Mio padre sostiene che la caccia più emozionante in assoluto è quella al cinghiale in battuta. Dopo averla esercitata per oltre mezzo secolo, quel vecchio lupo maremmano riesce ancora ad andare in estasi durante una bella braccata.
Anch’io credevo che, dopo aver cacciato il cedrone con lo spitz, l’orso di notte con la luna piena e il cervo al bramito in Europa, avevo provato le forme di caccia più emozionanti, ma mi sbagliavo. Non avevo ancora cacciato la marmotta in alta montagna! Ebbene sì, lo ammetto, dare la caccia a quel furbissimo roditore mi ha entusiasmato veramente molto, tanto che appena avrò l’occasione di ritornare in Austria, lo farò con immenso piacere.
Devo sottolineare subito una cosa, che se sulle nostre Alpi siamo abituati a vedere le marmotte da pochi metri di distanza, che si mettono in posa per farsi fotografare o che in alcuni casi accettano addirittura i creckers che gli offriamo da mangiare (come quelle che vivono intorno a Canazei). Dove questo roditore è oggetto di caccia, è difficilissimo sorprenderlo fuori dalla tana ed avvicinarlo a meno di cento – centocinquanta metri. Detto ciò, come mia abitudine, prima di partire per il versante austriaco della meravigliosa Val Passiria decisi di armarmi a dovere e di non lasciare nulla al caso.
Quindi, pellegrinaggio obbligatorio alla Bignami di Ora dove, su consiglio dei carissimi amici Ennio ed Horst, ho comperato una bella, quanto onestissima carabina CZ modello 527 in calibro 222 Remington. Con l’aiuto degli attacchi originali della casa l’ho equipaggiata con un’ottica variabile Leupold European 3 – 9 x 50 con reticolo Plex e successivamente è stata tarata con una ricarica assemblata con bossolo Norma, palla Sierra Game King SPBT da 55 grani, spinta da 24,1 grani di polvere Vihtavuori N 130 ed inneschi CCI Bench Rest Small Rifle. Dato che non avevo nessuna esperienza di caccia alla marmotta, decisi che forse avrei fatto bene a preparare anche delle munizioni identiche alle altre come componenti, ma con palla Sierra da 55 grani FMJBT.
Al poligono i risultati sono stati a dir poco entusiasmanti. Con entrambe le ricariche (Soft e FMJ), sono riuscito a “ricamare” a duecento metri addirittura rosate di tre colpi in appena 18 millimetri di diametro, ed il punto d’impatto, utilizzando i due tipi di palla, è variato di pochissimi centimetri.
La possibilità di cimentarmi in questa bellissima caccia me l’ha data Nerino, un noto imprenditore veneto che da anni gestisce tre meravigliose riserve in Austria, dove cede caprioli, cervi, forcelli ed appunto marmotte. Nerino mi consigliò di raggiungerlo ad Obergurgl verso la fine d’agosto, quando le marmotte erano abbastanza tranquille e la loro pelliccia era folta e lucente. Io ed il mio inseparabile compagno di caccia e di mille avventure Pietro, giungemmo nel piccolo paesino austriaco in un freddo tardo pomeriggio. Nerino, dopo averci accolto calorosamente, ci consigliò di non perder tempo e di ricontrollare la taratura delle nostre armi. Gli risposi che l’avevo fatto prima della partenza, ma lui insistette per ripeterla di nuovo nel suo piccolo poligono privato.
Non immaginerete mai cosa provai quando vidi che entrambe le nostre carabine calibro 222 Remington (Pietro aveva con se una Sako 75 con ottica Docter 3 – 12 x 56) a centocinquanta metri di distanza, sparavano alte di circa dieci centimetri! Sapevo che i piccoli calibri risentono molto dell’altitudine e conseguentemente della rarefazione dell’aria, ma non credevo così tanto. Per fortuna avevamo dietro abbastanza munizioni, così furono sufficienti pochi colpi e sei click in elevazione per ricollimare il reticolo nel punto giusto.
Dopo una ricca cena in baita ed una meno piacevole dormita “all’austriaca” (in un letto senza lenzuola con i piedi fuori della trapunta!) finalmente all’alba ci vene presentata la nostra guida: Reinhard. Paese che vai personaggi che trovi! Reinhard era un classicissimo “montanaro” austriaco. Quarant’anni, di media statura, asciutto e muscoloso, d’estate faceva l’accompagnatore professionista, il contadino e l’allevatore di mucche e pecore, mentre d’inverno si trasformava in un espertissimo istruttore di sci e guida alpina. L’intesa fu subito genuina e totale. Anche se abitavamo a quasi ottocento chilometri di distanza, non bisognava essere dei maghi per capire che eravamo accomunati dalla stessa passione. Reinhard ci chiese quante marmotte avevamo intenzione di abbattere e com’era la nostra preparazione fisica, per potersi regolare in funzione delle nostre esigenze. Sia io sia Pietro eravamo abbastanza allenati, e fummo concordi nel ritenere che tre capi a testa (non per niente il tre è sempre stato il numero perfetto!), fossero più che sufficienti. Nessuno di noi due è mai stato un amante dei grandi carnieri. Entrambi siamo dei cacciatori seri e non degli sparatori.
