Gennaio e febbraio sono i mesi preferiti da molte famiglie per andare a fare la famosa “settimana bianca” sulla neve, per sciare in una delle tante, splendide località montane italiane, ma esistono delle persone, come il sottoscritto, che hanno dei gusti un pochino più venatori sul come trascorrere qualche giorno sulla neve, magari senza gli sci ma imbracciando una bella carabina in acciaio inox e calciatura in materiale sintetico! E cacciare i caprioli in Ungheria dal mio carissimo, vecchio amico Laszlo, in pieno inverno, con la Puszta ricoperta di neve è davvero un’esperienza unica, bellissima.
Un vento siberiano trasformò la lunga strada che dovevamo percorrere in macchina per raggiungere le pianure magiare in un tunnel spettrale. La Slovenia, in particolare, sembrava uscita da un documentario sull’Antartide. Io e il mio compagno di avventura Pietro stavamo recandoci in quel bellissimo paese dell’Est Europa per la caccia ( consentita fino a fine febbraio ) a calvi di capriolo, vecchie femmine, giovani e piccoli dell’anno, con la possibilità di effettuare abbattimenti sanitari. A differenza di quel che si crede, anche gli ungheresi hanno i nostri stessi problemi di fascette-marca capo e piani d’abbattimento. E come tutti sanno, la caccia di selezione e di contenimento dei branchi non è una caccia facile, tutt’altro, perché i caprioli, già notoriamente molto schivi e diffidenti, dopo una lunga stagione di caccia (in Ungheria quella al capriolo apre il 15 aprile e chiude il 28 febbraio), corrono via al minimo segno di pericolo, si fanno prendere di mira per pochi attimi e lo fanno sempre da distanze elevate.
Per me la caccia in terra magiara, qualunque essa sia, è sempre indissolubilmente legata all’Agenzia LESLI CLUB e, indipendentemente se qualcuno abbia avuto o no la fortuna di avvalersi della sua organizzazione, non credo che esista un cacciatore europeo che non abbia mai sentito parlare di Laszlo Keresztes di Hòdmezòvàsàrhely. Laszlo è un vero “signore”, nel senso letterale della parola. Di lui mi piace praticamente tutto, come la bontà d’animo ad esempio, l’ilarità, la cultura, la passione per la musica, per le belle cose, per le opere d’arte e per tant’altro ancora, ma la caratteristica che mi ha sempre colpito in lui è la sua ferrea serietà come cacciatore. Per Laszlo organizzare una battuta a fagiani e lepri oppure alle femmine di capriolo equivale a preparare una grande caccia al bramito a un cervo Kapital.
Io e Pietro giungemmo nella sua casa talmente infreddoliti che prima ancora di disfare le valige decidemmo di farci una ristoratrice doccia bollente, non tanto per la temperatura esterna che sfiorava i meno dieci gradi, quanto per l’implacabile, gelidissimo vento proveniente da nord che, tra l’altro, avrebbe sicuramente condizionato l’andamento “balistico” della spedizione. La sterminata pianura ungherese era completamente ricoperta da un soffice e abbondante strato di neve che ci avrebbe favorito nell’individuazione dei caprioli, ma il vento trasversale sarebbe stato un vero incubo per eseguire tiri lunghi e precisi. Quando si parla di freddo, di neve e di radenza, ho sempre con me la fidatissima Remington 700 BDL Stainless Synthetic calibro 270 Winchester con ottica 10 x 50 e utilizzo palle Nosler Ballistic Tip da 130 grani. E’ una combinazione micidiale che mi permette di poter affrontare e risolvere con successo qualsiasi situazione potrebbe mai presentarsi in tutta Europa. Pietro aveva con sé una Weatherby Vanguard calibro 257 Magnum. Sicuramente il calibro è un po’ esuberante per il Folletto Grigio-Rosso ma adattissimo per tirare “anche” oltre i limiti del buon senso. Per completare la sua dotazione gli avevo montato e perfettamente tarato un cannocchiale 12 x 50 con reticolo illuminato e munizioni ricaricate dal sottoscritto con l’immancabile palla Nosler Ballistic Tip da 115 grani.
