Non è certo per la tipica forma di caccia: ormai i segugisti lepraioli si contano sulle dita di una mano. Non è certo per l'argomento, la selezione di una razza e il suo inquadramento nel contesto della cinegetica odierna: della caccia alla lepre con il segugio si discute da almeno duemilacinquecento anni. Uno dei manuali più antichi è proprio il Kynegeticos, ovvero Caccia con i cani, di Senofonte, scrittore greco, contemporaneo di Platone.
O, almeno, non è solo per questo che diamo valore di “articolo della settimana” a questo scritto della sempre più sorprendente giovanissima Simona Pelliccia. No. Ci fa piacere pubblicare queste note tecniche perchè – senza infingimenti di comodo – è così che vorremmo che fossero tutti i nostri nuovi cacciatori: dotati di tanta passione e di altrettanta competenza, ma anche desiderosi di partecipare al dibattito e riflettere sui molteplici argomenti che fanno di questa nostra attività uno dei mezzi – come diceva lo stesso Senofonte - attraverso i quali gli uomini diventano buoni [...] in tutte le cose di cui deve venire l'eccellenza nel pensiero e parola e azione". Perchè la caccia - è ancora Senofonte che lo dice -"rende gli uomini sobri e in posizione verticale ... perché sono formati alla scuola della verità" .
Buona lettura.
La Redazione
-----------------------------------------------------------
La selezione del Segugio italiano: “tipico” o “migliorato”?
In questi ultimi mesi si è spesso assistito ad accese discussioni in merito alla necessità di un “ritorno alle origini”, relativamente all'impiego del segugio nella caccia alla lepre. Polemiche, litigi, gruppi schieratisi all'insegna della difesa assoluta dell'uno o dell'altro modello: “tipico” o “migliorato” ?Come sempre accade nelle faccende umane,”in medio stat virtus”, la virtù (verità) sta nel mezzo. E non si tratta di diplomazia femminile, ma semplicemente della constatazione che il raggiungimento di un punto di equilibrio è doveroso ed auspicabile, per il bene della selezione, che è l'obiettivo che mai dovremmo perdere di vista.
Siamo oggi testimoni di un'evoluzione della razza in una duplice direzione: da un lato, molti continuano ad impiegare soggetti nominalmente italiani ma di chiara derivazione francese, soprattutto per la maggiore maneggevolezza che questi segugi mostrano nella creazione di mute omogenee e coese; dall'altro, una certa parte di sostenitori della'”italianità originaria” ritiene che l'attingere da caratteri che non appartengono propriamente al DNA tipico del segugio italico debba essere criticato sempre e comunque.
Anzitutto è doveroso premettere che l'“ipertipo” dovrebbe essere considerato uno stravolgimento pericoloso del modello, cui è conseguita una perdita dei caratteri distintivi della nostra razza, con susseguente appiattimento e commistione di stili che al contrario, auspicabilmente, dovrebbero mantenere ciascuno una propria autonomia e connotazione . Pare però al contempo altresì doveroso sottolineare come gli eccessi siano da rifuggire in ambo le direzioni. Mi sembra perciò artificioso il tentativo di inclusione nello standard di cani che ben poco hanno a che vedere con il segugio italiano. Sia ben chiaro: ciascuno è libero di impiegare nella caccia alla lepre un incrocio tra un segugio ed un barboncino , ma appare quantomeno forzata la volontà di imporre questo prodotto nostrano quale unico tipo di segugio che veramente risponde alla concezione originaria italiana di segugio italiano.
Da un lato, il passato non dovrebbe mai essere dimenticato, in quanto pietra angolare sulla cui base proseguire la selezione. Dall'altro, non è corretto disdegnare i frutti della selezione. E' certamente condivisibile che alcuni ceppi di lepraioli “fatti in casa” hanno spesso mostrato grande rapidità ed essenzialità nell'attività venatoria, a scapito però della maneggevolezza nel dressaggio, soprattutto nell'ambito del collegamento col padrone e della correttezza nei confronti degli altri selvatici. Com'è certo visibile ad un occhio minimamente critico quanto poco d'italiano vi sia in un segugio di 30 kg che insegue il selvatico con voce e velocità degna invece di un “urleur”.
Ma non è possibile ignorare il grande lavoro svolto nei decenni dall'opera attenta di selezionatori piccoli e grandi che hanno portato al riconoscimento di uno standard che ha mostrato nel tempo grandi qualità e rendimenti.
Non condivido l'atteggiamento di alcuni nostalgici che sembrano intendere la razza come un concetto statico. Quest'ultima dovrebbe invece essere concepita come evoluzione e dinamismo. L'evoluzione risulta necessaria per l'adeguamento dei caratteri di una determinata specie alle nuove condizioni ed esigenze che l'ambiente pone. Il buon selezionatore è per me colui che accelera quel processo che nel ciclo naturale si realizzerebbe comunque nel tempo.
E' controproducente rimanere legati ad una concezione di segugio che senza dubbio era valida cinquant'anni fa, ma che adesso è stata superata (si pensi alle esigenze di maneggevolezza, collegamento e correttezza rispetto ad altri selvatici sempre più abbondanti). E' parimenti inutile demonizzare a priori il sangue di segugi esteri sicuramente immesso nel segugio italiano, quando ciò ha contribuito, con oculatezza, ad un innegabile miglioramento morfo-funzionale del nostro segugio. E ciò è avvenuto sia al nord che al sud d'Italia.
