Nel Distretto di Caccia di Selezione dell’ATC GR 7 di cui faccio parte, tutti gli anni viene concesso il permesso di abbattere alcuni daini nelle varie fasce di età, soprattutto per contenere i branchi e mantenere sana la specie, ma anche per cercare di limitare i danni che i selvatici fanno alle culture in atto e agli incidenti che provocano lungo le strade. Come molti altri cacciatori, anche io sono sempre felicissimo di farmi assegnare le tanto ambite fascette marcacapo, perché ritengo la caccia al daino molto più difficile e molto più emozionante di quella al capriolo e al cinghiale, sia all’aspetto sia alla cerca. I Daini sono selvatici veri e scaltrissimi ed hanno delle abitudini imprevedibili, molto particolari. Può capitare di vederli pascolare in un campo aperto a mezzogiorno per diverso tempo e poi, quando invece ti appresti a dargli la caccia, non riesci a vederne uno, magari per mesi, perché escono e rientrano dal forteto solo a notte fonda. Detto ciò, mi sembra inutile ricordare quanto possa essere impegnativo tentare di abbattere un daino ed in particolare un bel maschio da trofeo. Durante la stagione venatoria appena trascorsa avevo deciso di dedicarmi prevalentemente alla caccia del daino piuttosto che quella agli altri ungulati presenti nella zona, perché i branchi erano tornati a farsi vedere numerosi dopo un lungo periodo di latitanza. Abbattere femmine, maschi, fusoni, balestroni o palanconi non avrebbe avuto importanza, mi sarebbe piaciuto soltanto riuscire a scovare i dama-dama dopo che i lupi li avevano braccati e decimati per mesi.
Indipendentemente dalla tecnica di caccia scelta, cerca o appostamento, l’attrezzatura deve essere sempre di primaria importanza. Cominciamo dall’arma. Da qualche tempo a questa parte ho deciso di accantonare (per il momento!) i soliti calibri Magnum che normalmente usavo per il daino: il 7 mm RM e il 257 WM, in favore di un’arma più corta, più leggera e quindi più maneggevole: la bella carabina Bergara B 14 Green Hunter calibro 308 W distribuita dalla RA dei Fratelli Redolfi, equipaggiata con uno cannocchiale 15 x 56 HD. Questa è una combinazione azzeccatissima, con cui poter cacciare dal piccolo capriolo ad grande alce europeo senza nessun problema, a patto di scegliere, di volta in volta, la munizione giusta. Per il daino prediligo delle palle ricaricate con ogive Nosler Ballistic Tip da 165 grani che, come vedremo più avanti, si sono comportate stupendamente. Un ottimo binocolo al collo del selecontrollore deve essere come il collarino bianco per il prete, assolutamente non può mancare! Infatti, se dipendesse da me, a tutti i cacciatori abilitati al contenimento delle specie ungulate, imporrei per regolamento di possedere un binocolo di ottima marca, pena la revoca della concessione del tesserino. Invece… specialmente durante i censimenti, al collo di certi soggetti vedi penzolare degli strumenti ottici da cartoni animati, anzi no, da guerre stellari!
Ma torniamo alla caccia. Ho sempre preferito cacciare quasi tutti gli ungulati al mattino presto, all’alba piuttosto che la sera tardi, per un motivo molto semplice. Cacciando al mattino vai incontro al sorgere del sole e quindi al far del giorno, mentre viceversa cacciando all’imbrunire vai incontro al buio, alla notte fonda. Immaginate di dover recuperare uno grosso selvatico di notte e magari da solo. Per non parlare poi di andarlo a cercare ferito. Certo, ci sono stato centinaia di volte e continuerò ad andarci, ma “veder sorgere l’alba” in campagna è un brivido davvero primordiale e molto più pratico. Oltre all’arma in assetto operativo ed al binocolo, occorre aver dietro almeno due buoni e robusti coltelli: un pugnale ed un serramanico. Non sto qua a consigliare né marche né modelli, ma occhio alla loro qualità e che siano ben affilati, perché un coltello che non taglia serve davvero a molto poco. Il cacciatore a palla deve indossare abiti molto tecnici e particolari, comodi e caldi d’inverno e freschi e leggeri d’estate. Dovranno essere privi di inutili tasche, sporgenze e fronzoli che potrebbero impigliarsi e/o far rumore durante gli spostamenti e gli accostamenti. In Maremma, ma credo anche su tutto l’Appennino, l’abbigliamento mimetico è sicuramente vincente. Capisco le tradizioni ladine, montagnine e mittleuropee che impongono il loden o, al limite, tutto quello che abbia una colorazione verde scuro, ma negare l’utilità di un abbigliamento camo cacciando in ambiente boschivo sarebbe da ipocriti. Per gli scarponcini, ormai da decenni, per ogni forma di caccia, uso dei Crispi leggeri, caldi, impermeabili, silenziosi, comodissimi da portare e molto resistenti all’uso. Sia per la caccia alla cerca sia per quella all’aspetto, riuscire a muoversi con scioltezza è di fondamentale importanza. Trascinarsi dietro zaini stracolmi di oggetti e appesantirsi portando nelle tasche accessori vari, non è un bel modo di affrontare selvatici scaltri e diffidenti come i daini. Lo stesso vale per la scelta dell’orario. So di certi cacciatori che raggiungono la zona di caccia due–tre ore prima del sorgere del sole, con la convinzione di essere stati più furbi del selvatico che vogliamo cacciare, senza sapere che l’uomo è un pessimo predatore diurno, figuriamoci quando decide di cacciare di notte. Il segreto del successo in questo genere di caccia è quello di riuscire ad arrivare in zona in quel breve arco di tempo che precede l’alba, possibilmente con il sole che sta sorgendo alle nostre spalle ed è auspicabile che il vento sia a favore.
