Dopo aver letto sui giornali che il calciatore Ibrahimovic ha comperato in Svezia un terreno di oltre mille ettari, più o meno in una zona dove avevo cacciato anche io, come non poteva ritornarmi in mente quella bellissima avventura? Ero già stato a caccia in Svezia, sia alla piuma sia al grande alce, ma a causa dell’organizzazione che curò quella spedizione (che definirla “approssimativa” mi sembra farle un complimento), nonne conservavo un buon ricordo. E proprio a causa di ciò, avevo momentaneamente accantonato quel bellissimo paese scandinavo come meta turistico-venatoria. Poi Gigi, un carissimo amico di Vicenza con cui ho cacciato un bel po’ in giro per il mondo, mi confidò di aver conosciuto un intraprendente ragazzo di Padova, ora risiedente a Osterasund, che era in grado di organizzare una battuta di caccia all’orso e all’alce nell’estremo nord della Svezia, nella regione dello Jamntland, ai confini della Norvegia nella terra dei lapponi. Quel ragazzo si chiama Diego Barbero ed è il titolare di una piccola azienda turistico venatoria che in Svezia offre principalmente delle battute alla piuma ai pregiati tetraonidi, alle beccacce ed ai turdidi, ma su richiesta è in grado di organizzare anche delle battute “All Inclusive” alla grande selvaggina.
Dall’Italia siamo partiti in quattro con l’intenzione di affrontare i giganti che popolano il Grande Nord come l’orso bruno europeo e l’alce, ma il sottoscritto, più che con il plantigrado era con il maestoso ungulato che aveva un conto in sospeso da risolvere, avendolo già cacciato con scarso successo sia in British Columbia sia in Bielorussia. L’alce europeo ha, più o meno, le stesse abitudini di quello del Nord America e dell’Eurasiatico (il grande alce siberiano e quello della penisola del Kamchakta), ma si distingue perché leggermente più piccolo di mole. E’ un selvatico molto diffuso in tutti i paesi scandinavi e in buona parte del Nord Europa. E’ presente in Polonia, in alcune Repubbliche baltiche e in molti dei paesi dell’Ex Unione Sovietica, dove la specie gode di ottima salute anche grazie ad una caccia regolamentata e selettiva. Questi sono i suoi dati sistematici, biometrici e morfologici: classe: Mammiferi; superordine: Ungulati; ordine: Artiodattili; sottordine: Ruminanti; famiglia: Cervidi; gruppo: Telemetacarpali; sottofamiglia: Odocoilini; genere: Alces; specie: Alces; sottospecie Alces alces alces. Lunghezza del corpo: 200–300 cm; altezza al garrese: 160 -200 cm; peso: 250–600 Kg; accoppiamento: settembre–ottobre; gestazione: 224–243 giorni; parto: Maggio–Giugno; nascituri: 1–2; lunghezza media della vita: 8–10 anni, ma si conoscono casi di addirittura 15–16 anni. Il trofeo cade da dicembre a febbraio e rispunta in primavera fino allo sviluppo completo, privo di velluto, in agosto. I francesi lo chiamano Elan, i tedeschi Elch–Eleutier, gli inglesi Elk, i russi Los, i norvegesi Elg, gli svedesi Alg e i finlandesi Hirwi. E’ un ottimo nuotatore e un possente corridore, i suoi lunghi arti gli permettono di raggiungere i 55 km/h anche su terreni impervi e/o innevati. L’alce ama la tranquillità che possono offrire le immense foreste di conifere, latifoglie, faggeti, betulle e le paludi e gli acquitrini. Si pensa che in passato fosse presente addirittura nelle pianure lombarde. Si nutre soprattutto di foglie di salice, di betulle, di ontano e di sorbo, ma non disdegna felci, muschi, licheni e le piante acquatiche. Ma è quasi certo cha alla base della sua alimentazione ci sia il salice, perché s’è notato che dove questo albero manca l’alce non prospera e i suoi palchi sono scadenti. Vive isolato o in piccoli gruppi e, oltre all’orso e ai lupi (se in branco), non teme nessun altro predatore, anche se si racconta che in condizioni particolari è stato abbattuto persino dai ghiottoni, di cui conosciamo l’aggressività e la ferocia.
