Quando il 747 dell’AirBaltic atterrò, tirammo tutti un gran sospiro di sollievo. Finalmente eravamo giunti a Tallinn, la bellissima, caratteristica capitale dell’Estonia. Nonostante la temperatura non fosse certo mite, iniziai subito a sudare, perché prevedevo il solito calvario che io e Pietro, il mio compagno di avventura, avremmo dovuto subire per sdoganare armi e bagagli. Invece, dopo neanche avere avuto il tempo di prendere un pessimo caffè all’americana, vedemmo con piacere che i nostri bagagli stavano già girando sul rullo di recupero, mentre le nostre belle custodie rigide contenenti armi e munizioni erano già ben allineate vicino all’uscita. Il gentile signore addetto ai carichi speciali, dopo aver controllato solo i nostri biglietti, ce le consegnò con molto garbo, tanto che quasi mi aspettavo che ci augurasse anche “buona caccia!” All’uscita trovammo subito ad attenderci Samuele De Pizzol, un simpatico ragazzone che dal 2007 organizza battute di Caccia in Estonia, il quale, veloce e senza troppi preamboli, caricò i nostri bagagli nel suo capiente fuoristrada. Partimmo subito alla volta della riserva, che ci avrebbe ospitato per ben sei giorni. Era da parecchio tempo che avevo pianificato di visitare quella bellissima repubblica baltica e finalmente ora quel sogno si stava avverando. Lo scopo primario della spedizione era sempre lo stesso, il mio incubo peggiore, la mia ossessione, quella di abbattere un grande alce da trofeo. Percorremmo i cento chilometri che ci separavano dalla regione di Harjumaa quasi senza accorgercene, senza incontrare anima viva. Era quasi mezzanotte e una nebbia spettrale c’impedì di vedere la natura dei paesaggi che stavamo attraversando.
Arrivati a destinazione ci sistemammo al meglio in un piccolo cottage molto caratteristico, costruito completamente in tronchi di legno. Era composto da una minuscola sala da pranzo, tre camere da letto, un bagno con doccia, ovviamente di riscaldamento autonomo e addirittura di una sauna. Scaricammo i bagagli e prima di cadere “svenuti” sui letti ci demmo appuntamento per l’alba dell’indomani. Dato che non avevamo avuto il tempo di accendere il camino, durante la notte sentimmo un po’ freddo, ma fortunatamente la sveglia non si fece attendere. Senza neanche fare colazione, in quattro e quattr’otto eravamo già pronti, e come aprimmo la porta di casa per vedere come fosse il tempo, trovammo già due Toyota Hilux ad attenderci. Dio, quanto mi piacciono le persone puntuali, anzi quelle che arrivano con dieci–quindici minuti di anticipo! Dopo un’infinità di strette di mano ci furono presentate le nostre rispettive guide. Jury, quello che poi risultò essere il capocaccia del Club della zona, c’illustrò brevemente come si sarebbe svolta la caccia. Io avrei cacciato con lui mentre Pietro sarebbe stato accompagnato da Ivan, un altro bravissimo cacciatore locale. Samuele, impegni permettendo, ci avrebbe fatto da interprete a turno. Jury, con il suo sorriso gioviale, quasi infantile alla Tim Robbins (chi di voi non ha visto uno dei più bei film degli ultimi trent’anni: Le ali della libertà?) ci sollecitò di partire subito, perché voleva portarci a visitare le saline e a controllare cosa potevano aver immortalato le fototrappole sparse per la riserva. Ci consegnò le nostre licenze estoni e poi volle controllare le nostre armi.