La prima ispezione delle zone di pascolo deve essere fatta, strumenti ottici permettendo (sia il cannocchiale montato sull’arma sia il binocolo), appena si riesce a distinguere la sagoma di un selvatico. MAI prima, perché potrebbe capitare che mentre noi siamo convinti di guardare in un campo deserto, un numeroso branco di animali si è appena dileguato non visto. Bisogna fare “capolino” nelle zone di pastura con la massima cautela possibile e controllare meticolosamente tutto il perimetro, senza tralasciare nessun angolo o ombre sospette.
Quel mattino arrivai puntuale come da manuale. Aspettai che ci fosse luce a sufficienza poi mi affacciai nell’immenso pratone che si trova tra la statale Aurelia e la ferrovia, all’altezza dei due bivi per Ansedonia. Mi sdraiai in terra ai margini del campo e, dopo aver puntellato i gomiti e incollato il binocolo agli occhi, iniziai la perlustrazione. Con grande gioia, anzi con una certa emozione, riuscii a intravedere subito un bel gruppo di selvatici. Le sagome immobili o in leggero movimento potevano essere una decina!. Il fatto non mi stupì più di tanto, perché sapevo che anche altri colleghi avevano segnalato una buona presenza di selvatici in quella stessa zona. In casi come questi diventa operativo predisporsi subito per il tiro, cercando d’identificare il capo giusto, ma anche il “bersaglio” migliore, quello che si presenta meglio come sagoma e come distanza. Aspettai che la luce fosse sufficiente per poter identificare i selvatici che pascolavano, apparentemente ignari della mia presenza. Con l’ausilio del binocolo mi sembrò che nel branco non ci fossero maschi importanti come balestroni e palanconi, ma per accertarmene meglio usai direttamente il cannocchiale che avevo sulla carabina per valutare ogni singolo animale con i suoi ingrandimenti maggiori. I daini erano quasi tutte femmine coi piccoli, ma tra loro spiccavano anche due bei fusoni ed una femmina sola. Decisi di concentrarmi su di loro.
La prevalenza naturale va sempre al maschio, imponente o modesto che sia, tutti i cacciatori di grossi selvatici, potendo scegliere, optano sempre per tirare al maschio, anche quando, a volte, per esigenze di selezione, sarebbe forse meglio abbattere una vecchia femmina. Il fusone prescelto era a circa 180 metri, una distanza che ritengo ancora buona per tirare in precarie condizioni di luce e visto che siamo in tema permettetemi di darvi un prezioso consiglio. Cacciando al mattino presto, appena la luce è sufficiente per una corretta identificazione del capo e quindi anche per eseguire il tiro, tentate SUBITO l’abbattimento, non perdete tempo prezioso, perché per esperienza so che uno o più selvatici in pastura che pascolano tranquilli e sereni possono diventare sospettosi e allarmati in pochi secondi con l’aumentare della luminosità. Quante volte mi è capitato di non aver tirato perché ho aspettato troppo!! La mia Bergara B 14 Green Hunter è tarata a 200 metri, quindi non fu il caso di fare molti calcoli. Pensai di tenermi col reticolo perfettamente al centro della spalla e quando il selvatico fu perfettamente immobile, sfiorai il delicatissimo grilletto. Il modesto rinculo del 308 e gli ingrandimenti del cannocchiale non molto alti (caccio prevalentemente intorno ai 10–12x) mi permisero di conoscere subito l’esito della fucilata direttamente attraverso l’ottica, ma anche il sordo rumore della palla che impatta contro qualcosa di solido, che mi giunse di rimando fu confortevole. Il fusone era a terra mentre tutto il resto del branco, non avendo capito da dove fosse venuto lo sparo, era ancora fermo, così ricaricai veloce l’arma, e mi concentrai sulla femmina senza piccolo che messa a “cartolina” guardava verso di me. Gli sparai subito, forse un po’ troppo velocemente, ma nonostante il tiro molto meno curato del primo, colpii ugualmente con precisione l’animale, abbattendolo all’istante. Dal primo al secondo sparo non era passata che una manciata di secondi e vuoi per la bravura (concedetemelo!) del cacciatore, vuoi per l’esperienza acquisita in oltre quarant’anni di caccia a palla, i due daini erano là, dove dovevano essere, abbattuti pulitamente da un’ottima combinazione, arma, ottica, calibro e palla. In tantissimi anni, indipendentemente dal calibro usato, le Nosler Ballistic Tip non mi hanno mai deluso. Mai! Avvicinatomi alle prede abbattute vidi che il fusone era davvero grosso ed anche la femmina non era niente male. Hai voglia di fare salami e salsicce! Le potenti Nosler BT 308 da 165 grani avevano svolto bene il loro dovere, fulminandoli sul posto. Meglio così. Non c’è cosa peggiore di ferire e poi cercare un grosso selvatico con o senza l’ausilio di un cane. Telefonai al Capo Distretto per comunicargli il doppio abbattimento e ricevetti i suoi più sinceri complimenti.
Quella fu davvero una bella giornata di caccia che ricorderò per sempre perché, nonostante i prelievi selettivi, le morti causate dagli incidenti stradali e ferroviari e il martellamento continuo e inesorabile da parte dei lupi, vidi che i branchi di daini ancora ci sono e che sono composti da esemplari numerosi e fisicamente sani. Per recuperare i due grossi animali dovetti farmi aiutare da una coppia di amici di Capalbio e dal loro vissuto fuoristrada. Poi, visto che c’eravamo, ne approfittai anche per farmi scattare qualche foto. Non sono venute proprio bellissime ma le conserverò ugualmente nei miei album e nel mio cuore!
Marco Benecchi