la grossa selvaggina che fa grande cacciatore . da Antichita'
26/03/2019 19.01
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Re: A caccia tra le nuvole quanta NOSTALGIA ricordo di ogni figlio a cui il genitore ha trasmesso la passione fin da piccolino come ti capisco.L'odore dei grassi beccafichi e la lepre appesa fuori casa lo spiedo il fiasco di vino vero spillato dalla botte di legno e non lo schifo odierno delle enoteche, le vere sigarette alfa e nazionali e non le moderne sigarette tutte uguali e profumate per i fenocc hhietti moderni ,che nostalgia anche io se penso al mi' babbo e ho 62 anni . da Antichita'
26/03/2019 16.58
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