Dopo aver praticato una infinità di sport ed esercitato quasi tutte le cacce del mondo, quasi senza accorgermene mi sono ritrovato….Blogger! Curioso vero? Comunque è stata, e lo è tuttora, una bella esperienza, poter raccontare le mie opinioni personali e confrontarle con quelle degli altri, a volte in armonia, altre volte un pochino meno, perché si sa, che sin dalla notte dei tempi, c’è sempre qualcuno che proprio non lo vuole capire che non tutti la pensiamo allo stesso modo. Nel magico, meraviglioso mondo della caccia a palla, uno dei dilemmi più frequenti da risolvere, uno degli argomenti più spinosi sui quali confrontarsi è senza dubbio: “E’ meglio avere un cannocchiale munito di torrette regolabili compensatrici di caduta oppure no?”. Desidero chiarire subito che io sono totalmente sfavorevole all’uso delle torrette, non perché siano degli accessori inutili o magari perché sia prevenuto sulle innovazioni tecnologiche, tutt’altro, ben venga tutto quel che possa tornarci utile.
A me le torrette balistiche non piacciono per il semplice fatto che non mi servono e non mi sono mai servite. Poi, essendo un perito meccanico diplomato negli anni 70 e quindi della vecchia scuola, non ho mai avuto troppa simpatia per gli strumenti di “precisione” soggetti a frequenti manipolazioni. Praticando da una vita la caccia di selezione a caprioli, daini e cinghiali in Maremma, quella al camoscio in Alta Montagna e quella ai grossi selvatici Nord Americani, Asiatici e Nord Europei, non ho mai sentito il bisogno di dover “compensare” drasticamente la mia linea di mira. Ho sempre “lavorato” utilizzando i reticoli 4–4 A e Plex dei vecchi cannocchiali e ora anche quelli più moderni TDS 4 BRi, dotati di linee e punti di riferimento sull’asse verticale della croce.
“Marco, il camoscio è bello lungo, mi raccomando, miralo filo schiena. Anzi no, meglio dargli ancora due–tre dita sopra!”. Quante volte ho sentito questa frase sussurratami nell’orecchio dai miei accompagnatori, specialmente quando i telemetri erano ancora pressoché sconosciuti o quei pochi che si trovavano in giro costavano quanto una utilitaria usata. Oggigiorno è possibile effettuare abbattimenti netti e puliti a distanze impensabili, addirittura oltre il mezzo chilometro.
Personalmente il tiro a lunga distanza lo giustifico soltanto in casi eccezionali, come ad esempio quando c’è da finire un capo ferito, quando non esiste nessuna possibilità di ridurre la distanza che ci separa da un particolare capo da abbattere, oppure quando stiamo cacciando prede importanti all’estero ed è l’ultimo giorno di caccia. Un tiro contro un selvatico vivo è sempre una cosa seria e quindi non deve essere mai improvvisato. Più o meno è la somma matematica di alcuni fattori, come l’esatta conoscenza della traiettoria del calibro utilizzato, la valutazione corretta della distanza, il giusto calcolo dell’angolo di sito (quando si spara verso il basso o verso l’alto con un’inclinazione superiore ai trenta gradi) e l’eventuale presenza di venti trasversali.
Ovviamente è necessario disporre di un’arma estremamente precisa, camerata in un calibro potente e radente, di un’ottica a forte ingrandimento, almeno 12 x, di un appoggio stabile e sicuro ed inoltre è necessaria un’ottima esperienza pratica. Insomma, per eseguire abbattimenti netti e puliti a lunga distanza, oltre ad un’attrezzatura adeguata, bisogna avere anche parecchio allenamento fisico e psichico, sia al poligono sia sul terreno di caccia.
