La definizione, ottocentesca, è di Bonaventura Crippa, e non potrebbe essere più efficace.
Si legge nel numero di ottobre de “I nostri cani”, organo ufficiale dell'ENCI, in un bel servizio sullo spinone. E finalmente si torna a parlare di una magnifica, antichissima razza italiana e di un vero cane da caccia.
In proposito l'ing. Santarelli, grande appassionato di cani “rustici”, ripeteva continuamente che è inutile chiamarlo spinone italiano, perché è la sola razza a pelo duro che porta questo nome. Gli altri sono griffoni. È vero. Forse è stato così in passato perché morfologicamente assomiglia al bracco, che va comunque precisato, visto che sono tanti. Un tempo i nostri vecchi dicevano: - Prendi uno spinone, così d'inverno avrai un cane riparato dal pelo, mentre d'estate lo tosi e vai a caccia con un bel bracco italiano.
Contento che se ne parli e dispiaciuto, invece, nel dover constatare che i soggetti iscritti annualmente in Italia continuano ad essere veramente pochi, e che all'estero (Gran Bretagna, Stati Uniti e molti Paesi dell'Est europeo), è più apprezzato e utilizzato come cane da compagnia che a scopo venatorio.
Il che è veramente un peccato. Lo spinone è un cane solido, rustico, vigoroso, di carattere docile, paziente e socievole, che si presta a cacciare tutta la selvaggina su tutti i terreni. Il suo trotto caratteristico, ampio e vigoroso, mette allegria anche nelle giornate storte.
Chi ha avuto la fortuna di conoscere Francesco Pestellini, scrittore e giornalista, avrà certamente sentito raccontare quello che poi ha scritto. “.... nei paduli di Fossavecchia, in quel di Camaiore, m'imbattei in uno spinone dalle forme imponenti, che, piantato in mezzo al sentiero sul mio passaggio, le zampe anteriori divaricate nella stortura ercolina, fissava umanamente con le sue pupille scintillanti, seminascoste da due ciuffi di peli duri e giallastri, me e il mio schioppo, menando festosamente il suo bravo mozzicone di coda.
Era Rodi, il cane del marito della Pelosa, una vecchia donna barbuta proprietaria di una catapecchia dove si fermavano i barrocciai per bere un bicchiere e mangiare un boccone”.
Lo comprò per 60 lire, e furono come due anime in un nocciolo per tutto il primo anno di Università a Pisa. Una matricola della facoltà di Legge e un grande spinone.
Ovviamente è cambiato tutto, ma auguriamoci che resti lo spinone.