In Maremma i caprioli sono presenti un po’ dappertutto, tanto che si possono avvistare a tutte le ore del giorno e della notte, persino in un campo arato, lungo i bordi delle strade e persino nei prati all’inglese delle residenze estive! Ma le zone di pastura preferite dai piccoli ungulati rimangono pur sempre gli erbai e le tagliate dell’anno, anche se non disdegnano di frequentare le stoppie, i campi di girasole e i prati incolti. Sull’Appennino Tosco-Emiliano e nella pianura padana è facile avvistare i caprioli nei grandi, splendidi campi piantati a trifoglio, ma quello è davvero un altro mondo. Dove normalmente caccio io, invece, le colture sono limitate alla semina del grano, dell’orzo e della biada, gli ortaggi sono piuttosto rari e l’incolto prevale come pascolo per gli ovini. Avvistare un capriolo che bruca in un bel prato non è certo come individuarlo nel falasco alto, nel pattume dove a settembre ci vai a caccia di fagiani. Da noi cacciare il capriolo è un pochino più difficile che in molte altre zone d’Italia ma forse per questo la caccia è ancora più bella.
Mi sono soffermato sulle caratteristiche del territorio perché è da esse che dipende molto la buona riuscita della caccia. Nelle zone impervie e molto boschive risulta molto più difficoltoso eseguire i censimenti per avvistamento ed è per questo che in Toscana sono ancora molto attivi i conteggi in battuta proprio per le asperità del terreno. Non conoscere bene quanti capi sono presenti nelle zone assegnate è uno svantaggio non indifferente per il cacciatore selecontrollore, che sarà costretto a fare molte più uscite del previsto per avere un quadro abbastanza chiaro della situazione. Io, abitando nell’Alto Lazio, sono sempre costretto a fare un bel po’ di chilometri per raggiungere le zone di caccia abituali, ma non mi pesano; li faccio volentieri, purché ne valga la pena…
La stagione al maschio era già aperta da parecchi giorni ed io, neanche a farlo apposta, avevo fatto quattro o cinque uscite senza riuscire a vedere un solo maschio di capriolo. Eppure dovevano esserci, perchè li sentivo spesso abbaiare nel bosco e sul terreno erano presenti evidenti segni di presenza, come tracce, covacci e fregoni, ma la situazione era tutt’altro che buona. Se è vero che la pazienza è la virtù dei forti e che deve essere la caratteristica fondamentale del cacciatore a palla, beh, allora stavo davvero mettendo in dubbio le mie capacità venatorie e caldo, polvere e zanzare non aiutavano di certo nell’intento. Nonostante in estate mi appassioni più la caccia di selezione al daino e al capriolo piuttosto che quella al cinghiale, decisi di sospendere le uscite nei prati per dedicarmi a quest’ultimo, meno diffidente e più propenso a frequentare le stoppie. Stavo perdendo troppo tempo e denaro cercando inutilmente dei selvatici in una zona che evidentemente era troppo avara in quel periodo. Con i cinghiali ebbi più fortuna, ma la caccia non fu appagante come se fossi riuscito ad abbattere un paio di caprioli. Cosa vuoi, luglio è il mese dei compleanni: di mio padre, di mia moglie, del mio carissimo amicone Filippo ed anche il mio, ed io l’ho sempre festeggiato cacciando il capriolo.
Attualmente uso per la caccia di Selezione in Maremma una carabina Bergara B 14 Green Hunter calibro 308 W equipaggiata con uno cannocchiale 15 x 56 HD e cartucce ricaricate con palle Nosler Ballistic Tip da 165 grani. La B 14 è un’arma molto compatta e ben bilanciata, che uso con soddisfazione per caprioli, daini e cinghiali con tiri fino a duecentocinquanta metri ed anche oltre, senza problemi. Sono sempre stato un grande estimatore delle palle da 150 grani, sia nel calibro 308 sia nel 30.06 ma, visto che durante le numerose prove fatte al poligono con la Bergara le 165 grani mi hanno fatto riscontrare una precisione degna di un arma da gara, ho deciso di usarle anche sul terreno di caccia.
Un bel mattino mi feci coraggio e decisi di ritentare la sorte con il folletto rosso. Mi appostai in prossimità di un enorme campo di stoppie, che era tramezzato da una stretta e lunga striscia di macchia. Almeno fino a quando non inizia l’addestramento dei cani le stoppie vicino a fossi, restoni e boschetti possono essere buoni territori per cacciare i caprioli perché ai piccoli ungulati gli piace alternare la loro solita dieta fatta di magra erbetta, che cresce a ridosso degli sporchi con qualche rimasuglio di orzo o di grano. Mi sistemai comodo all’interno della macchietta poco prima che sorgesse il sole, sperando che in quel mare dorato, dall’ inconfondibile fragranza tostata dal sole, s’affacciasse qualcosa d’interessante. A destra il campo confinava con un bosco immenso, alla sinistra c’era il divieto, era pressoché tutto perfetto per attendere il capriolo maremmano. Ero autorizzato ad abbattere un maschio in tutte le classi di età, adulto o un subadulto, ma non conoscendo in anticipo che selvatici fossero presenti in zona, mi ripromisi di tirare subito al primo che avrei avvistato. Perché, come dice il proverbio, sono un fervido sostenitore “Che è meglio un uovo oggi che una gallina domani!”.
