Sono sempre stato un fervido sostenitore della massima pronunciata del grande Adelio Ponce De Leon nel suo bel libro “Dall’allodola all’elefante”, con la quale ritiene, a ragione, che sono ugualmente belle ed emozionanti tutte le forme di caccia da quella al piccolo volatile al grande portatore d’avorio. Ma la caccia al cervo in bramito, credetemi, è tutta un’altra cosa. Può capirlo soltanto chi ha avuto l’occasione di provarla almeno una volta nella vita. Vuoi per la bellezza del territorio dove si pratica, vuoi per la maestosità del selvatico, la caccia al cervo durante il periodo degli amori è davvero un’esperienza esaltante e indimenticabile. Inoltre, credo che anche tutta la cultura venatoria che solitamente fa da contorno, contribuisce a renderla unica e inimitabile. Anche se per il momento non avevo previsto di ritornare in Ungheria per cacciare il cervo, dietro la pressante insistenza di un gruppo di amici ero capitolato, acconsentendo ad accompagnarli, ma a patto che la partenza fosse fissata per la fine di settembre. L’organizzazione di tutta la spedizione fu affidata come al solito al grande Làszlò Keresztes, il patron di tutte le mie avventure in terra magiara. Làszlò fu felice di provvedere coi preparativi, ma ci raccomandò di partire molto presto, almeno verso la metà del mese, quando i selvatici sarebbero stati in pieno estro. Purtroppo invece, chi come me ama praticare anche altre forme di caccia e nel canile ha una bella muta di cani da ferma che aspetta impaziente, non può e non vuole rinunciare all’apertura generale in Italia, cosi decidemmo di partire qualche giorno dopo, quando i grossi maschi stavano quasi esaurendo il periodo di frega. Mi permetto di dare un consiglio a tutti gli amici e colleghi cacciatori appassionati di caccia a palla: prima di intraprendere una spedizione di caccia importante o meno che sia, sarebbe SEMPRE auspicabile verificare l’efficienza delle nostre attrezzature. Cosi Mauro, Alvaro, Danilo ed io, un bel pomeriggio ci recammo al poligono per ricontrollare la funzionalità e la precisione delle nostre armi. La mia carabina da cervi preferita è la mitica Steyr Mannlicher, modello S calibro 8 x 68 Shuler, corredata di ottica 12 x 56 con reticolo illuminato HD e di munizioni Originali Brenneke con palla TIG da 198 grani che, raggiungendo i 900 m/s, riescono ad erogare un’energia cinetica di circa 550 chilogrammetri. Per cacciare i grossi selvatici europei uso molto spesso la Steyr 8 x 68 S perché è una combinazione classica mittleuropea a cui sono molto affezionato e con la quale posso affrontare qualsiasi selvatico esistente, con la sola eccezione dei pachidermi. Mauro aveva con sé una bella carabina Sako 85 Bavarian in calibro 7 mm Remington Magnum equipaggiata con il mio stesso modello cannocchiale, che ritengo insuperabile quando occorre tirare praticamente in condizioni di luce estreme. Per l’occasione gli avevo preparato un lotto di munizioni ricaricate con palle Nosler Accubond da 160 grani, che si sono dimostrate micidiali, come vedremo più avanti. Anche ad Alvaro avevo montato in fretta e furia un 12 x 56 HD sopra ad una semiautomatica Browning BAR Zenith in calibro 300 Winchester Magnum, perché era la sola arma rigata registrata al momento nella sua Carta Europea. Avevo eseguito un ottimo lavoro, utilizzando i funzionali attacchi a sgancio rapido ideati dai fratelli Alessandro e Andrea Contessa e poi tarato il tutto con munizioni ricaricate con la nuovissima palla monolitica slovena Fox Bullet Classic Hunter da 165 grani. Danilo invece volle strabiliarci perché, nonostante la sua ricca collezione d’armi, aveva scelto di utilizzare uno splendido Kipplauf Blaser “Black Edition” camerato in un calibro, diciamo piuttosto “modesto” per cacciare il Re delle foreste danubiane: il 6,5 x 65 R caricato con palle Nosler Partition da 125 grani. Un bel cannocchiale 18 x 56 su attacchi originali completava il tutto. Quattro robusti ragazzoni come noi, con i rispettivi bagagli occupano un bel po’ di spazio, cosi optammo di partire con due SUV per viaggiare più comodi.