Com’era già capitato cacciando in altri Paesi dell’Est Europa, agli estoni sfuggirono dei sorrisi quando conobbero i nostri calibri. Dissero che in tutto il Paese usavano esclusivamente quattro calibri: il 222 e il 223 per la piccola selvaggina pregiata da pelliccia, per i tetraonidi e per i nocivi, mentre si affidavano totalmente al 308 e al 30.06 per tutte le altre specie cacciabili: dal lupo all’alce. Io avevo con me una Blaser Professional Grey in calibro 300 Winchester Magnum dotata di ottica variabile 2,5–15 x 56 P, mentre Pietro sperava di utilizzare una bella carabina Weatherby calibro 300 Weatherbyr Magnum con ottica 2,4–16 x 56. Jury e Ivan ci avrebbero supportato con le loro strausate Tikka T 3 in calibro 30.06, secondo loro il calibro più adatto per la caccia alle grandi alci! Dopo una decina di chilometri percorsi senza incontrare anima viva, i due comodi veicoli presero direzioni diverse. Mentalmente mandai al mio compagno d’avventura un “in bocca al lupo”, certo che anche lui stesse facendo lo stesso. Jury ed io percorremmo ancora almeno un’altra decina di chilometri prima che il grosso veicolo parcheggiasse nel bosco. Da quel momento in poi avremmo comunicato soltanto a gesti.
Jury mi consigliò di lasciare lo zaino e di prendere solo la carabina. C’inoltrammo all’interno di una sterminata foresta di betulle, procedendo molto cauti perché il sottobosco, paludoso e disseminato di felci, licheni e ortiche enormi, era davvero insidioso e quindi dovevamo stare molto attenti a dove mettevamo i piedi. In pochi minuti arrivammo in una radura, dove al centro spiccava un grosso palo sormontato da un enorme blocco di sale. Tutto intorno erano visibilissime molte tracce vecchie e nuove e molte fatte di alci. Jury andò deciso verso un albero dov’era appesa ben mimetizzata una piccola fototrappola. Recuperò la sim e, silenziosi com’eravamo arrivati, ci allontanammo. Nell’ora successiva ripetemmo la stessa operazione ben quattro volte, poi ci appostammo in prossimità di un’immensa tagliata e ci mettemmo in attesa. Il tempo scorreva lentamente e nel frattempo iniziò anche a piovere. Alle 8,30 Jury, che non parlava una sola parola d’inglese, ma solo l’estone che secondo me è simile all’arabo, gesticolando mi fece capire che era l’ora di rientrare. Alla casa di caccia ci riunimmo con Ivan e Pietro per scambiarci le nostre opinioni su quella prima uscita. Mentre Jury visionava le sim nel suo pc, Ivan ne approfittò per riaccompagnarci alla nostra bella casetta di tronchi nel bosco per farci fare colazione. Il resto della giornata lo dedicammo ad ambientarci e a riposare, ma alle diciotto in punto le belle Toyota, puntualissime, vennero a riprenderci. Jury decise di appostare me e Pietro in prossimità di due saline dove, tramite le notizie ricevute dalle fototrappole, sapeva con certezza matematica quanti e quali selvatici transitassero in quelle zone.
Giunti dov’era la mia, ebbi una piacevolissima sorpresa. Anzi, forse la più bella che può avere un cacciatore italiano quando va a caccia all’estero: Jury mi fece salire sopra a una minuscola altana (per fortuna coperta) e dopo avermi salutato con un: “Shot All Moose”, mi lasciò completamente……….. SOLO!!! Ma quale onore! Forse la mia fama di discreto cacciatore doveva avermi anticipato. Mi sistemai alla meglio come ho già fatto in passato migliaia di volte a cacciare per il mondo e mi misi in attesa. Col mio 8 x 42 controllai praticamente tutte le possibili distanze di tiro. Costatai con piacere che avrei avuto una buona visuale fina a circa 150–160 metri, che non erano male finché ci fosse stata luce, ma impossibili da sfruttare a notte fonda. La salina si trovava invece a settanta metri esatti. Così pensai che l’altana, o più facile la salina, fossero state posizionate proprio in funzione di quella distanza, perché era troppo precisa per essere casuale. Durante l’attesa non vidi nessun animale da pelo, mentre nel cielo plumbeo vidi volare di tutto: oche, anatre, cesene, tordi, merli, tordici e beccacce. Purtroppo alle diciannove e trenta non riuscii più a distinguere né il palo con il sale né addirittura la piccola radura dov’era posizionato. Tanto per completare la coreografia “nordica” iniziò anche a piovere.
