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feb1 01/02/2016
Di recente ho partecipato ad una battuta alle beccacce in un paese baltico, con due amici carissimi e provetti beccacciai, e all'origine di queste note c'è un confronto tra tecnica venatoria attuale e quella dei miei tempi.
La caccia alla beccaccia (che ho praticato per una ventina di anni, a partire dal 1953, nei boschi cedui collinari dell'Alto Lazio) è, a mio avviso, la più sportiva ed appassionante delle cacce perché solo un'arcana “possessione” può spingere il cacciatore a marce faticose in ambienti ostili per la ricerca aleatoria di un selvatico raro, imprevedibile e misterioso.
Nel bosco che, ricorda l'ambiente primigenio, senza i filtri della civiltà, il cacciatore torna a percepire il respiro profondo della terra, a misurare il tempo sulle ore di luce e la distanza sulla forza delle gambe; gli stimoli della fame, della sete, della stanchezza, tornano ad essere autentiche necessità fisiologiche e, alla fine della battuta, il loro soddisfacimento procura inedite sensazioni di benessere psico-fisico.
La caccia in generale è l'evocazione metaforica della lotta per la sopravvivenza dell'uomo primitivo e in particolare la caccia alla beccaccia (unico vero selvatico rimasto) è sentita come archetipo del più profondo istinto venatorio.
Ai miei tempi la caccia alla beccaccia con il cane da ferma, (praticata da pochissimi appassionati), più che un'attività ludica, era considerata una parte della vita stessa (che ne risultava condizionata) soggetta a protocolli, consuetudini e regole trasmesse da una generazione all'altra.
Il vero beccacciaio preferiva cacciare da solo (anche se un secondo fucile avrebbe favorito il carniere) perché la sintonia telepatica e il rigoroso silenzio necessari nella fase conclusiva che precede lo sparo, sono difficili da conseguire e poi, il meno esperto dei due sarebbe risultato quasi sempre penalizzato (l'altruismo è poco praticato dai beccacciai).
Allora si diceva scherzosamente che “la caccia alla beccaccia è così bella che è un peccato dividerla in due”.
I boschi erano transitabili per i varchi e i camminamenti aperti dai taglialegna, dai carbonai e dal bestiame brado (che puliva il sottobosco e fecondava il terreno con il letame).
Il collegamento con il cane, necessariamente a cerca ristretta, era assicurato solo dal "campano", le cui variazioni di suono indicavano se il cane era in “emanazione”, mentre il suo silenzio rivelava che era in ferma.
Non era possibile cacciare con due cani, non solo perché il sovrapporsi dei suoni dei campani avrebbe creato confusione, ma anche perché i cani di allora avevano un consenso approssimativo.
I cacciatori erano soliti frequentare sempre gli stessi boschi, perché allora era essenziale conoscere in essi i posti di alimentazione e rifugio delle beccacce, per poter sopperire con una cerca selettiva e mirata alla limitazione spaziale del cane.
Quando era possibile, si cercava di seguire a vista (e con emozione) tutta l'azione del cane, e ciò rendeva più facile intuire dove la beccaccia sarebbe frullata.
Il “piazzamento” per avere al frullo un buon campo di tiro, era un'arte senza regole, che con l'esperienza diventava un “sesto senso”.
Poi tra gli anni '60 e i '70, i vorticosi mutamenti dell'incontrollato sviluppo dell'Italia influirono sull'ambiente, sul numero dei cacciatori e, per conseguenza, sul modo stesso di cacciare la beccaccia.
Occorre considerare che la cinegetica consta di un "sistema" di fattori così interconnessi tra loro (ambiente, colture, qualità dei cani, modo di cacciare, entità del prelievo) che qualunque singola variazione si ripercuote a cascata su tutti gli altri, fino a raggiungere un nuovo equilibrio.
I boschi ormai abbandonati a se stessi, sono diventati grovigli di rovi, spesso accessibili solo ai cani, sconvolgendo i posti classici di alimentazione e rifugio delle beccacce (la beccaccia ama poter camminare nel sottobosco).
Moltitudini di cacciatori (indotti a cacciare beccacce dall'estinzione della selvaggina naturale stanziale) hanno iniziato a setacciare senza sosta ogni angolo dei boschi, e le poche beccacce sfuggite ai fucili scacciate dai posti classici, trovano “rimesse” in posti inediti, con la conseguenza di rendere impossibile quella cerca “mirata” che un tempo privilegiava gli esperti, ed ora sostituita, per necessità, da una ampia cerca a “tappeto”, che essendo impossibile per i vecchi cani, ha richiesto cani a grande cerca.