Quando ci viene il prurito al dito indice, andiamo al poligono oppure “frantumiamo” i sassi in qualche cava, non tiriamo alle sagome viventi, per divertimento. Cacciare in due con un solo accompagnatore non mi disturba, anzi, basta stare in armonia con il compagno e non farsi prendere dall’impeto della caccia. Decidemmo (guarda caso!) che l’onore del primo colpo sarebbe stato il mio, indipendentemente dalla mole del selvatico avvistato. Io desideravo abbattere un paio di capi da far naturalizzare interi, mentre per Pietro, che non aveva ambizioni trofeistiche, una marmotta valeva l’altra. La nostra intenzione era quella di cacciare in buona compagnia, in tranquillità, con serietà ed impegno, secondo le tradizioni scritte e non scritte, radicate da secoli nella madre della cultura venatoria mitteleuropea.
Sul Nissan Terrano dell’austriaco salimmo in quattro: io Pietro, Reinhard e Gullit il suo Border Collie bianco – nero. Quel cane aveva un’intelligenza fuori del comune. Nella mia vita ho posseduto decine di cani, ma non avevo mai visto un’ausiliare simile. Reinhard parlava con lui come se fosse una persona. Gullit era sicuramente molto più obbediente di mio figlio di sedici anni!! Quando Reinahrd lo fece salire sulla macchina, gli specificò persino di mettersi dietro e a destra. Col potente fuoristrada percorremmo un paio di chilometri inerpicandoci su una montagna che, illuminata dai primi raggi di sole, sembrava una cava di bronzo ossidato. Il paesaggio era quello classico montano oltre i duemilacinquecento metri.
Tra le rocce, i rododendri e l’erba olina, le tane delle marmotte erano numerosissime. Reinhard c’informò che il piano d’abbattimento prevedeva un prelievo di circa ottanta capi, ma che gli allevatori ed i contadini della zona avevano protestato perché lo ritenevano insufficiente a limitare i danni che, quei vispi roditori, facevano sulle loro terre. Mi venne da pensare: come mai su quelle montagne c’erano così tante marmotte anche se era consentita la caccia? Mah! Come parcheggiammo il fuoristrada, udimmo una cacofonia di fischi. Da quel concerto capimmo che eravamo proprio nel bel mezzo di una grossa colonia di marmotte e che, purtroppo, erano tutte all’allerta. Reinahrd, viste le nostre facce preoccupate, fece spallucce ed iniziò la cerca seguito dal fedele cane. Dopo aver sentito parecchi pareri discordanti, decisi di caricare la mia CZ e la Sako di Pietro con delle palle espansive. Reinahrd appoggiò quella scelta perché sostenne che con la palla blindata il rischio di perdere gli animali colpiti era troppo alta. Il buon austriaco capiva le nostre esigenze “tassidermistiche”, ma assolutamente non voleva ferimenti.
Le marmotte, a dispetto della loro mole, sono forti incassatrici ed hanno la pessima abitudine di pascolare e soggiornare al sole, stando sempre vicinissime dall’ingresso della tana. Il cacciatore per abbatterle sul posto, deve usare la munizione giusta ed essere estremamente preciso. Nel campo dei calibri .22 (5,56 mm) a percussione centrale esistono un’infinità di palle, che vanno dalle “esplosive” a quelle completamente camiciate. Come vedremo più avanti sia io sia Pietro (che usavamo la stessa ricarica) ci siamo trovati molto bene con le Sierra SPBT e credo che tutte le palle simili siano adatte allo scopo.
Da quel che ho potuto constatare personalmente e in base a quello che mi hanno confidato molti altri cacciatori, per la caccia alle marmotte da trofeo (e per il rispetto della spoglia) i calibri migliori sono il 222, il 223 e il 22.250 Remington e il 5,6 x 50 R Magnum con palle espansive ma abbastanza dure, oserei dire “da capriolo”. Sono da scartare sia le blindate (ma sono convinto che c’è chi le usa con successo) sia quelle ad espansione rapidissima e violenta. Chiusa questa piccola, ma credo doverosa parentesi, se non fosse stato per il calibro dell’arma che avevo a tracolla quel giorno, avrei potuto benissimo illudermi di essere a caccia di camosci. C’era soltanto una piccola differenza, che le marmotte si avvistavano con grande difficoltà, specialmente a quell’ora del giorno, con il sole che ancora non si era alzato. Inoltre, a lunga distanza, era difficile distinguere gli esemplari giovani da quelli adulti. Soltanto verso le dieci del mattino avvistammo il capo giusto.
