All’interno dell’Azienda Agrituristica Venatoria “Campo alla Pigna” di Ribolla (Gr), la densità dei selvatici è talmente elevata che per cercare di ridurne il numero Matteo, il proprietario, due–tre volte l’anno, non di più, organizza qualche “battuta mista”, o meglio, per dirla alla spagnola, qualche Monteria. E di solito l’invito a partecipare arriva così: “Ragazzi, per domenica prossima organizziamo una bella “Monteria Maremmana”, una cosa intima, con pochi cani, qualche battitore ed una quindicina di poste scelte. Fatemi sapere chi fosse interessato a partecipare!”.
In Italia gli appassionati di caccia a palla si conoscono un po’ tutti, dalla Val d’Aosta alla Sicilia e specialmente oggi, con i social, le notizie si diffondono davvero in un attimo. Così, il mattino del giorno prefissato, anche se arrivai alla casa di caccia con largo anticipo, trovai ugualmente diversi cacciatori già radunati intorno ad una modernissima stufetta a pellets. “Come un cazzotto in un occhio”, qualcuno potrebbe pensare! Secondo me invece, l’idea di mettere al rialto una stufetta chiusa è stata una scelta oculata, visto che la capanna che funge da ritrovo è rigorosamente costruita alla vecchia maniera maremmana, con le travi in legno, le pareti in tavolato e la finitura interna ed esterna in scopio. Un bel camino in pietra sarebbe stato sicuramente più coreografico, ma di certo molto più pericoloso!
Dopo aver fatto una veloce panoramica dei presenti, riconobbi alcuni volti noti, mentre altri non li conoscevo. Tutti erano comunque visibilmente eccitati e animati dalla stessa passione. Mentre annotavo il numero del mio porto d’armi sulla lista dei partecipanti alla battuta, qualcuno alle mie spalle mi chiamò per nome, porgendomi un panino imbottito col salame e un bicchiere di vino. Sorridendo gli ricordai che erano appena le otto del mattino, riconoscendo nel mio benefattore Francesco, l’amico del cuore, oltre che collega selecontrollore e artefice dell’invito. Mentre attendevamo che Matteo sistemasse le ultime faccende, facemmo comunella con gli altri ospiti, raccontandoci le nostre ultime avventure. Francesco è nativo proprio di Ribolla ma, dato che per motivi di lavoro abita a duecento metri da casa mia, quando può viene volentieri a rifugiarsi nella mia piccola officina.
L’idea di poter cacciare in battuta daini e cinghiali riscontra sempre un consenso veramente inaspettato ma, come dice il buon Matteo, i selvatici devono essere veri, alloctoni o autoctoni che siano, ma sempre del posto. Infatti tutti i selvatici immessi provengono da parchi limitrofi e proprio per questo motivo in azienda non ci sono né cervi né mufloni. Qualche cacciatore ritardatario arrivò appena in tempo, ma il grosso dei partecipanti alla battuta era arrivato in Maremma già dal giorno prima. C’era addirittura chi, per non perdersi quella “Monteria alla Maremmana”, che si preannunciava bella e ricca di emozioni, aveva viaggiato tutta la notte. Eravamo ai primi di marzo e faceva caldo, con un sole che sembrava estivo, proprio la giornata ideale per godersi una bella battuta di caccia. Non tirava neanche un filo di vento e in quelle condizioni sarebbe stato molto facile udire gli animali in avvicinamento verso le poste.
