Per quanto riguarda la caccia di selezione sull’Appennino e quella a palla in alta montagna, ritengo davvero esagerato che ogni cacciatore possegga e conduca un cane da traccia! Un paio di buoni soggetti per ogni distretto o per piccoli gruppi di cacciatori li vedrei sufficienti. Oggi, invece, portarsi dietro un hannoveriano, un bavarese o un bassotto tedesco a pelo forte è ormai diventata una consuetudine, una moda, come se ferire un grosso selvatico che pascola più o meno immobile sia una cosa comune, abituale. D’altro canto, in oltre mezzo secolo di caccia in Maremma, non mi è MAI capitato di vedere in azione cani da sangue dopo una battuta al cinghiale, dove di feriti se ne fanno davvero tanti, anzi oserei dire…troppi! Non è strano questo fenomeno ? A me sembra di si, infatti non mi sono mai spiegato perché molti cacciatori–conduttori di cani da traccia offrano spessissimo i loro servigi ai singoli cacciatori selecontrollori, pregandoli di chiamarli ogni qualvolta ci sia il “sospetto” di un ferimento, quando invece non si offrono MAI di dare un prezioso contributo al termine di una battuta di caccia al cinghiale. L’idea di scrivere un piccolo articolo sul penoso problema dei ferimenti durante una battuta al cinghiale m’è venuto dopo aver assistito impotente all’ennesimo scempio accaduto durante una bellissima cacciata nella splendida Val d’Orcia, una delle zone più belle e suggestive dell’intera Toscana. In quell’occasione praticamente la metà delle poste hanno ferito dei cinghiali che purtroppo non sono stati più recuperati.
Quel giorno arrivammo al raduno che faceva un caldo estivo e nel cielo bellissimo, reso terso da un lievissimo vento di grecale, volavano migliaia e migliaia di colombacci, tra le siepi saltellavano tordi e merli e, fin dove potevo arrivare con lo sguardo, tutti i prati erano punteggiati da macchioline rossastre con le zampe lunghe e i colli esili. Gian Paolo, il proprietario della tenuta che ci ospitava, quasi a voler rispondere ad una mia tacita domanda, mi confidò che la riserva era ricchissima di caprioli, tanto che forse ce n’erano addirittura troppi. Che valle da fiaba!
Dopo esserci registrati nel libro delle presenze, Io ed Alvaro, il mio compagno di avventura, prendemmo armi e bagagli ed aspettammo pazienti dove Massimo, che fungeva da capocaccia, avrebbe deciso di mandarci. Incrociai le dita perché conoscendo quelle zone e le abitudini dei cacciatori locali, mi sarebbe dispiaciuto se mi fosse capitata una posta sperduta in una larga arata a maggese.
Ahimè, non fummo fortunati! Infatti, come volevasi dimostrare, a me ed Alvaro ci piazzarono davanti ad un magico anfiteatro naturale con Montalcino a farci da sfondo ma a presidiare un campo arato simile ad una pista da sci o ad una duna desertica. I calanchi senesi sono famosi in tutto il mondo (anche grazie al film Il Gladiatore!) ma non dobbiamo dimenticare che si chiamano così perché tutt’intorno sono circondati da immensi campi seminati a grani. Tra canai e poste, saremmo stati poco più che una decina di cacciatori, per battere una striscia di boschi, canaloni, canneti ed incolti lunga due chilometri. Ovunque guardassi, vedevo giubbini arancioni (forse l’accessorio più prezioso del moderno cinghialaio), visibilissimi a grandissima distanza e in ogni dove. Con le poste ben messe sui poggi strategici, i braccaioli aspettavano di dare il via alla battuta ben schierati a fondovalle. I colombi nel cielo e i branchi di caprioli nei prati furono una piacevole costante per tutta la durata della battuta di caccia. Oltre a non piacermi stare appostato per una larga, odio usare l’ormai onnipresente radiolina! Perdonatemi ma proprio non la sopporto. Mi disturba talmente tanto, che potrei definirla quasi sacrilega! Quando partecipo ad una battuta di caccia al cinghiale mi piace viverla il più possibile a contatto con la natura, amo godermi tutti i rumori o assaporarne i silenzi. Il gracchiare dei vox nell’auricolare o i berci dei miei compagni di caccia non mi entusiasmano molto. Ma a Pieve a Salti, dove si caccia in pochi con degli spazi da coprire davvero molto ampi, mi spiace ammetterlo, ma la radio, più che utile, diventa indispensabile. Alla faccia della sincerità!