Nel continente europeo la caccia all’alce si pratica in battuta, all’aspetto (Stalking), alla cerca (Walking) durante il periodo degli amori, anche con l’uso di un richiamo, e alla “ferma” con l’ausilio di un buon cane specializzato di razza jamthund, grahund o ostsibirisk laika. La caccia in battuta è simile a quella praticata per tutti gli altri ungulati, ma all’alce si svolge con poche persone e con un massino di due–quattro cani. La caccia all’aspetto si pratica in solitario e in zone dove la densità dei selvatici è molto alta. Lo si attende all’alba e al crepuscolo ai margini della tundra o presso gli acquitrini, dove è solito uscire in pastura. La caccia alla cerca si svolge invece nei boschi radi e abbastanza puliti, dov’è maggiore la visibilità anche a lunga distanza. E’ preferibile praticarla durante la stagione degli amori e accompagnati da una espertissima guida locale che, all’occorrenza, riesce a individuare ed attirare i maschi anche con l’aiuto di un richiamo acustico. L’ultima tecnica di caccia è quella alla “Ferma”, ed è la più bella, la più difficile e la più emozionante e che andrebbe provata da tutti almeno una volta nella vita. Cercherò di descriverla, ma difficilmente riuscirò a trasmettervi le emozioni che è in grado di suscitare.
La caccia alla “Ferma” con il cane, come s’intuisce dal termine stesso, consiste nel cercare le tracce di un grosso alce, seguirle, liberarci sopra uno o due specialisti di razza jamthund o grahund che sembrano un incrocio tra un husky-malamute e un lupo siberiano, ed aspettare che questi lo scovino. Una volta trovato l’alce, un buon cane lo deve bloccare per consentire al cacciatore di abbatterlo con un colpo preciso dopo averlo attentamente valutato. Purtroppo è più facile a dirsi che a farsi, ed il bello sta tutto lì. Innanzi tutto ci sono da percorrere diversi chilometri prima di trovare la traccia giusta su cui liberare il cane, inoltre non è detto che il cane trovi subito l’alce, anzi spesso il preziosissimo ausiliare si allontana talmente tanto che il conduttore per mantenere il contatto è costretto a mettergli un radiocollare satellitare. Raggiunto l’alce, il cane deve cercare di bloccarlo abbaiando e ringhiando in attesa del cacciatore. La guida che lo accompagnerà, potrà capire dai latrati se l’alce è finalmente alla ”ferma” così, dopo aver impartito all’emozionantissimo cacciatore le ultime istruzioni, lo autorizzerà ad avvicinarsi da solo per tentare il tiro da breve distanza.
Si caccia nel folto, spesso con la neve o negli onnipresenti acquitrini, ed evitare di far rumore è quasi impossibile. Grazie alla professionalità di Diego imbarcare e sbarcare i bagagli e sdoganare armi e munizioni sia all’aeroporto di Stoccolma sia a quello di Ostersund è stata una passeggiata, anzi, forse è stato battuto il record come velocità nello sbrigare tutte le solite pratiche burocratiche. Come già accennato, lo scopo principale della nostra spedizione era quello d’abbattere un bell’ alce da trofeo, ma anche incontrare un grande orso non sarebbe dispiaciuto a nessuno. Io, Mario, Pasquale e Beniamino percorremmo i centocinquanta chilometri che ci separavano dal minuscolo paesino di Valsjöbyn che si trova praticamente ai confini con la Norvegia con un entusiasmo da adolescenti. Viaggiammo spediti a bordo della monovolume di Diego senza soste e quasi senza accorgercene. Lungo il tragitto vedemmo foreste a perdita d’occhio ed un grosso maschio di capriolo ci attraversò la strada. Prima dell’arrivo in Svezia avevo avuto con Diego contatti mail e telefonici praticamente giornalieri e quindi già sospettavo che fosse simpatico e cordiale, ma di certo non avrei mai immaginato che dopo aver trascorso insieme soltanto poche ore mi sembrava di conoscerlo da una vita. Arrivammo a destinazione che era l’ora di cena così consumammo subito un ricco pasto a base di salcicce d’orso, minestra di patate e spezzatino di renna annaffiato da un ottimo vino italiano. Diego ci sistemò in una piccola villetta a due piani con tutti i comfort, compresi due bagni autonomi, televisione, internet WI-FI e, ovviamente, un ottimo impianto di riscaldamento. Devo confessare che nel preparare le valige avevamo veramente esagerato, ma quando si parte per cacce tanto impegnative non bisogna tralasciate nulla al caso, soprattutto per quanto riguarda calzature e abbigliamento. Mentre ricontrollavamo le nostre attrezzature arrivò Frederick, l’outfitter, il capocaccia, il proprietario dei territori, il capotutto insomma e c’impressionò immediatamente e soprattutto positivamente. Diego ci aveva anticipato che Frederick era un ex-capitano dei corpi speciali svedesi in congedo e noi avevamo cercato di conoscerlo meglio, visitando il suo sito personale Exclusive Adventure. Si muoveva come un felino, non dovevamo essere dei geni per capire che era un predatore nato. Soltanto a vederlo si capiva subito che era un vero professionista e molto competente.