Con un'analisi volta all'indagine delle varie generazioni che hanno preceduto segugi oggi ritenuti tipici, come sinonimo di verginità e purezza, si scoprirebbe con non troppa meraviglia che non raramente il rapporto coi cugini d'oltralpe è stato decisivo per il miglioramento di alcune qualità.
Il rinsanguamento è stato necessario per prevenire le problematiche connesse all' eccessiva omozigosi conseguente ad un ristretto pool genetico dei riproduttori utilizzati. Tutto ciò chiaramente senza stravolgere lo standard e tradire l'italianità.
Il cane capace di svolgere un lavoro da manuale non è a mio modestissimo avviso quello che permette al segugista di mettere in carniere il maggior numero di lepri, ma quel soggetto che riesce a far emozionare lo spettatore per la completezza e correttezza dell'azione svolta. Io credo che la caccia alla lepre sia una delle poche forme di attività venatoria in cui non vale il detto “il fine giustifica il mezzo”: se così fosse, uno Springer, in alcune zone pianeggianti, assicurerebbe forse un maggior numero di orecchione a fine stagione. Ma stiamo cercando un cane da carniere o un cane da seguita che con l'accuratezza del metodo faccia provare emozioni che solo il vero cane da seguita può dare?
E così, se di segugio italiano vogliamo parlare, dovremmo tendere ad un bilanciamento di morfologia e lavoro che insieme e mai disgiunti caratterizzano lo stile della razza di cui stiamo discutendo.
Il segugio della penisola frutto di una sana selezione concilia bravura a piacevolezza morfologica, struttura piuttosto leggera ma in primis funzionale. Certo è che se di segugio italiano ragioniamo, non vi è bravura che giustifichi un muso corto da Beagle, una testa tonda da Boxer, una giogaia da Bleu de Gascogne, un manto macchiato da meticcio. Questo non può rientrare nello standard.
La mia ancor breve esperienza nell'impiego del segugio mi ha portato nel tempo a focalizzare l'attenzione su alcuni aspetti che ho avuto modo di riscontrare in molti ausiliari esponenti della razza. Cane equilibrato ma nevrile, capace di svolgere le quattro fasi dando la giusta attenzione a ciascuna di esse. Ritengo che la sincronizzazione sulla stessa lunghezza d'onda del proprio cane sia sempre fondamentale per instaurare quel rapporto tanto delicato quanto indispensabile per poter godere appieno di un buon lavoro o meglio, per citare un compianto esperto segugista, per comprendere “il più bel gioco del mondo”, con un'espressione che ben esemplifica la nostra passione.
Credo che il buon allevatore non sia colui che riesce a dar vita sporadicamente ad un campione, bensì colui che crea, con accoppiamenti mirati ed oculati, segugi dotati di buone doti venatorie costantemente nelle varie generazioni. L'ideale di segugio che perseguo è incarnato da un cane maneggevole appunto, facilmente correggibile sugli altri selvatici, dotato di iniziativa, indipendenza nel lavoro e sagacia; tenace ma al tempo stesso ubbidiente.
La voce (che intendo come trasposizione di una specifica fase dell'azione venatoria in suono) dovrebbe essere squillante e brillante, come ad evocare il movimento nevrile. Il segugio è un cane dinamico e brioso per definizione. Armonia ed equilibrio non solo fisici, ma anche e soprattutto psichici.
Il soggetto buono è per me quello dotato del temperamento tipico del segugio italiano che, al contrario di quanto accade generalmente nelle razze francesi, presenta (o meglio,dovrebbe presentare) elevate doti di iniziativa talvolta a scapito di quella di ammutamento.
Oggi si assiste infatti molto spesso ad una pratica che, a mio modesto parere, è quanto di più deleterio possa esser fatto per il mantenimento delle qualità che da sempre dovrebbero contraddistinguere la nostra razza nazionale: l'impiego di mute coese per il solo fatto di accostare a un cane di valore (generalmente uno scovatore) soggetti accondiscendenti ed emulativi. Il segugio valido dev'essere completo e capace di svolgere autonomamente ogni fase del lavoro in maniera proficua. Certamente dovrà unirsi al resto della muta allorché sia certo che la passata reperita dagli altri membri della squadra è un'usta utile, contribuendo ciascuno a comporre quella trama che altrimenti rischia di divenire un assolo cui si aggiunge in secondo piano una mera approvazione degli altri soggetti. Ma ciascuno deve comunque saper cercare, accostare, scovare ed inseguire con la propria testa.
E se è certamente innegabile che una buona muta offre una suggestione ed un'emozione che difficilmente può essere raggiunta dall'azione di un unico soggetto (non foss'altro per la moltiplicata melodia!), è altresì vero che i progressi raggiunti dai soggetti giovani possono essere apprezzati solo in una seduta di dressaggio a singolo o in coppia. Ed è forse per questo che mi capita spesso di allontanarmi dal gruppo dei compagni di caccia, assieme ad un quattro zampe, per poter godere del lavoro individuale su un colle distante o sull'altro lato della montagna. E continuare così sulla strada della selezione di un segugio a 360 gradi che concentri in sé il maggior numero possibile di qualità, a cui ciascun appassionato segugista può e dovrebbe contribuire.