Dopo una ricca colazione a base di dolci e di salati, procedemmo col sorteggio delle poste ed io assistetti, compiaciuto, all’immancabile sfilata delle armi. Ce n’erano per tutti i gusti. Ad eccezione di due anziani signori armati con dei sovrapposti calibro 12, tutti gli altri cacciatori avevano in spalla armi rigate specifiche per la caccia in battuta e camerate in calibri adeguati. La maggior parte di essi aveva delle carabine semiautomatiche di media potenza, ma qualcuno sfoggiava anche dei pregevoli express. Uno soltanto aveva una carabina a leva Winchester modello 94 Commemorativa in versione Yellow Apache! Smussati gli ultimi spigoli organizzativi, non rimase altro da fare che avviarci per i dolci sentieri di caccia. Quasi tutti ci avviammo a piedi, soltanto chi aveva un numero di posta “alto” fu accompagnato coi fuoristrada. Ordinati, in silenzio e tassativamente con le armi scariche, in breve raggiungemmo le nostre rispettive poste. A me toccò quella alla fine dello schieramento. Ottimo pensai, cosi avrei dovuto prestare attenzione solo al compagno alla mia sinistra. Per prima cosa verificai che il mio nuovissimo punto rosso fosse a posto, poi cercai di individuare degli ipotetici passi per avere una certa idea da dove sarebbero potuti arrivare i selvatici ed infine camerai una 30.06 ricaricata con palla Nosler Ballistic Tip da 165 grani, nella mia amata BAR Long Trac Composite. Il mio vicino di posta si chiamava Felice ed era palesemente una brava persona di Novara dall’età indefinita. Lo invidiai vedendolo ancora così energico, entusiasta, pieno di vita ed anche elegante nel suo abbigliamento ad alta visibilità. Per radio comunicai che eravamo tutti ben piazzati e finalmente potei mettermi in fiduciosa attesa. Non vedevo l’ora che Matteo desse il via alle danze, liberando una delle sue famosissime mute di segugi maremmani. Oddio, sono convinto che sia a Matteo sia a suo padre Alberto il solo pensiero di dover utilizzare una delle loro “pregiate e pluripremiate” mute contro dei selvatici che non fossero dei cinghiali li facesse star male, ma a volte, non tutti i mali vengono per nuocere. Tempo fa infatti, Matteo mi aveva confidato che alcuni dei suoi maremmani in addestramento avevano dimostrato troppo interesse per caprioli e daini e quindi se la loro passione era diventata quella, tanto valeva metterli al lavoro seriamente.
Quando suonò il corno d’inizio battuta, i cani partirono subito a canizza, scollinando sull’altro versante del monte. Per un po’ sentii molto meglio i berci dei battitori schierati a ventaglio, che i latrati dei segugi. I primi spari non tardarono a farsi sentire. Dalle grida capii che i cani avevano già stanato un bel branco di animali. Meglio così pensai, almeno ce li saremmo visti arrivare silenziosi e soprattutto poco veloci. Le fucilate echeggiavano lungo tutto il bosco, qualcuno doveva aver montato sulla propria carabina “un dispositivo per il tiro a raffica controllata”, perché ogni volta che metteva il dito sul grilletto gli partivano tre colpi. Con orecchie esperte stimai che quel giorno la percentuale di padelle fosse abbastanza buona, più alta della media stagionale. Gli ungulati ai quali stavamo dando la caccia, quando sono tallonati dai cani, corrono per davvero. Ad un tratto, alla mia destra, sentii un lievissimo sfrascare avvicinarsi progressivamente, così istintivamente alzai la BAR e puntai il punto rosso verso il folto. Stetti in punteria pochi secondi ed apparve una femmina di daino. La mirai sulla spalla e un sol colpo fu sufficiente per abbatterla. Avevo avuto la fortuna di tirare dopo neanche una decina di minuti che ero appostato. Qualcuno potrebbe anche non credermi, ma posso garantirvi che sarei già stato a posto così. Il tempo era meraviglioso ed io intendevo godermi la caccia spensierato; le canizze, le grida dei battitori e la nutrita fucileria erano musica per le mie orecchie. In basso alla mia sinistra mi sembrò di sentire alcuni colpi cadenzati e in progressivo avvicinamento, come se i cacciatori appostati stessero tirando ad un selvatico che correva parallelo davanti alle poste. D’istinto mi venne da pensare che, se quel selvatico avesse continuato così, avrebbe fatto scaricare i fucili a tutto lo schieramento. Ma intanto il fuggitivo si stava avvicinando verso la mia posta, fendendo veloce il sottobosco. Ad un tratto lo sentii vicinissimo. Ebbi appena il tempo d’imbracciare la Browning che apparve un bel cinghiale. Gli tirai mirando al bersaglio grosso e l’animale, colpito in pieno, con un ultimo salto andò ad incastrarsi in un groviglio di tronchi d’albero. Credo di non aver mai visto niente di simile prima d’allora. S’era incastrato così bene, neanche ce lo avessimo messo apposta! Ricaricai la carabina rimpiazzando i colpi sparati e raccolsi i due bossoli vuoti. Lo feci più per abitudine che per necessità, perché non intendevo più sparare. Ero davvero contento così e mi avrebbe fatto piacere che anche tutti gli altri avessero sparato. Ma a caccia cos’è l’unica cosa certa? “Che a caccia non esistono certezze”. Quel giorno le sorprese erano solo all’inizio..