Ci coricammo presto pregustando le grandi emozioni che ci avrebbe riservato il futuro e quando squillò la sveglia, tra le calde pareti del cottage, sembrò una sirena antincendio. Ancora insonnoliti ma euforici ci vestimmo veloci, ognuno prese il proprio zaino, ricontrollammo le nostre armi e poi via di corsa al briefing mattutino. Cadeva una leggera ma insistente pioggerellina che lì per lì non ci diede fastidio, ma al rientro ci costrinse tutti a metter mano alle aspirine. Sembrava di essere ritornati a scuola, tutti davanti a cartine e tabelloni. Oltre a noi quattro italiani, il nostro gruppo era composto da altri otto cacciatori tra spagnoli, danesi e norvegesi. Frederick c’illustrò in inglese tutto quel che c’era da sapere per cacciare orso ed alce con successo e in completa sicurezza. Poi ci fece consegnare dallo staff dei thermos colmi di cappuccino bollente, delle radio con auricolare e addirittura una cartina della zona di caccia. Da lì a pochi minuti ci ritrovammo tutti impostati equidistanti in posti strategici, qualcuno a terra altri su comode altane soprelevate. Neanche a dirlo, a me toccò una posta a terra. Controllai con occhio critico la zona adiacente la mia postazione e mi ritenni abbastanza soddisfatto. Devo ammettere che non ero abituato ad avere dei vicini di posta distanti due – trecento metri, ma come dice il proverbio? “Paese che vai usanze che trovi”! Almeno così le possibilità che avvenissero degli incidenti erano drasticamente ridotte. Camerai una cartuccia originale RWS con palla Evolution da 184 grani nella canna della mia fida BAR, ne stipai altre quattro nel caricatore, misi la sicura e controllai che gli ingrandimenti del 5 x 36 fossero posizionati intorno ai 2–2,5 e poi mi misi in attesa con tutti i sensi all’erta. Non passò neanche una mezz’ora che dall’interno di una sterminata foresta di betulle e conifere avvertii degli abbai. “Bjorn, bear, orso!” venne sussurrato negli auricolari. Secondo me, per quanto gli jamnthund possono essere bravi, hanno un bruttissimo difetto: non abbaiano durante la seguita, ma soltanto quando hanno l’animale a fermo. Infatti, può capitare di sentirli abbaiare a centinaia di metri mentre invece, quando stanno zitti, ti ritrovi con il selvatico addosso. “Diego, avverti gli altri di stare attenti che quando il cane non abbaia vuol dire che l’orso si sta muovendo”. L’amico tradusse in inglese e in svedese ed alcuni secondi dopo udimmo un singolo sparo. Non dovemmo aspettare molto per sapere cos’era successo. Un anziano danese avevo tirato con il suo 308 ad un orso ma era quasi certo di averlo sbagliato. Due arcigni “canai” svedesi si misero sulle tracce dell’orso e dopo pochissimo lo trovarono morto. Alla faccia dei grossi e potenti calibri, se un mostro simile può essere abbattuto da una sola, modestissima palla SP da 180 grani Sieller & Bellot calibro 308 Winchester, viene da chiedermi a cosa serviranno mai i grandi calibri magnum, short magnum, ultra magnum, ecc. Mha!
La notizia dell’abbattimento provocò reazioni contrastanti. Eravamo tutti felicissimi (lo sarei stato di più se avessi premuto io il grilletto!) dell’abbattimento, ma anche tristi perché per smacchiare e pulire l’orso dovemmo interrompere la caccia. Per quel giorno avremmo dovuto accontentarci così, ma eravamo comunque ottimisti e tutti sostennero che non era il caso di preoccuparsi perché avevamo a disposizione ancora tre giorni pieni di caccia. Il secondo giorno ci svegliammo che diluviava. Ipotizzai che con un tempo così avremmo trascorso la giornata davanti al camino a leggere oppure a vedere un DVD di caccia grossa in TV, invece Frederick ci convocò tutti sull’attenti per il solito briefing e via, di nuovo a caccia. Un elogio deve essere fatto al mio abbigliamento, che s’è dimostrato assolutamente valido sia contro l’acqua sia per il freddo. Peccato che non avesse una mimetica Waterfowl Big Game anche la mia Browning BAR. Ero partito dall’Italia che ancora andavo al mare con 35° gradi all’ombra e m’ero ritrovato con un’aria umida e ghiacciata che mi penetrava nelle ossa.
