Credo proprio che nella caccia, e in particolare in quella a palla con la carabina, il proverbio “l’abito fa il monaco” sia veramente appropriato. Perché basta guardare com’è vestito un cacciatore per capire quali tecniche di caccia pratica o predilige. Ovviamente poi ci sono i soliti estremisti, come quelli che vogliono andare anche a caccia di camosci indossando la loro bella mimetica di origine militare (spesso dell’Est Europa!!), o quelli che non partecipano ad una Cacciarella Maremmana se non hanno indossato i pantaloni alla zuava in loden con tanto di pon pon e cappello tirolese col brunf di camoscio o la coda di forcello. Ma, in fin dei conti, nessuno fa male a nessuno.
Comunque, in linea di massima, se un cacciatore prevede di praticare la caccia da appostamento agli anatidi in pieno inverno, magari semi-immerso nell’acqua gelida, si vestirà con un comodissimo completo “camo” in materiale Hi.Tech, come kevlar, Dupont, micro – fibre, Gore-Tex, etc. dovrà avere i pantaloni foderati, rinforzati e muniti di pettorina, perché ben difficilmente dovrà percorrere lunghe distanze a piedi, e cercare di non disperdere prezioso calore corporeo. Allo stesso modo, un cacciatore di montagna appassionato di cultura mitteleuropea, ben difficilmente rinuncerebbe ad un comodissimo e caldo completo giacca–pantaloni e, perché no, anche di mantella in lana cotta, in loden o in “pelle di diavolo” rigorosamente di colore verde bosco.
Oggigiorno esistono delle ottime linee di abbigliamento in grado di soddisfare ogni esigenza, ma le vecchie e stracollaudate tradizioni sono molto dure da abbandonare, ognuno è saldamente attaccato alle proprie. Io vivo in Maremma nell’Alto Lazio, praticamente dov’è nata la caccia al cinghiale in battuta, e dove chi l’ha praticata da secoli si è sempre vestito con quel che trovava in casa, con quello che poteva permettersi. Potevi avere un vicino di posta in jeans e giacca da lavoro con tanto di logo della ditta e magari un altro con un bel completo in velluto (indipendentemente di colore marrone scuro o verde) con tanto di cosciali in pelle di capretto o di vitellino e cappello a tesa larga da buttero. Ma nessuno si è mai preso la briga di criticare né l’uno né l’altro, perché l’abbigliamento di ogni singolo partecipante ad una battuta non era certo determinante sull’esito della caccia. In molte altre occasioni avere addosso l’abbigliamento giusto, sia come foggia sia come qualità dei tessuti e sia come colore, può essere veramente molto d’aiuto. Non a caso gli americani, che al pari dei nostri vicini europei qualcosina di caccia ne capiscono, hanno a disposizione e usano frequentemente un nutritissimo campionario di tessuti e materiali ultramoderni con finitura Camufolage, che riproduce praticamente ogni tipo di habitat presente nel Nuovo Continente. Un altoatesino, un austriaco o un tedesco storcerebbero il naso davanti a un completo giacca–pantaloni by “Cabelas”, ma non riconoscerne pregi e vantaggi sarebbe da ipocriti.
Tanti anni fa un mio amico di Reggio Calabria si presentò a caccia a Capalbio con un completo simile, si mise a ridosso della vegetazione diventandone parte integrante e quando i caprioli e i cinghiali uscirono al pascolo lui, che era anche controvento, risultò pressoché invisibile. Provare per credere. Alcuni anni fa in Croazia, mentre attraversavo la strada per recarmi in un bar a bere un caffè, incrociai un’anziana signora che poteva avere dai settanta agli ottant’anni, difficile stabilirlo con precisione, ma di una cosa ero certo, quella donna doveva intendersi di caccia perché quando vide com’ero vestito mi apostrofò: “Medved”? Orso in croato. Aveva capito dal mio abbigliamento, infagottato com’ero, che mi ero preparato per praticare una caccia “statica” dal carnaio, e non magari per andare a caccia di starne e beccacce!
Se quando decidiamo di praticare una determinata tecnica di caccia dobbiamo curare con pignoleria il giusto connubio arma, calibro, munizione, accessori, credo che l’abbigliamento dovrà sempre venire al primo posto. Che senso ha andare ad appostarci ai margini di un campo o di una tagliata se poi nel momento decisivo tremiamo come foglie o sudiamo da star male? I vecchi cacciatori di montagna, specialmente quando hanno l’occasione di invitare degli ospiti non del luogo, consigliano di vestirsi a strati come “foglie di cipolla”, con indumenti né pesanti né ingombranti, da mettere gli uni sopra gli altri seconda esigenza e/o condizioni meteorologiche. Se ci fate caso vi accorgerete che tutte le migliori guide alpine “lavorano” meglio con maglie in pile e gilet senza maniche piuttosto che con giacconi pesanti e ingombranti.
Detto ciò, mi sembra evidente che durante la scelta dell’abbigliamento tecnico l’occhio deve andare più alla pratica che all’estetica. Meglio acquistare indumenti comodi di una taglia superiore che attillati. I pantaloni devono consentire ogni possibile movimento, così pure le giacche devono permetterci di poter usare l’arma comodamente senza intralci. Ripeto, oggigiorno esistono delle ottime ditte produttrici di abbigliamento sportivo specifico per praticare la caccia anche in condizioni estreme, sta a noi acquistare i singoli “completi” in funzione all’uso che ne dovremo fare. Per quanto riguarda colore e foggia, ci sarebbe da discutere giorni interi. L’uso delle colorazioni mimetiche militarizzate riportano a brutti ricordi di cronaca, ma ce ne sono anche di specifiche che, ammettiamolo, non sono poi tanto male. Il verde e il marrone scuro non passeranno mai di moda. Anche in questo caso se seguiremo il buon senso non ci troveremo mai male. Cerchiamo quindi di vestirci adeguatamente secondo il caso e con buon senso.
Marco Benecchi