Le nuove condizioni hanno spinto gli appassionati a cercare di arrivare per primi sui posti buoni e a frequentare anche zone impervie (perché meno battute) con cani a grande cerca, per esplorare aree sempre più vaste, avvalendosi per controllare a distanza i cani dei localizzatori, prima acustici e poi satellitari.
Nelle nuove generazioni di cani sono risultati fissati geneticamente, in aggiunta alle doti precedenti, il naturale collegamento con il padrone, la ferma saldissima e un consenso perfetto: qualità senza le quali più cani a grande cerca combinano solo guai
Ma questo nuovo modo di cacciare riduce sotto un certo aspetto il ruolo del cacciatore ed esalta quello dei cani, e ciò è risultato estraneo al sistema da me interiorizzato perché lontano dai “sacri canoni”, e così (pur conservando nell'animo e nella memoria gli echi nostalgici delle emozioni provate) mi sono allontanato da questo tipo di caccia: da allora il mio rapporto con il mondo della beccaccia si è limitato ad ascoltare i racconti degli amici.
Le ragioni che di recente mi hanno indotto a partecipare alla battuta che ho citato all'inizio, oltre al piacere di passare qualche giorno con amici cari (la città è dispersiva e rende difficile coltivare anche le frequentazioni desiderate), sono state la curiosità di vedere in atto (e praticata da specialisti) la moderna tecnica di caccia alla beccaccia (in una regione dove speravo che la frequenza degli incontri avrebbe favorito l'osservazione) e, infine, il desiderio di iniziare alla caccia nel bosco due miei cuccioloni (le beccacce di passo sono in genere più facili da fermare).
Purtroppo, come spesso accade con la selvaggina migratoria, una serie di contrarietà hanno trasformato la speranza in delusione.
Gli accompagnatori locali non sapevano nulla di beccacce, non conoscevano i boschi e ci portavano in luoghi scelti a caso, nei quali il sottobosco era coperto da erbacce e falasco (aborrito dalle beccacce); le rare beccacce “impaesate” (tra l'altro “cattivissime”) stavano solo nei posti ad esse congeniali (ma a noi sconosciuti, e di problematica individuazione) cioè in frammenti di bosco spesso assai distanti tra loro.
Sulla base della mia antica esperienza, formulai dentro di me una prognosi infausta, mentre i miei amici, tranquilli e disinvolti, iniziavano a cacciare nelle immense distese boschive sconosciute (nelle quali io temevo anche di perdermi) come se fossero nelle loro ben note “macchie” laziali.
Dopo qualche ora, osservando la tecnica dei miei amici, mi sono reso conto che la sinergia tra cacciatori e cani (controllati perfettamente dai localizzatori radiosatellitari) costituiva una implacabile “macchina da guerra”, per la quale la vastità delle foreste e la scarsità delle beccacce era solo uno stimolo a perseverare.
I miei amici cacciavano con tre cani insieme, tutti di eccellente qualità, con cerca ampia ed autonoma (ma ben collegati e con un consenso perfetto), che scivolavano leggeri e silenziosi, a perfetto loro agio nel bosco, esplorando il terreno in modo capillare per l'intersecarsi dei loro percorsi e, poi, ampliando progressivamente il raggio della cerca (anche per centinaia di metri), fino ad “incontrare” il selvatico.
Oltre alla prestanza atletica, al fondo ed alla ferma solida, i cani hanno mostrato anche un ottimo “senso del selvatico”, (perché dove loro erano passati nessuna beccaccia veniva sfrullata con i piedi).
Inoltre gli amici cacciatori, con sagacia, hanno sfruttato il lavoro dei cani per registrare e memorizzare le caratteristiche del sottobosco nei punti dove le beccacce erano state fermate, in modo così da poter orientare la cerca in zone similari.
Dopo i primi due giorni essi, applicando questo sistema, instancabili e tenaci, ovunque sciogliessero i cani, riuscivano a trovare qualche beccaccia, rendendo la battuta fruttuosa.
Nell'analizzare il loro sistema con la curiosità del cinofilo, ho capito che la situazione locale avversa, che aveva suscitato il mio sgomento, forse non era troppo diversa dalle difficoltà che i miei amici sono abituati a fronteggiare in Italia (perché nella caccia nel bosco nulla si può improvvisare) e quindi quella da loro praticata è l'unico valido sistema per poter cacciare oggi la beccaccia.
Due sono le novità osservate funzionalmente decisive: l'uso di più cani rende accurata e meticolosa l'esplorazione di vaste zone di terreno e i localizzatori satellitari, il cui “palmare” offre una continua visione ai cacciatori del lavoro dei cani.