Quel giorno ebbi a tiro (a settanta metri a fermo!) uno splendido maschio di caribù a cui non potei tirare perché protettissimo dalle autorità svedesi (10.000 euro di multa, arresto, ritiro delle licenze di caccia italiana e svedese e forse anche fustigazione pubblica), mentre uno norvegese abbatté un vitello di alce sempre con un sol colpo del suo potentissimo 308 W. Il terzo giorno di caccia fu molto simile ai due precedenti, solo che pioveva un po’ meno. Lo jamnthund migliore agganciò subito la pista giusta e in men che non si dica suonò la “campana a morto”, come gli svedesi chiamano l’abbaio alla ferma sull’alce. Non fui sorpreso perché dalla grande quantità di tracce, fatte, lestre e fregoni visti avevo avuto la conferma che la foresta era ricchissima di animali. Udii i latrati prima alla mia sinistra, poi davanti ed infine a destra. Quando mi girai per ascoltare meglio, vidi che nell’immenso prato che avevo davanti c’era già un maschio di alce che cercava di attraversarlo correndo al galoppo.
C’è mancato veramente poco che non mi sorprendesse, ma quasi quarant’anni di caccia serviranno pure a qualcosa! Il maestoso maschio era forse a più di un centinaio di metri di distanza, ma io, invece di cercare di avvicinarmi andandogli incontro, cercai un albero che potesse garantirmi un minimo di appoggio. Appena lo trovai “incannai” immediatamente il selvatico in fuga senza neanche controllare a quanti ingrandimenti fosse l'ottica, l’anticipai di un mezzo metro e poi lasciai partire il colpo. L’alce colpito in pieno petto piantò il muso nell’acquitrino e fece una capriola degna di una lepre. Ripensandoci ora, credo che quello è stato il tiro più bello e spettacolare di tutta la mia vita. Quando raggiunsi l’alce, aveva già smesso di muoversi e m’impressionò subito per la sua mole, che stimai superiore ai quattro quintali. Il bravissimo jamnthund prese ad azzannarlo con ferocia e, dopo qualche minuto, arrivò anche il suo conduttore. Frederick, dopo aver dato una rapida occhiata al selvatico, lo valutò come un maschio adulto di circa tre anni, piuttosto modesto come trofeo ma che per me equivaleva ad un vecchio Kapital. Pur apprezzando i bei palchi (negarlo sarebbe da ipocriti) non ho mai subito la “febbre” del collezionista; per me quel che conta, è sempre stata e sempre sarà, l’azione di caccia, indipendentemente dal valore e dall’importanza del selvatico cacciato.
Il mio colpo aveva tacitamente decretato il segnale di fine caccia, così in brevissimo tempo ci ritrovammo tutti intorno all’alce abbattuta, e nonostante gli sforzi di ben quattro robuste persone, riuscimmo appena a metterla in posa per scattargli le immancabili foto di rito. La pulizia ed il recupero della spoglia richiesero molto tempo, ma riuscimmo ugualmente a recuperare il resto della giornata facendo una piccola battuta pomeridiana. Purtroppo quando si pratica la caccia in battuta con poche persone e pochissimi cani, l’esito della caccia non può essere mai scontato. In tre giorni e mezzo di caccia il tableau del nostro gruppo fu “soltanto” di tre capi: un grande orso sicuramente medaglia d’oro, il mio modesto maschio di alce ed un vitello. Forse avremmo potuto far meglio ma anche peggio. Quel che conta è che la dedizione di tutta l’organizzazione è stata totale e tutti, anche chi non aveva avuto l’occasione di sparare un colpo, si sono dichiarati molto soddisfatti. Cacciare orsi ed alci in battuta in Svezia è un’esperienza forte, assolutamente da provare. E poi, visti i costi abbastanza contenuti, un pacchetto simile offre la possibilità di abbattere selvatici prestigiosi ed imponenti che in altri casi sarebbe molto dispendioso poter cacciare.