La canonica taratura a duecento metri è sempre valida, ma se prevediamo di sparare sensibilmente più lontano, occorrerà verificare la traiettoria del proiettile anche a distanze notevolmente superiori. Vorrei sottolineare le parole “Verificare Molto Bene” le traiettorie dei nostri proiettili alle varie distanze a “FUOCO” sul terreno, poligono o campagna aperta che sia, e non consultando vecchie o nuove tabelle balistiche o modernissime App sugli smartphon.
In teoria, ma molto meno nella pratica, sarebbe possibile sparare ad un capriolo o ad un cinghiale da notevole distanza, che so, almeno fino a 500-600 metri, ma occorrerebbe conoscere alla perfezione il calo del proiettile impiegato, del NOSTRO proiettile sparato nella NOSTRA arma, cosa che in molti non sanno. Esistono dei validissimi Armaioli (non armieri intendiamoci bene!), come i fratelli Nicola e Samuel Zentile di Romallo (TN) che sono in grado di offrire al cliente un servizio “All Inclusive” super completo, che comprende preparazione dell’arma, montaggio accuratissimo del cannocchiale, scelta della munizione originale oppure la ricarica giusta per poi procedere con il “collaudo finale” al poligono alle varie distanze di tiro con stesura della relativa tabella balistica.
Ed ecco che ora entriamo nel vivo del nostro discorso. Nicola e Samuel personalizzano le torrette balistiche che montano considerando tutti i fattori in gioco. Per dimostrare quel che ho appena detto, vi riporto un piccolo stralcio di un mio articolo, dove racconto il fantastico abbattimento di un capriolo dalla notevole distanza di 503 metri con un’arma preparata dai famosi fratelli trentini….
“Daniele verificò se ci fosse del vento laterale, poi estrasse dalla tasca la tabella balistica che Nicola Zentile aveva preparato “espressamente per lui”, per la sua combinazione arma, ottica, munizione, palla e vide che, con la sua taratura iniziale, avrebbe dovuto compensare di ben 26 click, pari a circa 130 cm d’alzo. Fatte le dovute correzioni sull’Infinity, iniziarono i preparativi per il tiro”.
Credo che queste poche righe siano state sufficienti per far capire meglio di cosa stiamo parlando, di andare a segno con estrema precisione a oltre mezzo chilometro di distanza e non a duecento–trecento metri. Nella mia lunghissima carriera di cacciatore e di accompagnatore ho visto che ben poche persone sanno stimare ad occhio correttamente una distanza. Ho conosciuto cacciatori che giuravano di aver abbattuto un capo da 300 metri quando invece erano 180, come altri che erano convinti di aver fatto un bel tiro da 200 metri quando invece erano quasi 300. Oggi, con l’uso dei moderni telemetri, certi errori sono molto più rari, ma “l’Educazione Balistica Corretta” la vedo ancora molto carente. Degli amici sostengono che a me non piacciono le torrette balistiche perché sono un cacciatore esperto e un buon tiratore, mentre potrebbero essere d’aiuto al cacciatore giovane o al neofita!
A me sembra invece il contrario. Il cacciatore esperto, dotato di tanta esperienza pratica “potrebbe” usare bene i compensatori di caduta, mentre il giovane apprendista credo che dovrebbe farsi le ossa con un buon 2,5–10 o un 3–12 x 56, imparando ad utilizzare il reticolo come rudimentale telemetro, senza azzardare tiri lunghissimi. E qui cascò l’asino, perché, nonostante la crisi economica mondiale, chi decide di acquistare un buon cannocchiale di marca lo vuole da duemila euro in su e con un minimo di 20 ingrandimenti ed anche con la torretta balistica, perché gli è stata consigliata dall’amico pseudo-esperto o dall’armiere compiacente, senza spiegargli i pro e i contro di questo sofisticato accessorio. Vorrei raccontarvi un altro piccolo episodio che mi è capitato di vivere in Ungheria durante una battuta di caccia invernale ai calvi di capriolo. Un amico che era con me, per abbattere sette capi ha sparato…..48 colpi. Utilizzando una Weatherby 257 Magnum, camerata in uno dei calibri più radenti in assoluto. Un’arma così, tarata a duecento metri, a trecento ha un calo della palla di pochi centimetri, quindi cosa c’era da compensare? Invece il cannocchiale del mio amico era munito di torretta balistica ed il suo accompagnatore mi ha confidato poi, che per tutta la durata della caccia, è stato sempre a giocare con quella benedettissima torretta.