Massimo, riconoscendo le nostre capacità venatorie, si astenne dal farci le solite raccomandazioni sul dove e come tirare, ci consigliò soltanto di essere vigili e mobili, semmai avessimo avvistato dei selvatici non proprio a portata di tiro. Data la distanza che ci separava dal bosco e il grande spazio che i cinghiali avrebbero dovuto coprire per raggiungere la macchia alle nostre spalle, se fossimo stati pronti avremmo potuto tranquillamente tagliagli la strada, o fargli una “tracolla”, come diciamo noi in Maremma. Una volta deciso dove piazzarmi, eseguii le stesse operazioni che ripeto da sempre: sistemai il seggiolino a treppiedi, controllai che la pila del mio punto rosso fosse carica, cercai di individuare gli ipotetici passi per avere una certa idea da dove sarebbero potuti arrivare i cinghiali, camerai una 30.06 ricaricata con palle Nosler Ballistic Tip da 165 grani nella mia Browning BAR Long Trac Composite ed infine controllai per l’ennesima volta dov’erano di preciso le altre poste. Per radio annunciarono l’inizio della battuta con un semplice: “Occhio che sciogliamo!” e poco dopo i cani agganciarono subito l’usta giusta. Oggi i cinghiali non sono più quelli di una volta, durante le loro fughe prendono tranquillamente prati e campi aperti come se nulla fosse. Kira, la segugia maremmana di Massimo, non perdona. Fu una vera delizia sentirla abbaiare a fermo ma fu necessario mandarle dei rinforzi affinché i cinghiali stolzassero dalle loro comode lestre. Il mio amico Alvaro, che vedevo in lontananza, non stava un attimo fermo, e come lui molti dei nostri compagni di caccia appostati lungo i crinali, tutti impazienti di veder correre dei cinghiali per le larghe. Questo tipo di battute sono relativamente facili da svolgere, perché gli animali, indipendentemente che il vento sia favorevole o meno, una volta scovati e messi in movimento tendono ad allontanarsi subito dal disturbo provocato dai cani e dai battitori. Possono percorrere un tragitto più o meno lineare per farlo, ma la loro meta è sempre la stessa e quindi prevedibile! Dai latrati presi dai bravissimi segugi capii subito che i cinghiali mossi dovessero essere più di uno. Infatti ecco che vidi correre nel prato le prime familiari sagome nere.
Simpaticissimi e quasi spettacolari furono i colpi sparati, vedevo prima le fumate in terra e poi udivo gli spari, a causa della distanza e della direzione del vento. La prima fase della battuta fece contare un totale di ben quattro capi abbattuti, con altrettanti padellati o...feriti ed un paio di cinghiali riuscirono a svignarsela senza neanche essere stati presi di mira. Sono cose che succedono e ci può stare! Nella caccia la prima regola è accontentarsi sempre, mentre la seconda è chiudere la battuta possibilmente sorridendo con in mano un buon bicchiere di rosso, meglio ancora se di Brunello di Montalcino o di Montecucco! Mi concessi il lusso di fare quattro conti dai quali risultò che avevo già visto dieci–dodici cinghiali correre, una miriade di colombacci e un numero impressionante di caprioli. Pieve a Salti era davvero il paradiso dei cacciatori! Tramite Radio Macchia sentii che la bracca si sarebbe concentrata nel tratto di bosco sotto di noi e quindi non dovevamo fare altro che starcene tranquilli in attesa, sempre vigili e attenti. Ad un tratto sentii gridare “Attenti in alto che arriva!" e subito dopo Massimo fu ancora più preciso, “Marco e Alvaro state attenti che arrivano”. Quello fu l’avvertimento più bello che un appassionato di caccia al cinghiale in battuta possa mai sentirsi annunciare. Controllai che la sicura fosse nella posizione giusta e che il dot rosso avesse l’intensità adeguata, poi allertai tutti i sensi.