Un osservatore superficiale potrebbe essere indotto a pensare che fosse il lavoro dei cani ad essere determinante per il risultato, il che è certamente vero, ma non esaustivo, perché l'esperto sa bene che la qualità del cane dipende strettamente dalla qualità del cacciatore: il “brocardo” “ogni cacciatore ha il cane che si merita”, vuole ricordare che nulla avviene per caso.
Come allevatore (amatoriale) di cani da lavoro, ho iniziato alla caccia qualche centinaio di cuccioloni e personalmente sono convinto che la sapienza venatoria di un cane di buon sangue dipende dalla sinergia tra doti genetiche, ambiente faunistico di iniziazione e (cosa in genere sottovalutata) dalla perizia venatoria del suo padrone.
Per il cucciolo che è stato allevato e iniziato personalmente alla caccia dal padrone, quest'ultimo diventa il centro dell'universo, perché nel suo istintivo opportunismo sa che la sua sicurezza, la sua alimentazione e la sua possibilità di appagare l'istinto venatorio, dipendono solo da lui.
Al di là della fedeltà, grazie alla convivenza domestica ed al sodalizio venatorio, l'istinto gregario del cucciolo lo fa sottomettere totalmente al padrone, di cui sa leggere il linguaggio del corpo, non solo osservandone la mimica, ma anche attraverso la percezione di altri elementi a noi ignoti.
Scatta in lui un processo imitativo che gli fa assimilare sia le regole della convivenza domestica che quelle del modo di cacciare del padrone, con un adattamento spontaneo, il cui rinforzo positivo è rappresentato, in una spirale virtuosa, dal percepire il compiacimento del padrone.
Il buon rapporto con il padrone dà al cucciolo quella sicurezza che gli consente un naturale e completo sviluppo delle potenzialità genetiche, con una ottimale metabolizzazione degli stimoli dell'esperienza, e una interiorizzazione spontanea della pratica venatoria, assimilata quasi per “osmosi”.
Lo spontaneo adattamento al modo di cacciare del padrone, è dimostrato dal fatto che l'innato l'istinto venatorio nel cucciolone non esplode in modo egoistico, (come nel cane di canile, che caccia per se stesso), ma in una forma spontaneamente cooperativa con il padrone, con il quale sembra collegato telepaticamente.
Il processo di apprendimento della tecnica venatoria nel cucciolo “appadronato” è favorito da due pulsioni coincidenti, in quanto sia l'istinto venatorio che la soggezione alla dominanza del padrone, sono finalizzati ad uno scopo comune, il successo della caccia.
Ritengo che il percorso formativo del cucciolo possa svilupparsi armoniosamente, sopratutto se il padrone si astiene da pressioni pedagogiche o addestrative, quasi sempre negative ed improprie, perché interferiscono sulla delicata fase di apprendimento della tecnica venatoria canina, che l'uomo non conosce quindi e non può neppure insegnare.
Alla conclusione ricordo un un dato di comune esperienza: i buoni cacciatori di regola iniziano personalmente alla caccia i propri cuccioli, e questi poi diventano quasi sempre ottimi cani, e ciò non può essere un caso. Enrico Fenoaltea Tags:6 commenti finora...