Perfetto! Erano circa le venti quando sentii distintamente un leggero sfascare. E adesso? Che si fa? Il mio fratellone di macchia Filippo, per il mio ultimo compleanno mi aveva regalato una bella minitorcia da “capo”, così me la misi in testa con l’elastico, l’accesi e la puntai verso la salina. Cosa vidi? Praticamente una montagna di pelo nero con le zampe bianche che leccava il legno impregnato di sale. Era una grossa femmina senza vitello, perfetta per essere abbattuta. Aspettavo un maschio, ma un alce è sempre un alce! Nonostante le flebile luce prodotta dalla piccola torcia riuscii ugualmente a piazzare un colpo risolutore. L’animale, pur ben colpito, prima di cadere mi fece anche la cortesia di allontanarsi dalla salina per una ventina di metri. E uno pensai! Non male come primo giorno di caccia. Nel frattempo, la pioggerellina da insistente era diventata quasi un diluvio. Jury non sarebbe arrivato che alle ventidue, così mi strinsi nel giaccone e cercai di ripararmi al meglio. Quando il quadrante dell’orologio segnò le 21,30, decisi di ricontrollare la salina sempre con l’aiuto della minuscola, provvidenziale minitorcia. L’accesi e come d’incanto nel cono di luce giallastra apparve una giovane femmina di alce. Era ferma vicino al palo e guardava nella mia direzione. Per mettermi in punteria e tirare non impiegai più di quattro–cinque secondi. E due!! Per l’occasione ho usato delle munizioni originali RWS UNI–CLASSIC ex TUG da 180 grani che mi erano state date in regalo come dotazione quando acquistai l’arma. Ebbi appena il tempo di ricaricare la Blaser che in lontananza vidi i fari del fuoristrada di Jury in avvicinamento. Non so descrivervi la gioia dell’estone quando seppe cosa avevo combinato e appena vide le prede abbattute.
Nel giro di quindici–venti minuti arrivarono anche Pietro e Ivan (che non avevano avuto fortuna) e un ragazzone a bordo di un Quad munito di carrello. Come raggiunsi le due alci abbattute, rimasi come al solito impressionato dalla loro mole, che stimai sui quattro quintali la più grande e un po’ meno la più piccola. Mi stupii anche della perfetta organizzazione e coordinazione delle tre guide estoni. Il tempo di scattare qualche foto e di rendere i dovuti onori alle mie due prime prede baltiche che Jury & C provvidero velocissimi al recupero delle spoglie. Ivan si accollò di nuovo l’onere di riportarci alla casa di tronchi per farci rifocillare. Il secondo giorno fu praticamente identico al primo, solo che la sera non sparammo né io né l’amico Pietro. Alla faccia dei vari furbastri, ma che dico furbastri, dei vari idioti, che considerano la caccia all’estero come una forma di comodo prelievo presso un supermercato! Il giorno seguente, il terzo, era sabato, e di sabato ogni buon cacciatore estone che si rispetti va a caccia di alci e cinghiali in battuta nella riserva gestita dal suo Club. Pietro ed io come potevamo mancare? Jury ci comunicò la bellissima notizia poco prima di farci coricare, contribuendo così a farci dormire male.
Era ancora buio pesto quando, ancora insonnoliti ma euforici, ci vestimmo veloci, ognuno prese il proprio zaino, ricontrollammo le nostre armi e poi via di corsa al briefing mattutino. Cadeva una leggera ma insistente pioggerellina che lì per lì non ci diede fastidio, ma al rientro ci costrinse tutti a metter mano alle aspirine. Oltre a noi due italiani, il nostro gruppo era composto da altri quindici cacciatori locali. Jury, indubbiamente era il capo e c’illustrò più a gesti che a parole tutto quel che c’era da sapere per cacciare le alci e i cinghiali con successo e in completa sicurezza. Ci consegnò anche dei gilet arancioni ad alta visibilità e da lì a pochi minuti ci ritrovammo tutti impostati equidistanti in posti strategici. A me toccò, credo, una buona posta. Controllai con occhio critico la zona adiacente la mia postazione e mi ritenni abbastanza soddisfatto.
