Ho ritrovato un interessante opuscoletto sulla Caccia in Europa, ricco di dati raccolti quattro-cinque anni fa da Federico Merli. Me lo sono riletto. Molto interessante. Fa grossomodo il punto della caccia nei vari paesi della UE, e insieme ai dati, molti, anche se a volte frammentari, incompleti, per mancanza di fonti oggettive, propone qualche considerazione, più o meno condivisibile. Sicuramente qualcosa nel frattempo sarà cambiato, ma le informazioni e le riflessioni che se ne possono trarre danno secondo me un'idea abbastanza chiara di come stanno le cose.
Volere o volare, facendo i raffronti, non si può negare che rispetto ad altri paesi europei, i nostri cacciatori risultano oggettivamente penalizzati. Soprattutto se si valutano gli indici demografici e territoriali, ovvero il rapporto fra il numero dei cacciatori, la popolazione, e la superficie agricola a disposizione. Sulla base di questi parametri, il paese che ha più cacciatori in assoluto è l'Irlanda, con un indice dell'8,3% di cacciatori rispetto alla popolazione e 20 ettari a disposizione per ognuno.
In proporzione, in Italia la caccia non la pratica nessuno (indice 1,2% della popolazione con 42 ettari a testa). In ottima posizione, invece, dopo Finlandia (5,9%) e Cipro (5,6%), si classificano nell'ordine Malta (3,8% con - pensate - 2 ettari a testa), Svezia, Grecia, Spagna, Portogallo, Francia.
La quale Francia, ricordiamolo ancora una volta, surclassa tutti in fatto di specie cacciabili (86, mentre in Italia sono 50, con 48 specie di migratori: in Italia ce ne consentono 25, in qualche regione anche meno). In fatto di calendari, spicca il periodo consentito nei diversi paesi d'Europa per la caccia alla beccaccia. Che in Cecoslovacchia chiude alla fine di febbraio, come in Grecia e Romania, mentre in Francia Portogallo e Cipro si prolunga comunque fino al 20.
Per i tordi, ancora, fra i sette paesi che ne prevedono la caccia, ben sette chiudono oltre i 31 gennaio, prima e seconda decade, con Grecia e Spagna che in alcune regioni ne prolungano l'attività venatoria fino al 28 febbraio. Curiosi i periodi segnalati dai dati dei Key Concept (migrazione prenuziale e periodo di riproduzione), che stranamente non rispettano nè latitudini nè fasce climatiche.
Analizzandoli, quelli del tordo, sembrerebbe infatti che l'Italia (con quaranta giorni di differenza, in anticipo ovviamente, rispetto alla media) fosse molto più a sud dell'Africa equatoriale, mentre Grecia, Cipro, Romania, appaiano più a nord di Belgio, Germania, Danimarca. E Italia, ovviamente. Ridicolo. E poi dicono che quella praticata dall'Ispra è una scienza esatta. A meno che non sia colpa di una frenetica attività delle macchie solari - ormai quando qualcosa non torna si chiama in causa questo tumultuoso fenomeno - è molto più probabile che il sole, o la luna, incidano sulle sinapsi cerebrali di certi cosiddetti scienziati. Idem per le anatre selvatiche.
Anomalie che poi contribuiscono ovviamente a rendere ancora più penalizzata la la caccia italiana. Spicca per esempio la felice condizione dei francesi rispetto al colombaccio (ma anche nel Regno Unito non se la passano male), alle anatre e alla beccaccia, ma soprattutto ai turdidi.
Argomento d'attualità quello dei richiami vivi e del loro uso. Specialmente in queste agitate giornate parlamentari, che segnano un grande spreco di energie e di tempo, per consentire le vergognose sceneggiate degli animalisti, con una campagna montata ad arte da una lobby, dietro la quale sembra nascondersi ancora un noto ministro dell'ambiente, sconfessato dalla storia, a cui evidentemente risponde ancora qualche suo devoto portaborse.
Per la caccia agli acquatici, per esempio, consultando l'opuscoletto di Merli, non c'è pressochè paese europeo che non li preveda, i richiami. Anche selvatici, anche di cattura, anche con reti. Tant'è vero che al Parlamento Europeo è stato sventato un attacco, sferrato dai verdi (con Bouvet capofila. Ma i cacciatori francesi, da quanto abbiamo letto, l'aspettano a casa).
Pericolo momentaaneamente passato, sembra, sia a Bruxelles sia in Italia. E quindi, i turdidi sono tuttora cacciabili con l'uso dei richiami vivi in Italia Spagna Francia e Malta; le oche in Francia, la pavoncella in Francia e Italia, come l'allodola. A Malta anche i fringillidi, e ancora per anni, malgrado lo stupefatto stupore - immagino io - dell'Ispra e di quei sicofanti tardoburocrati della commissione UE e del nostro ministero dell'ambiente. In alcuni paesi è consentita tuttora la caccia con le reti (colombacci, allodole, turdidi e fringillidi). Per gli ortolani, in Francia, si consentono ancora le "schiacce".
Ma allora, visto che malgrado tutto siamo ancora tutti europei, perchè tante differenziazioni? La diversa latitudine, ovviamente, incide. Ognuno ha difeso e difende le sue perogrative, che al circolo polare sono diverse che nel Mediterraneo. Tuttavia, mentre al nord se la sono cavata alla grande, dalle nostre parti c'è chi sta bene (Francia, Spagna, Grecia, Malta) e chi sta male. Noi, soprattutto.
Perchè allora proprio noi? Sicuramente perchè quaggiù certi peccati sul fronte ambientale (oggi sotto gli occhi di tutti, perchè, ahinoi, molto diffusi) hanno costretto i diversi governi (anche attraverso ben orchestrate campagne di stampa) ad accentuare l'attenzione nei confronti dell'anello debole della catena, la caccia, ovvero, e quegli assassini dei cacciatori italiani.
In più, il regime normativo italiano riguardo alla proprietà della selvaggina, in termini relativi e assoluti, ha fatto il resto. Con l'aiuto, anche qui, di questi venditori di fumo e di (eco)balle, sollecitati dietro le quinte, calorosamente, da certi cosiddetti stakeholders, che valutano nella caccia e soprattutto nella selvaggina una fonte aggiuntiva di reddito, di certo non indifferente, visto che abbiamo un patrimonio faunistico che farebbe invidia anche a Filippo d'Inghilterra, noto e apprezzato cacciatore. Infatti, mentre come in qualsiasi parte del mondo, e anche in Francia, che è la madre di tutte le libertà - lo ricorda anche Merli, "Nessuno ha il diritto di cacciare sulla proprietà altrui senza il consenso del proprietario o dei suoi aventi diritto" - da noi la selvaggina è "proprietà indisponibile dello Stato", ovvero, di tutti e di nessuno. Con tutto quello che ne consegue.
E su questo, c'è da scommetterci, visto che sembra gli sia andata male anche questa volta, a questi servi dei di sopra citati stakeholders, si consumeranno i prossimi mesi e i prossimi anni. Con ulteriori polemiche, conflitti, e .... per dirla con la chiarissima allocuzione adoperata venerdì da un senatore nel corso del dibattito in aula sul decretro 91, .... tante rotture di scatole ai poveri cacciatori italiani.
Ma noi terremo duro. Ci potete giurare.
Renzo Albrici
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