Lasciammo la nostra amata Maremma alle cinque del mattino e dopo neanche una decina di ore di viaggio ci ritrovammo nella reception di un piccolo, ma confortevole hotel situato nella periferia della cittadina termale di Zalakaros a sud est del lago Balaton. Con Làszlò non si perde mai tempo. Lui valuta i cacciatori in base alla velocità con cui si muovono a caccia e non, e da quanti, …. alcolici bevono. Per questo motivo il mio caro amico ungherese ha sempre detto che io, che sono quasi astemio, non potrò mai essere davvero un buon cacciatore!
dice un vecchio proverbio? “Il buon giorno si vede dal mattino”! Infatti, anche se era pomeriggio inoltrato, come inizio non potevamo sperare di meglio. Il tempo era eccezionalmente buono sotto tutti i punti di vista. Soltanto una splendida luna piena ci fece storcere il naso perché avrebbe troppo favorito i selvatici durante gli spostamenti notturni a discapito nostro, che invece avremmo potuto appostarli soltanto al mattino presto e la sera all’imbrunire.
Làszlò ci aveva prenotato quattro giorni di caccia in una riserva molto esclusiva sapientemente gestita da un competente gruppo di cacciatori locali. La zona poteva vantare la stessa densità di selvatici caratteristica delle riserve statali, ma a prezzi decisamente più abbordabili. Quando si caccia all’estero l’imperativo è non perdere tempo prezioso, così decidemmo di fare subito una prima uscita quella sera stessa, tanto per prendere confidenza con le nostre guide e con il territorio. Dopo essere stato in Ungheria decine di volte, posso confidarvi che per me il top per visitarla è andarci in autunno, quando i colori e i profumi dei prati, delle culture e dei boschi ti riempiono il cuore.
La caccia al cervo in terra magiara si pratica in due modi: all’aspetto serale e alla cerca mattutina, così io e Zoltan, il mio accompagnatore, salimmo sopra ad una altana, posizionata strategicamente in mezzo ad una vera e propria foresta impenetrabile. Zoltan, che somigliava in modo impressionante ad Adolf Hitler, prima volle conoscere il calibro della mia arma poi, soddisfattissimo, cominciò a richiamare i cervi imitandone il bramito, soffiando in un corno di mucca. Quel suono mi fece venire i brividi. Era arcaico e bellissimo. Ogni volta che Zoltan soffiava nel corno avevo dei picchi di adrenalina che mi facevano tremare dall’emozione. Possibile che a cinquantasette anni suonati e dopo aver abbattuto decine e decine di cervi, riuscivo ancora ed emozionarmi così tanto?
Chi sa dirmi come si capisce se una guida è più o meno valida? Ve lo dico io: da quante volte controlla la direzione del vento e… da quante volte controlla l’orologio! Io ero come Alice nel paese delle meraviglie, non mi saziavo mai di ammirare col binocolo e senza, tutto quello che ci circondava, mentre Zoltan non faceva altro che fumare una sigaretta dietro l’altra per sondare, secondo lui, la direzione del vento. Alle 18,50, come se stessimo per far tardi ad un appuntamento, mi sollecitò di raccogliere lesto le mie cose e di seguirlo di corsa. Ma come!, pensai, dovevamo andarcene proprio adesso che era l’ora buona? Non protestai, anzi, sorrisi, perché avevo ben chiaro quale fosse il piano di Zoltan. Da perfettissimo conoscitore del luogo e dei selvatici che vi abitano, Zoltan aveva deciso che se a quell’ora i cervi non erano ancora usciti nel prato, saremmo dovuti andare noi a cercarli altrove. Percorremmo veloci, quasi di corsa, un centinaio di metri e raggiungemmo silenziosi un’altra altana dove salimmo più o meno come avevamo fatto con l’altra. Zoltan, mi precedeva e come sporse la testa dal parapetto di legno pronunciò una sola parola : “Hirsch”, che in tedesco significa Cervo! Mi affiancai a lui e contemporaneamente alzai e puntai la Steyr nella direzione che la mia guida mi stava indicando. In un angolo remoto della radura, a circa centocinquanta metri di distanza, s’intravedevano nella penombra quattro grosse sagome scure. Con il mio 8 x 42 vidi distintamente che erano tre femmine adulte ed un imponente maschio. Zoltan mi sollecitò a tirare subito perché gli animali, che sicuramente dovevano aver percepito qualcosa, erano nervosi e stava calando anche la notte. Avevo già armato il primo grilletto dello schneller ed illuminato il reticolo dell'ottica così, come riuscii a sovrapporlo sulla possente spalla del grande maschio, non ebbi nessuna esitazione e lasciai partire il colpo. Quelli sono i momenti che ringrazio Diana e Sant Humberto di avermi consigliato di usare un grosso calibro con la munizione adeguata. Il cervo, colpito perfettamente dove avevo mirato, era crollato di schianto sul posto! Dall’altana s’intravedeva soltanto il suo imponente trofeo immobile seminascosto dalla vegetazione. Zoltan, per festeggiare l’abbattimento, si accese credo la cinquantesima sigaretta della giornata! Valutò il trofeo tra i sette e gli otto chilogrammi.. splendido, anche se mi sarei accontentato di molto meno!