LE NOSTRE ATTREZZATURE
ABBIGLIAMENTO: In Svezia, alla fine di settembre fa già molto freddo. Di notte spesso gela, mentre di giorno la temperatura non supera mai i 7–8 gradi. Quindi occorre un abbigliamento leggero ma caldo e d’ottima marca. Noi quattro avevamo tutti dei completi, verdi o mimetici, Upland e Waterfowl Big Game della Beretta, che si sono dimostrati all’altezza del prestigioso nome che portano. Biancheria stop wind e calzettoni in misto cotone-lana o in pile. E’ sottinteso, che a scanso di equivoci è meglio portare tutto l’abbigliamento “doppio”, perché piove praticamente quasi tutti i giorni.
CALZATURE: Il nome alce è sinonimo di acquitrini e di paludi, quindi lo scarponcino alto va bene per chi desidera praticare una caccia molto “soft”. Chi invece vuole fare cerca ed aspetto seriamente, è bene che si porti dietro degli scarponi specifici idrorepellenti e foderati in Gore Tex, alti almeno fino al polpaccio o, meglio ancora, un buon paio di stivali di buona fattura come Beretta, Le Chameau e Aigle che possono essere di fondamentale aiuto.
ARMI e MUNIZIONI: Frederick era armato con una nuovissima carabina Blaser Off Road Professional calibro 9,3 x 62. Con doppio attacco-ottica. Come me, secondo esigenza montava un collimatore elettronico oppure un cannocchiale 12 x 50 con reticolo illuminato. Anche quasi tutte le altre guide erano armare con carabine Blaser o Carl Gustav in calibro 9,3 x 62, 308 W o 30.06. Io avevo con me una vecchia e collaudatissima compagna, la Browning BAR MK II in acciaio calibro 30.06, con sopra montati su doppi attacchi a sgancio rapido, un collimatore e un cannocchiale 1,25–5 x 36. Ho usato cartucce originali RWS con palla EVOLUTION da 184 grani. Anche Mario aveva con se una BAR nello stesso calibro e con le stesse munizioni, ma con un’ottica 4 x 24. Pasquale e Beniamino era ambedue armati con carabine HK 770 K calibro 308 W e palle (ricaricate dal sottoscritto!) Nosler Partition da 180 grani. Dopo quel che ho visto, per la caccia all’alce e all’orso bruno mi permetto di consigliare calibri dal 308 Winchester in su, con una netta predilezione per il 30.06 e per l’8 x 57 JS (JRS), caricati con palle pesanti e ad espansione controllata e per il 9,3 x 62. L’alce non è un forte incassatore e di solito il tiro avviene entro i cento metri. Calibri esageratamente potenti e radenti non sono necessari.
CONSIDERAZIONI FINALI: Nei Paesi Scandinavi sono autorizzati soltanto quei calibri che usino un proiettile di almeno 10 grammi (156 grani), che abbia un’energia uguale o superiore a 200 chilogrammetri a cento metri. Già da soli questi dati ci confermano che, a dispetto delle apparenze, l’alce non è un forte incassatore. Un grosso “Bull” ha un’area vitale grande come uno schermo da 28 pollici e se ben colpito da una buona palla in zona cardiovascolare o nei polmoni difficilmente fa molta strada. Non dobbiamo comunque dimenticare che stiamo parlando di un selvatico forte e robusto che spesso supera la mezza tonnellata di peso. L’arma migliore per la caccia all’alce alla cerca, che possa andar bene anche per la battuta e l’aspetto, deve essere leggera, corta e maneggevole (adesso capite perché la Sako e la Tikka costruiscono delle carabine in calibro 300 Winchester Magnum con le canne da 460 millimetri!). Deve avere delle visibilissime mire da battuta, uno scatto diretto ed un’ottima impostazione. Sette dei dieci cacciatori svedesi che ho conosciuto avevano sulle loro Bolt Action un collimatore elettronico mentre gli altri tre utilizzavano delle ottiche variabili da battuta 1,25 – 4 x 24. Una carabina che abbia le suddette caratteristiche va più che bene, ma, specialmente in battuta, sono molto indicati anche gli Express (sia giustapposti che sovrapposti) e le carabine semiautomatiche. Quando si praticano cacce così impegnative poter disporre di due o più colpi in rapida successione può fare veramente comodo. Fino a pochi anni fa molti cacciatori Scandinavi per atterrare sia il grosso cervide sia un maestoso orso usavano delle carabine Carl Gustaf, Husqvarna e Schultz & Larsen in calibro 6,5 x 55 Swedish, ritenendole sufficienti e giustificandone l’esigua potenza con la loro accuratezza di tiro, ma ho visto che in Svezia, Norvegia e Finlandia circolano anche molte armi in calibri ben più energici!
Marco Benecchi