Devo ammettere che non ero abituato ad avere dei vicini di posta distanti cento metri, ma come dice il proverbio? “Paese che vai usanze che trovi”! Almeno così le possibilità che avvenissero degli incidenti erano drasticamente ridotte. Camerai una TUG da 180 grani nella canna della mia Blaser, ne stipai altre tre nel caricatore e controllai che gli ingrandimenti dello Swar fossero sui 2,5, poi mi misi in attesa con tutti i sensi all’erta. Non passò neanche una mezz’ora che dall’interno di una sterminata foresta di betulle e conifere avvertii degli abbai. Jury & C avevano liberato non meno di sei–sette cani, tutti dotati di localizzatore GPS, che evidentemente sapevano il fatto loro. In Estonia si praticano delle battute che io oserei definire “dinamiche”, perché dopo aver dato una prima impostazione alla battuta, si seguono gli spostamenti dei singoli cani con i localizzatori GPS e si cambia di continuo la disposizione delle poste spostandosi in fuoristrada o in Quad. E’ un tipo di caccia difficile, anche un po’ pericolosa, ma molto divertente ed emozionante.
Secondo me, per quanto gli Jamnthund e i Laika possono essere bravi, hanno un bruttissimo difetto: non abbaiano durante la seguita, ma soltanto quando hanno l’animale a fermo. Infatti può capitare di sentirli abbaiare a centinaia di metri mentre invece, quando stanno zitti, ti ritrovi con il selvatico addosso. Udimmo un singolo sparo, seguito poco dopo da altri tre. Mimai al mio vicino munito di radiolina le corna di un alce e lui mi rispose mostrandomi invece delle zanne. Segno inequivocabile che i bravi ausiliari dovevano aver scovato dei cinghiali. Fu soltanto alla terza “dynamic Battue” che riuscii a scorgere i primi animali. Il mio vicino di turno, che doveva avere una fortuna mostruosamente proibita, in meno di un’ora sbagliò un cinghiale ed un alce, abbatté una femmina gigantesca e non fece in tempo a tirare ai suoi due vitelli. Mentre io, invece, lì a guardare... Credo che il mio digrignare dei denti dovettero averlo sentito fino a Tallinn. Poi un bravo Jamnthund agganciò una buona pista e in men che non si dica suonò la “campana a morto”, come gli svedesi chiamano l’abbaio alla ferma sull’alce. Alla fine della giornata si tirarono le somme.
Un anziano signore aveva abbattuto una grossa femmina con un sol colpo di 308. Due arcigni “canai” estoni avevano preso 2 grossi cinghiali e così via. Il tableau totale fu di 5 alci, tra femmine giovani e di 4 cinghiali. Purtroppo nessun Bull era rimasto “impigliato” nella nostra rete. Alla faccia dei grossi e potenti calibri, erano state utilizzate solo armi calibro 308 e 30.06 con palle SP da 180 grani Sieller & Bellot. Eravamo tutti felicissimi, anche se io e Pietro lo saremmo stati di più se fossimo stati noi quelli che avevano premuto il grilletto! Per quel giorno ci dovemmo accontentare così, anche se la sera ci toccò sorbirci le solite tre–quattro ore di altana presso le ormai familiari saline. Ma dove cavolo erano andati a finire i maschi? Se c’è una cosa che ho ben capito in tanti anni di caccia è che non ha senso agitarsi per quello che non puoi controllare. Un doveroso elogio deve essere fatto al mio abbigliamento, tutto by BERETTA, che s’è dimostrato assolutamente valido sia contro l’acqua sia per il freddo. Il giorno seguente, domenica, il copione si ripeté, ma con meno fortuna perché in tre – quattro “dynamic Battue” riuscimmo ad abbattere solo due modesti cinghialotti.