Comunque dobbiamo ammettere che le torrette balistiche sono un grandissimo rimedio per le padelle. Non tanto per evitarle, anzi, quanto per “giustificarle”, perché è diventato un classico quando si caccia in compagnia, giustificare un colpo sbagliato (magari anche facilissimo, da breve distanza!) dicendo che la torretta era messa sui 400 metri quando invece il tiro s’è svolto a 80. Inoltre, c’è anche da considerare il fatto che, per quanto noi possiamo essere degli abilissimi tiratori, sul terreno di caccia durante è molto raro riuscire ad ottenere l’appoggio perfetto, l’immobilità assoluta, quindi perché azzardare dei tiri talmente lunghi da richiedere l’uso delle torrette balistiche?
Il novantanove per cento delle armi rigate in circolazione non spara bene, ma benissimo. Spesso sono in grado di ricamare delle fantastiche rosate in poligono, ma a caccia le cose sono molto diverse. Considero i canonici trecento metri come limite massimo, diciamo “alla portata di tutti”, almeno per chi ha una discreta pratica di tiro e un’eccellente confidenza con la propria arma, quindi, in questo caso, a cosa potrebbe mai servire una torretta balistica? Quando tutti i calibri più comuni utilizzati dai Selecontrollori dell’Appennino e dai cacciatori di Alta Montagna sono molto radenti! Prendiamo ad esempio un calibro 270 Winchester e un 7 mm Remington Magnum, ambedue tarati a duecento metri con delle palle di medio peso a trecento metri non hanno certo dei cali di traiettoria esagerati, sempre nell’ordine dei 15–17 cm. Ecco, ora qualcuno dovrebbe spiegarmi che differenza c’è tra il mirare un selvatico al centro del corpo oppure mirarlo poco sotto il filo della schiena. Senza se e senza ma… con la certezza matematica che la taratura è sempre la stessa, quella iniziale, perché le ghiere di regolazione sono belle chiuse, sigillate, contro polvere, umidità ed altro. Invece c’è gente a cui questa comodità non piace, c’è chi desidera una vita spericolata alla Vasco. C’è chi nel momento cruciale del tiro, magari all’imbrunire o quando ancora non è sorto il sole, deve illuminare la torretta con la luce del cellulare per controllare dove l’aveva posizionata l’ultima volta…
In gioventù, quando ancora eravamo alle prime armi ed i selvatici erano molto più numerosi, sparavamo a braccio libero, appoggiando il gomito sul ginocchio, su una staccionata, sul filo spinato di una recinzione, sul manico di un coltello piantato ad un albero, addirittura abbiamo anche sparato usando come appoggio la schiena del compagno di caccia. Facevamo più padelle e ferimenti che abbattimenti netti e puliti, ma a chi importava? Tanto l’animale sbagliato oggi l’avremmo riavuto a tiro l’indomani. Poi le cose sono cambiate, è subentrata l’esperienza, le responsabilità, l’etica venatoria, il buon senso ed anche un certo benessere economico. Abbiamo acquistato armi più precise, ottiche più luminose, munizioni più prestanti e soprattutto ci siamo abituati a sparare sempre più spesso e sempre meglio. L’esperienza ci ha insegnato a piazzare con precisione una buona palla per avere un abbattimento perfetto entro certe distanze. A chi è in grado di farlo ben oltre, non possiamo che fare i nostri migliori auguri, raccomandandogli però di andare sempre sul posto a controllare l’esito del tiro, anche se qualche rara volta il selvatico si allontanerà apparentemente illeso.
Marco Benecchi