Re: Caccia alla beccaccia ieri ed oggi Come ho avuto già modo di esporre, sono totalmente contrario alla caccia tecnologica. La caccia la si vive al naturale e quindi le modernità un ci azzeccano un tubo anche se permettono di fare catture. I modernisti dimostrano solo una cosa che sono avidi di carniere, fare il bottino, questo conta...non importa come.... e a me fa schifo. Per come la vedo, se dipendesse da me VIETEREI ogni forma di caccia tecnologica e ridurrei i i colpi a due ...il terzo colpo serve a poco. da Carlo rm nord
05/02/2016
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Re: Caccia alla beccaccia ieri ed oggi 40 licenze di caccia e sono quasi totalmente d'accordo con te. Negli anni 70 andavo gia' a caccia con cani che spaziavano come oggi....solo col campano!!!!! che fatica ritrovarli fermi. Ma gambe buone e passione e ricerca del cane perfetto! credo,anni fa di averlo trovato: Era quello che vicino o lontano con o senza beeper fermava e teneva li' il selvatico .... si', non si faceva fermare ma fermava e teneva li'. Per 8 anni mai uno sfrullo da ottobre a gennaio. Poca importanza la razza e il fatto di averlo preso a 2 anni. Negli anni 70 o 2000 questa, per me, e' la vera essenza della caccia alla beccaccia.....il Cane. da Pa3
04/02/2016
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Re: Caccia alla beccaccia ieri ed oggi Anche io caccio la beccaccia da sempre,mio padre la cacciava ,in un isola felice ,ancora oggi x questo selvatico......quando ero più giovane,pochi facevano questa pratica,in Sardegna con ogni bene,si poteva variare ed essa ,la Bekke,veniva snobbata xche' faticosa,con i mezzi di allora,sopratutto umida,bagnata come caccia......i cani ,di razza (90%setter ,qualche pointer),provenivano da regali,scambi,figli dei ns cani,senza pedegree' ma,figli di cani cacciatori.........campano (allora) ,sonazzos ebbia(solo campano).......poi i bepper ,sono entrati in questo sistema,utili,ma fuori luogo.....io mi sono convertito dopo aver recuperato la mia Maya presa al laccio ma,lo considero comunque NN etico (pur usandolo ).....oggi tutti vanno a Bekke ,i cani sono diventati macchine da galoppo,,,,,,,,,nn so' ,forse sarò antiquato,preferisco sentirli......ho un amico che ha dovuto usare i satellitari,cani lunghi,peggiorati x continuo incontro con onnipresente cinghiale(che piace tanto ad alcuni cani)..........per fortuna LEI continua ad appassionarci,logicamente si difende e metabolizza......modifica il suo modo di comportarsi ma,chiamala stupida.......se poi anziché 50 ne prendiamo 20 ,va bene uguale...........unica puntualizzazione,nn e' l'unico selvatico rimasto,penso al beccaccino x esempio ma,come non citare la ns aleatoris Barbara,unica nel suo genere e,,,,,,ancora vera da me ....in Sardegna!!!!!!!!!! da Lisandru
03/02/2016
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Re: Caccia alla beccaccia ieri ed oggi Sono anche io vecchio cacciatore e la caccia che amo è quella di un tempo, con il campano si intende e poichè la gamba non è più quella di una volta uso il bip solo in ferma. Non sono affatto d'accordo con il cane a GPS e se le beccacce sono quelle che attualmente troviamo in Italia ( all'estero non lo so ) che alcune ( e non sono il solo a dirlo) tengono la ferma solo un secondo mentre le altre si levano con il solo sentire il calpestio del cacciatore, secondo me gli amatori moderni delle nuove tecniche non le vedono tutte. Comunque rispetto il punto di vista altrui. Io devo vedere il cane e sentirlo collegato a tiro di campano e l’unica difficoltà che trovo adesso con l’era tecnologica è quella che i miei posti di beccacce di un tempo sono scomparse nei parchi e parchetti, e allevamenti in montagna quasi scomparsi, per cui sarebbe tutto da rifare, ma l’età ci sta ed il bidone pure, per la caccia in Italia più che era tecnologica secondo il mio modesto avviso è l’era del proibizionismo, tutto vietato. Un cordiale saluto da jamesin
02/02/2016
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Re: Caccia alla beccaccia ieri ed oggi Per nulla condivisibile mi appare l'affermazione secondo cui la beccaccia risulti, all'autore, "l'unico vero selvatico rimasto", sia che si ami la caccia col cane che no. E' il solito atteggiamento di chi tende a screditare le cacce altrui innalzando la propria preda preferita a livelli "superiori" da Sergio Ventura
01/02/2016
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Re: Caccia alla beccaccia ieri ed oggi Condividendo ambienti, selvatici, attrezzatura e tipologia di cani da oltre 20 anni, capisco benissimo il suo scritto, ma dopo anni e anni, restando la beccaccia l'unico selvatico DAVVERO di mio interesse, mi sto via via rendendo conto che cacciarla così è un'impresa "agonistica", che ben poco lascia alla poesia e alla rigenerazione psicologica...combattiamo una settimana sul lavoro, e il giorno che dovremmo purgarci da questo parossismo, ci ripiombiamo in pieno anche a caccia...forse è per quello che sto cominciando a domandarmi se per caso...non ci sia un altro modo...ed ecco perchè il mio prossimo cane NON sarà il solito setter che come i suoi predecessori mi garantirebbe il successo, ma facendomi sentire AUSILIARE e non coprotagonista, bensì un continentale che mi dia la possibilità di vivere la "vecchia" caccia che mi fece innamorare... Ragionamento, lo capisco, che si può fare solo in caso di ottima conoscenza delle mille rimesse dei luoghi noti, altrimenti sarebbe troppo limitativa. Ma, come disse qualcuno "non voglio andare a caccia con un cane...voglio un cane che venga a caccia con me" da fabry
01/02/2016
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