In Ungheria, come in tutta Europa, la caccia al capriolo si pratica in tre modi: dall’altana, alla “pirsch” , alla cerca oppure con il fuoristrada, un mezzo di trasporto che da diverso tempo ha sostituito il carro trainato dai cavalli. Non sto qui a criticare o ad elogiare quest’ultima forma di caccia, ma visto che ormai è la più praticata, sarebbe da ipocriti non annoverarla come tale, valutandone giustamente pregi e difetti. Gli accompagnatori ungheresi, che di caccia a palla se ne intendono veramente tantissimo, sostengono che quando si cacciano i maschi da trofeo a primavera e a luglio–agosto al “fischio” bisogna valutare bene il capo prima di sparare, ma quando si pratica la caccia di selezione e/o quella di contenimento dei branchi, bisogna essere veloci ed estremamente precisi nel tirare. I guardiacaccia sono propensi a farvi sparare dall’interno dell’abitacolo del fuoristrada, per non spaventare il selvatico e farvi usare come appoggio il vetro del finestrino, lo specchietto retrovisore o il cofano della macchina. Avete mai provato a tirare ad un capriolo da duecentocinquanta metri di distanza in quel modo? Credetemi, non è proprio il massimo. Quindi, se vogliamo trovare un giusto compromesso tra velocità di tiro e precisione, le alternative sono poche e tutte da eseguire sempre con l’ausilio di un buon bipede tattico o di un comodo zaino. Quando la conformità del terreno lo consente e se il selvatico oggetto delle nostre attenzioni ci concederà il tempo di uscire dall’autovettura, potremo sparare stando sdraiati in terra, ma se talora non fosse possibile, dovremo ricorrere al provvidenziale cofano della vettura o addirittura al tetto.
Non ricordo bene da quanto tempo vado a caccia in Ungheria ma “tanta acqua è passata sotto i ponti” dalla prima volta. Specialmente in inverno inoltrato, sono sempre stato accompagnato dallo stesso cacciatore che, secondo l’usanza, non poteva che chiamarsi Stefan, mentre quello di Pietro ovviamente Laszlo. E’ sempre piacevole costatare con quanta facilità sono in grado di muoversi sia gli uomini sia le loro spartane e vetuse jeep russe in quell’ambiente ostile. Venti, trenta e a volte anche più di quaranta centimetri di neve ghiacciata non ci hanno mai impedito di proseguire la nostra paziente ricerca del capo giusto. In funzione del piano d’abbattimento, eravamo autorizzati a cacciare le femmine di capriolo in tutte le classi di età, ma noi, di comune accordo, decidemmo di dedicarci prevalentemente alla selezione dei giovani e di tentare qualche abbattimento sanitario. In tre giorni di caccia, con partenza all’alba e rientro a notte fonda con una sola piccola pausa pranzo, ho abbattuto diversi capi, tra i quali molti sofferenti di dissenteria e una femmina adulta con un grosso tumore. Insomma, riportai una buona media di abbattimenti con tanti bei tiri. La mia Remington 270 Winchester si comporta sempre benissimo con ogni condizione climatica, sia che la usi durante la “settimana bianca” sia che la impieghi per la selezione nostrana in Maremma. Ad ogni colpo andato a segno aumenta sempre la fiducia che da sempre ripongo in lei. Dico ciò perché nessun giorno è uguale a un altro ed a tutti può capitare di passare periodi più o meno fortunati. In una giornata tipica di caccia “all’ungherese”, un buon guardiacaccia riesce a farti percorrere in fuoristrada non meno di un centinaio di chilometri. Non lo fa per farvi spendere denaro, assolutamente no, ma per cercare i capi giusti e/o per prelevare sempre in zone diverse. Durante quella comodissima caccia è sempre piacevole avvistare moltissimi selvatici come caprioli, daini, cinghiali, cervi, volpi, corvidi di tutte le specie, lepri e fagiani a migliaia e cesene ed allodole a nuvole.