Attraverso le limpidissime lenti del mio binocolo Leica Geovid 10 x 42, inquadrai una bella marmotta che, ritta sopra ad una pietra, si stagliava nitida contro il cielo. Lanciai l’impulso laser contro il masso e nel led luminoso apparvero tre numeri: 159. Reinhard guardandomi annuì e mi offrì il suo zaino come appoggio, ma io rifiutai mostrandogli il bipede Harris che avevo montato sull’arma. Lui, con un misto di austriaco e d’italiano, mi chiese se avrei potuto provare a tirargli in testa, e questo per due motivi: primo per garantire un abbattimento pulito, secondo per evitare di contaminare il prezioso grasso dell’animale con un’eccessiva emorragia interna. Gli risposi che alla testa non avrei tirato, magari avrei tentato al collo. Mi sdraiai sul prato, regolai i piedini dell’Harris, inquadrai la marmotta, tolsi la sicura, armai lo stecher e cinque secondi dopo sfiorai il grilletto.
La piccola, ma potente palla, scaraventò la marmotta a terra dove rimase immobile. Waidmannsheil! Finalmente mi ero guadagnato il tanto agognato quanto pregiatissimo trofeo. Ero felice come se avessi abbattuto un bel camoscio di dieci anni! Con quattro salti Reinhard recuperò la marmotta. Era un bel maschio e alla detta dell’austriaco rappresentava anche un buon trofeo. Gli facemmo velocemente i dovuti onori, scattammo qualche foto e riprendemmo la caccia alla ricerca di un capo per Pietro. Il mio amico fu più fortunato.
Conquistò la sua prima marmotta dopo neanche mezz’ora che avevamo riposto la mia nello zaino. L’abbatté pulitamente con un preciso colpo dalla rispettabilissima distanza di quasi 180 metri! Verso mezzogiorno, un sole implacabile ci ricordò che eravamo in agosto e ci costrinse a fare una breve sosta. Mentre ci rifocillavamo con barrette energetiche e the freddo, Reinhard andò in ferma come un setter e disse. “Chi sparare adesso?” “Io” gli risposi. Lui senza aggiungere altro volle in prestito il mio Geovid e rilevò una distanza. “Vicino a quelle rocce lassù c’è una grossa marmotta. E’ a quasi duecento metri. Vuoi tentare il tiro da qui oppure preferisci avvicinarti? Tribolai non poco per riuscire ad individuarla, ma quando lo feci, anche da quella distanza mi accorsi che l’animale era sì bello, ma per metà stava dentro la tana. In quelle condizioni non me la sentivo di azzardare il tiro, così dissi a Reinhard che avrei provato ad avvicinarmi per tentare un tiro “chirurgico”.
Mi tolsi zaino, giacca e gilet, mi rimisi il binocolo – telemetro al collo, ed impugnata la carabina presi a strisciare tra le rocce. Accostare un selvatico è la più grande soddisfazione che provo nella caccia. E’ in quell’occasione che un vero cacciatore deve confrontarsi con tutti gli sviluppatissimi sensi del selvatico. Controllai persino la direzione del vento. Ogni tanto mi fermavo per spiare l’animale che, sapevo, mi aveva già individuato e sarebbe bastato un piccolo movimento a farlo rintanare. Giunto a circa 120 metri di distanza decisi che non potevo pretendere di più. Preparai la carabina e feci il punto della situazione. La grossa marmotta era quasi tutta dentro la tana, ma vedevo distintamente la testa, il collo ed una piccola parte del petto. Armai lo stecher, mirai al collo, regolai la respirazione e feci fuoco.
La generosa e precisissima palla SPBT da 55 grani compì il miracolo; abbattendo istantaneamente il grosso roditore sul posto. Alle mie spalle esplose in coro un fragoroso Waidmannsheil e Reinhard, che non dimentica mai d’essere un professionista, mi chiese di recuperare subito il capo abbattuto e di rimuovere per bene il sangue dall’entrata della tana. Quella marmotta (un maschio anch’essa) fu il nostro record. Fu la più bella e la più grande delle sei che prendemmo in totale, e non ho ancora deciso se la farò naturalizzare su due o quattro zampe. Una cosa è certa: dopo che il buon Ugo Sapetti, il mio tassidermista di fiducia, l’avrà amorevolmente preparata, la metterò in un posto d’onore nella mia sala trofei dove senz’altro farà la sua bella figura. Gli riconoscerò il rispetto che merita e tutte le volte che avrò l’occasione di ammirarla il mio cuore correrà lassù, in quella splendida valle, tra le montagne incantate dove si sente fischiare tra le rocce.
La mia avventura in Austria a caccia di marmotte è stata resa possibile soltanto grazie alla cortesia dell’amico Nerino Storti, cui va tutta la mia gratitudine. Nerino gestisce da anni tre meravigliose riserve e cede abbattimenti a: forcelli, marmotte, caprioli, camosci, cervi e stambecchi. Chi fosse interessato a cacciare in Austria, può contattarlo telefonicamente al seguente numero: 3487322299.
VAI ALLA SEZIONE LE OTTICHE DI MARCO BENECCHI