Comunque, almeno per me, il piacere di essere stati accolti in quella ristretta, elitaria comunità di cacciatori esperti, di essere stati considerati come dei loro vecchi compagni di caccia compensò gli oneri dell’intero viaggio. Scaldarsi insieme al fuoco, mangiare e bere le stesse vivande è stata una esperienza davvero indimenticabile. Anche quella sera si ripeté il solito rituale, ma con un piccolo diversivo…Quella notte Pietro riuscì finalmente ad avvistare un grosso maschio. Purtroppo una serie di piccoli, sfortunati equivoci gli impedì di concludere positivamente. Stavamo cacciando alci in Estonia, non cinghiali in Maremma, quindi l’esperienza in materia era alquanto relativa. Su consiglio delle guide avevamo portato anche delle potenti torce per poter sparare, all’occorrenza, anche a notte fonda, ma per quanto Ivan e Pietro si fossero prodigati non erano riusciti a portarsi a tiro utile del grande alce. Nonostante il pacchetto di caccia prevedesse cinque notti con quattro giorni di caccia e noi ne avessimo aggiunto un quinto, “la sabbia nella clessidra” scorse troppo presto.
Ci ritrovammo alla vigilia della partenza con in carniere le mie due sole femmine abbattute e con il povero Pietro che non aveva visto neanche quelle. Jury era molto più affranto di noi, sempre se fosse stato possibile. Quasi mi chiese il permesso di autorizzarlo a portarmi per l’ennesima volta nella stessa zona, perché dalle immagini estrapolate dalle fototrappole, la solita salina era frequentata veramente da un grande maschio palmato. Dov’era il problema? Gli risposi. Solo gli stupidi danno per scontato un esito positivo nella caccia a palla. Io, pur apprezzando i bei palchi (negarlo sarebbe da ipocriti) non ho mai subito la “febbre” del collezionista; per me quel che conta, è sempre stata e sempre sarà l’azione di caccia, indipendentemente dal valore e dall’importanza del selvatico cacciato. Quindi potevo ritenermi soddisfatto anche così, ma mi dispiaceva per Pietro, che ancora non era riuscito a sparare un colpo decente. Ma la speranza è l’ultima a morire e visto che era l’ultimo giorno di caccia e l’ultimissima uscita, tutti noi, all’unanimità decidemmo di anticipare l’uscita per poterci godere qualche ora ancora quegli splendidi territori. E la decisione si dimostrò subito vincente. Jury ed io avvistammo ben cinque alci (tre femmine adulte con due piccoli in tre occasioni diverse, ma non fui autorizzato al tiro perché avevo già abbattuto i miei due calvi) mentre Pietro, allo stesso modo, riuscì finalmente ad abbattere un giovane vitello. Come si dice? Proprio in zona Cesarini. Purtroppo non è andata come avevamo sperato che andasse, ma pazienza. Forse sarebbe potuta andar meglio ma anche peggio. Indubbiamente la dedizione di tutta l’organizzazione è stata totale, ed anche se non abbiamo avuto l’occasione di sparare ad un maschio da trofeo, non potevamo che ritenerci molto soddisfatti. Cacciare alci & cinghiali in battuta e all’aspetto in Estonia è stata un’esperienza bellissima, assolutamente da ripetere; considerando anche che i costi sono stati abbastanza contenuti. Speriamo soltanto che la prossima volta, Diana, Sant’Uberto, e chissà, forse anche Odino, sapranno darci la benedizione giusta!
Marco Benecchi
ARMI e MUNIZIONI
Tutti i cacciatori che abbiamo conosciuto in Estonia erano armati con carabine Tikka, Sako, CZ o Remington calibro 30.06 o 308. Le ottiche non ve le descrivo perché non ci credereste. Marche sconosciute con le quali in Italia non praticheremmo nemmeno il tiro in cava, loro invece ci cacciano orsi, alci, linci e lupi all’aspetto di notte! Io avevo con me una Blaser Professional calibro 300 Winchester Magnum (della quale possiedo anche una seconda canna calibro 257 Weath. Mag), con attacchi a sgancio rapido originali e cannocchiale 2,5–15 x 56 P. Ho usato cartucce originali RWS con palla UNI- CLASSIC ex TUG da 180 grani. Pietro aveva una carabina Weatherby calibro 300 Weath Mag dotata di ottica 2,4–16 x 56 e munizioni (ricaricate dal sottoscritto) con palle Nosler Partition da 180 grani. Dopo quel che ho visto, per la caccia all’alce mi permetto di consigliare calibri dal 308 Winchester in su, con una netta predilezione per il 30.06 e per l’8 x 57 JS (JRS), caricati con palle pesanti e ad espansione controllata. Di solito il tiro avviene entro i cento metri. Calibri esageratamente potenti e radenti non sono necessari.