Quel che seguì fu tradizione pura. Il rito del Weidmannsheil, le foto d’obbligo, il corretto trattamento della spoglia e il provvidenziale arrivo di tre aiutanti che ci diedero una mano a caricare il grosso selvatico sul cassone di un fuoristrada. Solo allora mi accorsi di non aver udito altri spari né vicini né in lontani. Al rientro al nostro hotel, venni a sapere che per i miei amici la prima uscita si era conclusa con un nulla di fatto! Mi fecero comunque dei sinceri complimenti e dopo una cena leggera, programmammo le nostre sveglie per l’indomani e ci coricammo speranzosi.
Il mattino seguente, come da copione, cambiammo zona. Zoltan parcheggiò il fuoristrada all’interno di un bosco fittissimo che lui stesso definì: “Vietnam”. Ci addentrammo lungo uno stretto sentiero simile ad un vero e proprio tunnel nella vegetazione. Era talmente buio che quando Zoltan si fermava per sentire da quale direzione bramissero i cervi, io gli finivo addosso. Udimmo pochi maschi lanciare i lori richiami, ma accelerammo il passo ugualmente. Ad un tratto mi sembrò d’intravedere una flebile luce davanti a noi, segno che il sole stava sorgendo e che stavamo per uscire dalla foresta. Ci affacciammo in una radura paradisiaca, di una bellezza mozzafiato, completamente avvolta da una nebbia sottilissima che si diradava proporzionalmente all’aumentare della luce. Fui io il primo a vedere gli animali, anche perché il mio binocolo è sensibilmente più luminoso del vecchissimo binocolo di Zoltan. “Hirsch” bisbigliai puntando un dito verso sinistra. Tre-quattro sagome scure sembrava che nuotassero nella fitta bruma mattutina. Il terreno era fradicio di rugiada gelida. Se durante il giorno la temperatura sfiorava i venti gradi, di notte e all’alba era vicina allo zero barometrico. Senza pensarci un attimo mi sdraiai sull’erba e presi a valutare i capi direttamente attraverso le limpidissime lenti dell'ottica. Identificai bene tre maschi, tutti giovani con i lori classici trofei “Spitzer”. Zoltan mi diede il via al tiro solo se avessi avuto la visuale libera. Dopo alcuni secondi decisi che l’ultimo maschio sulla mia destra era quello che si presentava meglio così, dopo aver utilizzato una provvidenziale pietra come appoggio posteriore al calcio della Steyr, eseguii un tiro perfetto da quasi centottanta metri di distanza. Il “Good Shissen” pronunciato alle mie spalle, fu veramente ben accetto.
Anche per caricare quel giovane maschio dovemmo farci aiutare, ma alle otto del mattino ero già disteso nel mio letto impaziente di conoscere l’esito della caccia dei miei tre compagni di avventura. In sole due uscite avevo avvistato quasi una decina di cervi abbattendone due e completando definitivamente il piano di prelievo che mi ero prefissato di eseguire. Purtroppo però, non fu così per i miei amici. Quando nel tardo mattino li vidi rientrare, sembrava che fossero stati ad un funerale. Anche se con poco entusiasmo mi fecero di nuovo i complimenti, si fecero raccontare com’era andate l’azione di caccia per filo e per segno poi, fatta una ricca colazione, ce ne tornammo tutti a dormire.
Quel pomeriggio decisi di accompagnare Alvaro, ma sempre con scarso risultato. Di cervi ne sentimmo bramire molti ma nessuno osò farsi vedere. Ipotizzai che i selvatici uscissero nei prati e nelle radure soltanto a notte fonda, aiutatati da una luna al top del suo splendore. Il mattino seguente uscii invece con Mauro ed il suo accompagnatore. Avvistammo decine di caprioli e molte femmine di cervi e di daini, ma nessun maschio. Tramite W App venimmo a sapere che Alvaro aveva rotto il ghiaccio abbattendo un bel palancone. Fui felicissimo per lui ed anche un pochino per me per averlo ben equipaggiato con l’attrezzatura giusta. Danilo aveva il morale sotto la suola dei suoi scarponcini.