Infatti, non ebbi neanche il tempo di tentare di rimuovere il cinghiale dal groviglio vegetale dov’era finito, che un forte rumore rovinoso mi fece quasi sobbalzare. Imbracciai veloce la BAR e un attimo dopo un bel fusone di daino nero per poco non mi venne addosso. Beato punto rosso.. In mezzo a quel mare intricatissimo di rami e rovi riuscii a tirare tre colpi, uno dei quali evidentemente andò a segno, perché intravidi il selvatico fare una capriola degna di una lepre. M’imposi ancora una volta di non tirare più, ma quando dopo un po’ vidi nel fitto una figura claudicante vistosamente ferita, fui ben felice di porre fine alle sue sofferenze. Era il quarto capo che avevo abbattuto e, “per non farmi indurre in tentazione”, indovinate un po’ cosa ho fatto? Ho spento il punto rosso, ho scaricato la Long Trac e l’ho riposta nel fodero. Stop, game over, fine dei giochi. Per me bastava così! Dopo un altro po’ Matteo, tramite Radio Macchia, decretò la conclusione della battuta. Sollecitò il recupero dei capi abbattuti e il conteggio provvisorio fu di oltre venti capi tra daini e cinghiali. In seguito saremmo dovuti andare a cercare qualche ferito, ma non potevamo certo lamentarci. Tutti i cacciatori prima di lasciare le proprie poste dovettero accertarsi che le loro armi fossero scariche e segnalare dove erano i capi morti nel folto. Poi Matteo, Francesco e gli altri aiutanti li avrebbero caricati sui fuoristrada per poi metterli in posa per il tableau finale davanti alla casa di caccia.
Mentre rientravano un pochino stanchi ma decisamente felici, scambiai qualche battuta con le altre poste per conoscere il loro giudizio su come fosse andata quella “Monteria Maremmana”. Non solo nessuno si lamentò, anzi, tutti furono concordi nella buona riuscita, ma chiesero anche quando Matteo ne avesse organizzata un‘altra. Quel memorabile giorno qualcuno sparò bene, parecchi ammisero le loro clamorose padelle mentre altri rimpiansero le occasioni perdute. L’importante fu che tutto si svolse bene e nel migliore dei modi, con serietà, serenità, senza incidenti e senza episodi deplorevoli. Tutti, battitori, poste ed ausiliari rientrarono incolumi. Al rialto in tronchi e paglia trovai Matteo e Francesco sorridenti e rilassarsi ed ora che anch’io stavo smaltendo l’adrenalina accumulata, cominciai a sentire pure un certo languorino allo stomaco. Quel giorno decisi persino di fare uno strappo alla regola, per una volta mi concessi un pranzo come si deve, antipasto, primo secondo e dolci tutto annaffiato da una generosa dose di Morellino di Scansano! La pulizia e la spartizione dei capi abbattuti l’avremmo completata più tardi.
Oggigiorno sono molte le AVF italiane che propongono anche delle battute miste stile Monteria ma, credetemi, quelle organizzate da Matteo nella sua bellissima Azienda Agrituristica Venatoria “Campo alla Pigna” di Ribolla, sono davvero speciali. In particolare per l’aria che si respira, pregna di tradizioni tanto vecchie quanto meravigliose e quindi da tramandare.
Marco Benecchi