CONSIDERAZIONI FINALI:
Nei paesi Baltici, come in quelli Scandinavi, sono autorizzati soltanto quei calibri che usino un proiettile di almeno 10 grammi (156 grani), che abbia un’energia uguale o superiore a 200 chilogrammetri a cento metri. Già da soli questi dati ci confermano che, a dispetto delle apparenze, l’alce non è un forte incassatore. Un grosso “Bull” ha un’area vitale grande quanto un televisore di medie dimensioni e se ben colpito da una buona palla in zona cardiovascolare o nei polmoni difficilmente fa molta strada. Non dobbiamo comunque dimenticare che stiamo parlando di un selvatico forte e robusto che spesso supera la mezza tonnellata di peso. L’arma migliore per la caccia all’alce alla cerca, che possa andar bene anche per la battuta e l’aspetto, deve essere leggera, corta e maneggevole. Deve avere delle visibilissime mire da battuta, uno scatto diretto ed un’ottima impostazione. Una carabina che abbia le suddette caratteristiche va più che bene, ma, specialmente in battuta, sono molto indicati anche gli Express (sia giustapposti che sovrapposti) e le carabine semiautomatiche. Quando si praticano cacce così impegnative poter disporre di due o più colpi in rapida successione può fare veramente comodo.
L’ALCE EUROPEO
L’alce europeo ha, più o meno, le stesse abitudini di quello del Nord America e dall’Eurasiatico (il grande alce siberiano e quello della penisola del Kamchakta), ma si distingue perché leggermente più piccolo di mole. E’ un selvatico molto diffuso in tutti i Paesi Scandinavi e in buona parte del Nord Europa. E’ presente in Polonia, in alcune Repubbliche baltiche e in molti dei Paesi dell’Ex Unione Sovietica, dove la specie gode di ottima salute anche grazie ad una caccia regolamentata e selettiva. Questi sono i suoi dati sistematici, biometrici e morfologici: Classe: Mammiferi; Super ordine: Ungulati; Ordine: Artiodattili; Sottordine: Ruminanti; Famiglia: Cervidi; Gruppo: Telemetacarpali; Sottofamiglia: Odocoilini; Genere: Alces; Specie: Alces; Sottospecie Alces alces alces. Lunghezza del corpo: 200–300 cm; Altezza al garrese: 160-200 cm; Peso: 250–600 Kg; Accoppiamento: Settembre–Ottobre; Gestazione: 224 – 243 giorni; Parto: Maggio–Giugno; Nascituri: 1–2; Lunghezza media della vita: 8–10 anni, ma si conoscono casi di addirittura 15–16 anni. Il trofeo cade da dicembre a febbraio e rispunta in primavera fino allo sviluppo completo, privo di velluto, in agosto. I francesi lo chiamano Elan, i tedeschi Elch–Eleutier, gli inglesi Elk, i russi Los, i norvegesi Elg, gli svedesi Alg e i finlandesi Hirwi. E’ un ottimo nuotatore e un possente corridore, i suoi lunghi arti gli permettono di raggiungere i 55 km/h anche su terreni impervi e/o innevati.