Appena ci fu luce a sufficienza, con l’8 x 42 che avevo al collo, cominciai a perlustrare il perimetro. Nella fascinosa penombra che precede l’alba individuai immediatamente una sagoma scura nella stoppia ma molto vicino ai margini del bosco. Secondo me più che uscirne, stava rientrando. Alle sei del mattino ne distinguevo soltanto la sagoma. Era chiaramente un capriolo, ma non riuscivo a capire se fosse un piccolo dell’anno, una femmina o addirittura un bellissimo maschio dal magnifico trofeo. Distava centoquaranta metri, centocinquanta, non di più. Una distanza perfetta specialmente per la mia Bergara 308 munita di bipede. Mi preparai subito al tiro, ma decisi di aspettare che ci si vedesse meglio. Era una corsa contro il tempo però, perché il capriolo, tutt’altro che tranquillo, seppur molto lentamente continuava ad avvicinarsi sempre di più al bosco. Se fosse riuscito a raggiungere l’avvallamento dove si stava dirigendo, entro pochi secondi non lo avrei avuto più a tiro. Presi a traguardarlo direttamente col cannocchiale che ho sulla carabina e il corpo robusto e il collo proporzionato mi convinsero di tentare il colpo. Impugnai il ruvido calcio sintetico della B 14, mirai la sagoma scura e quando ebbi la certezza che fosse perfettamente ferma sparai. Il brutto di quando si tira in cattive condizioni di luce con un calibro abbastanza sostenuto e con un’ottica a forte ingrandimento, è che difficilmente si riesce a vedere direttamente nel cannocchiale l’esito del tiro. A volte, se il vento è favorevole e la distanza giusta, ti giunge di rimando il rumore della palla che colpisce, a volte no. Mi sembrò di percepire il tanto familiare, caratteristico rumore sordo, ma non riuscii a vedere nient’altro. Comunque il danno era fatto! Così ricaricai l’arma, recuperai il bossolo sparato ed attesi che facesse giorno. Poi m’incamminai nella stoppia zuppa di rugiada e trovai il capriolo dove doveva essere, abbattuto da un colpo perfetto. La mia stima era stata esatta, era davvero un bel maschio, anzi, forse molto bello per quella zona, dove la qualità dei trofei è sempre stata piuttosto scarsa. Quando gli misi in bocca un rametto striminzito di more selvatiche per porgergli l’ultimo pasto, sentii che i suoi denti erano parecchio usurati, doveva aver almeno 4–5 anni. Perfetto, era proprio quello che ci voleva, un’ azione di caccia bella, emozionante, pulita e genuina che si è conclusa positivamente.
Ora vorrei soffermarmi sul recupero del selvatico abbattuto, nel nostro caso del più piccolo tra gli ungulati ma che ancora in molti non hanno ben chiaro come doverselo portare a casa nel modo più corretto. Cominciamo dal primissimo trattamento della spoglia. Il selvatico abbattuto deve essere sempre eviscerato IMMEDIATAMENTE dopo il tiro. Conosco dei cacciatori che puliscono il selvatico a casa, dopo ore ed ore dall’uccisione, niente di più sbagliato. Il selvatico va eviscerato e dissanguato il più presto possibile per due motivi, primo perché la carne poi risulterà migliore, secondo perché è meglio lasciare le interiore ad “auto smaltirsi” sul posto. Io di solito faccio così: prendo il capriolo e lo metto a pancia all’aria, poi incido la pelle per rimuoverlo fino ai testicoli compresi. Dopo entro nella carcassa incidendo la pelle con molta attenzione per non rischiare di bucare gli intestini fin oltre il diaframma. A volte arrivo addirittura alla mandibola e rimuovo anche la trachea insieme a tutto il resto, ma più spesso, per non allargare troppo la carcassa, arrivo fino nella parte superiore del torace, taglio la trachea il più possibile e poi la tiro con tutto il resto giù fino al bacino, aiutandomi col coltello con piccoli tagli precisi sui lati per staccare tutte le interiora. In questo modo - che è molto più facile a fare che a descrivere - si toglie praticamente tutto. Le frattaglie vanno lasciate sul posto per i predatori carnivori e persino i cinghiali se ne cibano, provvedendo molto meglio di noi allo smaltimento “indifferenziato”! A chi piacciono, possono essere recuperati il fegato, il cuore e i rognoni, che potremo riporli all’interno della carcassa per il trasposto finale.
Dopo aver eviscerato il capriolo è bene farlo scolare a pancia in giù sull’erba fresca o sulla stoppia pulita o magari anche sopra ad un cespuglio per alcuni minuti, mentre nel frattempo prepareremo lo zaino.
La spoglia di un selvatico di piccole–medie dimensione deve essere “smacchiata” trasportandola intera nello zaino; a noi interessa il capriolo, ma in montagna, allo stesso modo, si recuperano anche camosci e mufloni! A me lo zaino aperto tipo il Rucksack sloveno non piace, perché si sporca troppo trasportandoci un animale senza prima averlo messo in una busta di nylon. Preferisco insaccare il capo dentro un grosso e robusto sacco di plastica nero o giallo, di quelli usati per lo smaltimento industriale della spazzature, dopo aver rimosso anche le quattro zampe per facilitare l’inserimento nella bocca dello zaino. Questo secondo me è il metodo migliore, ma ognuno avrà sicuramente i propri metodi e le proprie abitudini. Ho visto eviscerare un capriolo e poi trascinarlo per centinaia di metri in un incolto tutto bagnato e inzaccherato perché aveva appena piovuto. Lascio a voi immaginare le condizioni della carcassa quando il cacciatore è arrivato alla macchina. Allo stesso modo ho visto cinghiali, caprioli e daini abbattuti al mattino presto e poi eviscerati a pomeriggio inoltrato. Non oso fare commenti……..
Marco Benecchi