Avvistai subito due grossi cinghiali che correvano verso Alvaro e quello che mi meravigliò, e non poco, fu la destrezza con cui i selvatici correvano tra le zolle arate. Il mio amico non si fece sorprendere ed abbatté il primo con facilità con la sua bella Browning BAR MK3 30.06 dotata di ottica 4 x 24 con reticolo illuminato, poi sparò anche al secondo che, pur vistosamente colpito non cadde, ma riuscì a guadagnare il folto alle nostre spalle. Pazienza pensai, lo avremmo cercato dopo. Mentre stavo già pensando al recupero, nell’auricolare mi arrivò nitido un avvertimento: “Attento Marco te ne arriva uno senza cani!” Mi affacciai verso il bordo del bosco, appena in tempo per vedere un bel verro uscire dal bosco silenzioso e furtivo come un ratto che con foga prese a correre in diagonale sotto di me. Ne seguii affascinato il poderoso arrancare in salita, ma dovetti sbrigarmi ad abbatterlo con un colpo ben piazzato, prima che si allontanasse troppo. Fui doppiamente felice sia per l’abbattimento sia per il bel tiro, piuttosto impegnativo sui cento metri e rotti di distanza. Nel frattempo le scariche di fucileria si fecero frequenti e le successive notizie che arrivarono per radio non furono molto confortanti.
Giunse l’ora di pranzo e ne approfittammo per fare una pausa, per rifocillarci ma soprattutto per fare il punto della situazione. Come avevo ipotizzato in base ai colpi sparati e dalla direzione da dov’erano arrivati, quasi tutti avevano tirato almeno ad un cinghiale, ma la media colpi-abbattimenti non era stata certo entusiasmante. Praticamente erano stati catturati otto cinghiali ed altrettanti erano stati invece feriti. Non potevamo certo definirla un ottima media. Capisco che molti cacciatori erano stati costretti a sparare da lontano e contro animali in forte movimento ma questa non poteva essere certo una scusa per lasciare dei cinghiali agonizzanti nei boschi. Il fatto più grave di quel giorno fu che dei cinghiali feriti riuscimmo a recuperarne appena un paio, perché eravamo tutti piuttosto stanchi dopo aver “smacchiato” quelli abbattuti ed anche perché i cani non erano assolutamente specializzati nella cerca su traccia di sangue. Ecco, questo, perdonatemi, ma proprio non lo ammetto. Episodi simili non dovrebbero accadere mai mentre invece…. fidatevi, sono frequentissimi durante le battute al cinghiale. Possibile che nessuno si sia mai posto il problema del recupero dei cinghiali feriti? Possibile che a nessuno interessi davvero recuperare i capi feriti? Spesso sono proprio le stesse poste che hanno sparato a non voler cercare “BENE” un cinghiale ferito, accontentandosi di aver piazzato un colpo, anche se maldestramente. Quante volte vi sarà capitato di sentir dire: “Ragazzi, dal sangue che perde l’animale la mia non è stata certo una padella. Anche se non lo troveremo l’importante è che l’ho colpito! E tutto sommato è anche meglio così, evitiamo di fare una faticaccia ed anche le volpi e i lupi dovranno pur mangiare!” Provate un po’ a rispondergli voi a soggetti simili…
Vorrei concludere pregando i proprietari - conduttori di bravi cani da sangue - di adoperarsi affinché questo andazzo finisca, che si rendano disponibili ad aiutare le squadre, anche se spesso non se lo meriterebbero!
Marco Benecchi