Questa mia fedelissima cronaca di una battuta “tipica” a cervi in Ungheria vuole anche dimostrare che, a differenza di quel che si crede, la caccia all’estero non è assolutamente né facile né scontata, con i selvatici che ti aspettano legati o come se fossero sopra ad uno scaffale del supermercato! Un buon trofeo devi sapertelo guadagnare con bravura e con una buona dose di sana fortuna, né più né meno di come va fatto praticando la selezione in Italia.
La mattina del terzo giorno di caccia ci riunimmo a colazione tutti leggermente demoralizzati, io forse più degli altri perché mi sentivo, chissà perché, un pochino in colpa per i loro insuccessi. Avevo fatto due capi io ed uno Alvaro, mentre Mauro e Danilo non avevano ancora tirato un colpo. Decisi di insistere con Mauro accompagnandolo nelle uscite, anche perché è il mio amico più caro, quello di vecchia data. Gli proposi di sostituire il suo accompagnatore con Zoltan, che avevamo soprannominato bonariamente zio Adolf. Zoltan, inutile sottolinearlo, aveva davvero una marcia in più. Se non fosse stato per il fatto che fumava come una ciminiera era davvero perfetto. Non a caso, la prima altana che raggiungemmo fu quella dove ero salito io il primo giorno. Quindi conoscevo ogni anfratto della radura che sovrastava e sapevo in anticipo tutte le distanze possibili di tiro. Come prese ad albeggiare il magiaro si esibì col solito corno, ricevendo in risposta il richiamo di ben tre maschi. Mauro era pronto e ben messo. Trascorsero pochi minuti ed ecco che nel campo apparve un cervo maestoso. Era bellissimo. Aveva ancora il fiatone ed una ferita in un coscio evidentemente inflitta dalla cornata di un altro maschio. “Good Hirsch! Shissen!” sussurrò forse un po’ troppo forte Zoltan, e lo sparo non si fece attendere. Perdonatemi la falsa modestia, ma io sono un professionista, quindi i miei occhi erano già ben incollati al binocolo con i miei gomiti ben puntellati sui fianchi. Vidi distintamente la potente palla impattare tra il collo e la spalla del magnifico selvatico, ma il cervo, invece di cadere, fece un balzo in avanti inoltrandosi nel folto. Non avevamo nessun dubbio sull’esito della fucilata. Ci scambiammo abbracci e complimenti, Zoltan si accese l’ennesima sigaretta e dopo che l’ebbe fumata tutta fino al filtro, ci invitò a seguirlo.
Trovammo il cervo immediatamente, non aveva percorso più di venti–trenta metri. Alla luce del giorno nascente era davvero imponente. Sembrava il gemello del mio, con un trofeo un po’ più largo e forse un mezzo chilo in più di peso. Ripensandoci ora, credo di non aver mai visto una persona più felice di Mauro! Era al settimo cielo, perché, oltretutto, quello ai nostri piedi era il suo primo cervo! Quando glielo feci notare, scherzando ma non troppo, mi disse che non si sarebbe fatto battezzare come le altre volte. Come no, gli dissi, mentre già preparavo il bastone! Smacchiare il grosso selvatico non fu certo facile. Ci vollero sei robuste persone per portarlo fino al fuoristrada e per caricarcelo. Mentre verificavo il perfetto colpo alla spalla, il lavoro svolto dalla Nosler Accubond da 160 grani, la possente mole del selvatico e l’entità del trofeo non udii altri spari. Più tardi Alvaro e Danilo mogi mogi ci raccontarono di non aver avuto ancora fortuna, ma che avrebbe ritentato la sorte quella sera e, se fosse stato necessario, anche il mattino seguente prima della partenza.
Il battesimo di Mauro fu un evento memorabile, ricco di sonore risate come di occhi lucidi. Per tutto il giorno respirammo un’aria di cameratismo più unica che rara, davvero molto intima e profonda. Fu davvero un gran giorno che rimarrà impresso nei nostri cuori per molto tempo. Mi sarebbe piaciuto raccontarvi anche di come Alvaro e Danilo riuscirono ad abbattere un bel cervo e dei loro rispettivi “battesimi”, ma purtroppo non posso. La sorte fu davvero avara con loro. Strano ma vero, come se fossero stati beffati dal destino, Alvaro e Danilo a differenza di me e di Mauro avevano visto moltissimi capi, ma purtroppo non rientravano nel piano di abbattimento.
Questa è la Caccia, quella con la C maiuscola. La nostra è stata una bellissima avventura in Ungheria, in un Paese che è ancora in grado di dare tante ed entusiasmanti emozioni agli appassionati di caccia a palla. Mi sembra doveroso ringraziare Mauro, Alvaro e Danilo per avermi accompagnato e il caro amico Laszlo per la sua ospitalità. Grazie a tutti amici miei! Alla prossima.
Marco Benecchi