Grande giornalista, inviato di guerra, scrittore, autorevole editorialista del Corriere, fondatore di giornali, autore di una monumentale collana storica, Indro Montanelli (nato a Fucecchio nel 1909, morto a Milano nel 2001) negli ultimi anni della sua movimentata esistenza fu insignito della più alta onorificenza venatoria (Cacciatore Gentiluomo) della Federazione Italiana della Caccia.
Intelligenza fuori del comune, nel 1930 si laureò in giurisprudenza a Firenze, con un anno di anticipo sulla durata normale dei corsi. Successivamente frequentò corsi di specializzazione all'Università di Grenoble, della Sorbona e di Cambridge. Nel 1932 ottenne una seconda laurea, in scienze politiche e sociali, sempre a Firenze, al Cesare Alfieri.
Una vita avventurosa, passò da Parigi a New York, all'Africa, poi in Estonia, in Norvegia, inviato praticamente da tutte le capitali d'Europa, non dimenticò mai le sue origini toscane, dove in gioventù, nel padule di Fucecchio, praticò assiduamente la caccia, una passione cui tenne fede fino all'ultimo.
“Il mio giudizio è di parte - scrisse sul Corriere, in risposta a un lettore che contestava la caccia -, e la parte è quella dei cacciatori, perché lo sono stato anch’io, con passione. E se potessi lo sarei ancora. Se la caccia fosse quella dei killer che nelle riserve massacrano in una mattinata magari seduti su una sedia portatile, sette o ottocento fagiani di allevamento; o quella dei fanatici dello sparo che sparano a tutto, anche alle rondini e ai pettirossi; anch’io sarei per la sua soppressione.
Ma la caccia del vero cacciatore è tutt’altra cosa. La caccia, quella vera, sono i balzi di gioia del tuo cane, quando ti vede staccare, prima dell’alba, il fucile dalla parete, e l’immersione nel bosco, o fra le giuncaie del padule nel momento del loro risveglio con tutti quei fruscii misteriosi e chioccolii degli uccelli che si chiamano fra loro, e le serpentine trepidanti del cane sul primo fiato di selvaggina, tra i rovi del sottobosco. Il vero cacciatore ama gli animali a cui dà la caccia, forse anche perché li considera complici di questo gioco in cui ritrova la sua origine esistenziale”.