L’alce ama la tranquillità che possono offrire le immense foreste di conifere, latifoglie, faggeti, betulle e le paludi e gli acquitrini. Si pensa che in passato fosse presente addirittura nelle pianure lombarde. Si nutre soprattutto di foglie di salice, di betulle, di ontano e di sorbo, ma non disdegna felci, muschi, licheni e le piante acquatiche. Ma è quasi certo cha alla base della sua alimentazione ci sia il salice, perché s’è notato che dove questo albero manca l’alce non prospera e i suoi palchi sono scadenti. Vive isolato o in piccoli gruppi e, oltre all’orso e ai lupi (se in branco), non teme nessun altro predatore, anche se si racconta che in condizioni particolari è stato abbattuto persino dai ghiottoni, di cui conosciamo l’aggressività e la ferocia. Nel Continente europeo la caccia all’alce si pratica in battuta, all’aspetto (Stalking), alla cerca (Walking) durante il periodo degli amori, anche con l’uso di un richiamo, e alla “ferma” con l’ausilio di un buon cane specializzato di razza Jamthund, Grahund o Ostsibirisk Laika.
La caccia in battuta è simile a quella praticata per tutti gli altri ungulati, ma all’alce si svolge con poche persone e con un massimo di due–quattro cani. La caccia all’aspetto si pratica in solitario e in zone dove la densità dei selvatici è molto alta. Lo si attende all’alba e al crepuscolo ai margini della tundra o presso gli acquitrini, dove è solito uscire in pastura. La caccia alla cerca si svolge invece nei boschi radi e abbastanza puliti, dov’è maggiore la visibilità anche a lunga distanza. E’ preferibile praticarla durante la stagione degli amori e accompagnati da una espertissima guida locale che, all’occorrenza, riesce a individuare ed attirare i maschi anche con l’aiuto di un richiamo acustico.
L’ultima tecnica di caccia è quella alla “Ferma”, ed è la più bella, la più difficile e la più emozionante e che andrebbe provata da tutti almeno una volta nella vita. Cercherò di descriverla, ma difficilmente riuscirò a trasmettervi le emozioni che è in grado di suscitare. La caccia alla “Ferma” con il cane, come s’intuisce dal termine stesso, consiste nel cercare le tracce di un grosso alce, seguirle, liberarci sopra uno o due specialisti di razza Jamthund o Grahund che sembrano un incrocio tra un Husky-Malamute e un lupo siberiano, ed aspettare che questi lo scovino.
Una volta trovato l’alce, un buon cane lo deve bloccare per consentire al cacciatore di abbatterlo con un colpo preciso dopo averlo attentamente valutato. Purtroppo è più facile a dirsi che a farsi, ed il bello sta tutto lì. Innanzi tutto ci sono da percorrere diversi chilometri prima di trovare la traccia giusta su cui liberare il cane, inoltre non è detto che il cane trovi subito l’alce, anzi spesso il preziosissimo ausiliare si allontana talmente tanto che il conduttore per mantenere il contatto è costretto a mettergli un radiocollare satellitare. Raggiunto l’alce, il cane deve cercare di bloccarlo abbaiando e ringhiando in attesa del cacciatore. La guida che lo accompagnerà, potrà capire dai latrati se l’alce è finalmente alla ”Ferma” così, dopo aver impartito all’emozionantissimo cacciatore le ultime istruzioni, lo autorizzerà ad avvicinarsi da solo per tentare il tiro da breve distanza. Si caccia nel folto, spesso con la neve o negli onnipresenti acquitrini, ed evitare di far rumore è quasi impossibile.
LA CACCIA IN ESTONIA
La caccia in Estonia è organizzata in riserve che vengono date in concessione per periodi di diversa durata (da 1 a 10 anni) a soggetti privati o a club. Una riserva di caccia deve avere una dimensione minima di 5000 ettari ma per la gestione può essere suddivisa talvolta in parti più piccole affidate a soggetti diversi. La nostra caccia è stata organizzata nella regione di Haarjumaa. Gli ungulati cacciabili in Estonia sono alci, cinghiali, caprioli, orsi bruni, lupi e linci. In quanto ai primi 3, prima dell’apertura della caccia, ad ogni riserva viene indicato il numero MINIMO di capi da abbattere, suddiviso di norma in 33% maschi adulti, 33% femmine, 33% piccoli. Una volta raggiunto il numero minimo di capi da abbattere si può fare richiesta per ulteriori capi, che però non necessariamente verranno concessi (ad eccezione del cinghiale che di norma viene sempre concesso senza limitazioni). In quanto agli altri 3, le licenze vengono concesse per regioni (e non per riserve).