Erano circa le dieci di mattina del terzo e ultimo giorno di caccia, quando c’imbattemmo in un piccolo branco di caprioli composto da cinque elementi. Stefan si sistemò gli occhiali, tolse la condensa sulle lenti del suo binocolo e cominciò la valutazione dei capi. Dopo pochi attimi sentenziò: “Marco, seconda shuta (femmina di capriolo in ungherese) da destra problemi culetto”. Quello è il suo solito, simpatico modo per indicarmi un capo afflitto dalla dissenteria e quindi da abbattere. Dal finestrino aperto della Lada Niva entrava un freddo polare ma mi feci ugualmente coraggio e scesi per mettermi in punteria sul cofano. I caprioli si trovavano a non meno di 180–200 metri ed erano sempre in leggero movimento. Stefan, che si è sempre dimostrato una persona tranquilla, quel mattino m’innervosì incitandomi in continuazione a tirare: ”Spara Marco, spara”. Così sparai e il risultato fu? Una bella padella! Risalii sulla jeep imprecando e partimmo subito all’inseguimento del branco in fuga, ovviamente non in linea retta, ma seguendo strade e sentieri coperti da una coltre abbondante di neve. Dopo una buona ventina di minuti riagganciamo i cinque caprioli nel bel mezzo della puszta, così fummo costretti a tentare di avvicinarci a piedi. Io e Stefan camminammo nella neve, che ci arrivava ai polpacci uno dietro l’altro fino a circa 150 metri dai selvatici, ma non potevo usufruire di nessun tipo di appoggio. Provai ad adagiare il bipiede esteso sulla neve ma l’intera carabina vi sprofondò dentro. Allorché presi di mira la femmina prescelta, puntellando il gomito sul ginocchio e, come decisi che fossi abbastanza fermo, strinsi di nuovo il grilletto. Sbagliata di nuovo. E che cavolo! Fino ad allora avevo portato una percentuale di tiri-abbattimenti eccellente. Dissi al mio accompagnatore che un selvatico, dopo averlo sbagliato due volte, forse sarebbe stato più saggio e giusto lasciarlo andare. Stefan invece m’incitò a riprendere la caccia con più fervore di prima.
Quel giorno il tempo era bellissimo, la temperatura era freddissima e fastidiosa a causa del vento, ma eravamo pur sempre in una zona meravigliosa, quasi magica. In lontananza avvistammo un grosso branco di caprioli e decidemmo di procedere con l’avvicinamento per vedere se tra loro qualcuno fosse degno della nostra attenzione. Mentre studiavamo la strategia migliore da adottare, da quattro cespugli bruciati dal gelo, cresciuti a ridosso di un vecchia fienile diroccato, partirono cinque caprioli. Stefan non ebbe alcun dubbio, era il gruppo che stavamo cercando, e l’ultima femmina sembrava che avesse difficoltà a star dietro ai compagni in fuga. Il suo specchio anale era completamente coperto di feci. Stefan mi fece capire che era sua intenzione tentare di tagliare la strada ai caprioli con il fuoristrada ma io gli ordinai: “Fermo! Fammi scendere, che provo a tirargli da qui!”. Veloce adagiai la Remington sul cofano della Lada Niva, regolai i piedini dell’Harris e inquadrai i caprioli in fuga che oramai si trovavano a notevole distanza. Orientai il reticolo del Leupold direttamente verso il bosco dove stavano dirigendosi ed attesi. Il primo capriolo vi entrò senza fermarsi, così come il secondo e il terzo, mentre il penultimo non solo rallentò, ma si concesse addirittura il lusso di strappare un boccone di paglia rinsecchita. La nostra femmina doveva essere stremata perché come lo raggiunse si fermò subito ansimante. Posizionai il Plex filo schiena e senza perder secondi preziosi strinsi il grilletto. Tutti e cinque i caprioli sparirono coperti dalla vegetazione, ma ebbi la sensazione che questa volta la BallisticTip da 130 grani fosse andata a segno. Il tempo di recuperare il bossolo e partimmo veloci attraversando direttamente la pianura innevata. Giunti sul punto dove avevo tirato al capriolo, Stefan, prima ancora di scendere dalla macchina, si voltò verso di me e mi gratificò con un sorriso. Anch’io avevo visto la stessa cosa che aveva visto lui. Piccole gocce color rosso acceso spiccavano nitide sulla coltre immacolata. La femmina giaceva pochi metri più in là. La presi per una zampa posteriore per portarla allo scoperto, costatai che il colpo era stato perfetto. Stefan mi confidò che dovevo essere molto orgoglioso dell’abbattimento e soprattutto della bella azione di caccia. In quella zona avevano ancora molti capi da prelevare ma la mia vecchia e saggia guida disse che per quel pomeriggio sarebbe bastato così. Quando ci viene concesso di vivere dei momenti così belli, così intimi in posti tanto belli non bisogna strafare. Così, senza rancore, scaricai la Remington e con un familiare senso di appagamento misto a freddo e stanchezza, chiesi a Stefan dove potevamo andare a berci un bel thè caldo come solo un vecchio guardiacaccia sa preparare!
Marco Benecchi