Se pensate che sia matto, fate pure. Me ne farò una ragione. Leggete fino in fondo, però, prima di tirare le somme. Di cosa vi voglio convincere? L'avrete capito. Voglio dimostrare che il cinghiale può salvare la caccia. Non i cacciatori, quelli di oggi - che col cinghiale mantengono rapporti a volte contraddittori, e che comunque credo che abbiano deciso di vivere un eterno variegato presente - ma la caccia, quella di domani soprattutto. E i cacciatori che verranno. Che dovranno assolutamente coniugare ragione e passione, competenza e dedizione, fatica e soddisfazione.
La prima premessa. Lo stato, il governo, gli amministratori locali. Il problema è loro. Abbiamo un'area no-hunting la più vasta d'Europa. Lande sconfinate, spesso desolate, abbandonate, qualcuno le chiama parchi, aree protette, qualcun altro più perspicace, anche a rigore di scienza, le raffigura come zone-rifugio di torme ungulate, quasi sempre setolose, di rientro dalle scorribande nei vigneti, nelle melighe, nei frutteti.
La seconda premessa, conseguenza della prima. Di fronte a questa strategia difensiva, a cui non c'è selettore che possa opporsi, i contingenti ungulati proliferano, merito anche di un animalismo ottuso che pur di far dispetto ai cacciatori nega anche l'evidenza, mentre sul territorio cacciabile si diradano le schiere dei cacciatori, che fino ad oggi - organizzati in squadre - sono riusciti a gestire la strabordante esuberanza riproduttiva di questi formidabili selvatici.
Un problema, seppur gonfiato spesso ad arte, che ha bisogno comunque di sollecite soluzioni. Ecco che, in attesa che l'infinito dibattito fra i diversi e a volte contrapposti punti di vista porti a superare l'emergenza, ma la vedo difficile, si potrebbe affrontare l'argomento in maniera un po' più follemente ragionata.
In una società complessa, complesse sono le soluzioni. Più si vive l'emergenza, e in Italia ormai l'emergenza è diventato pane quotidiano, e più le reali soluzioni vengono rimandate. Perchè l'emergenza porta ad affrontare singoli aspetti, le urgenze, appunto, trascurando il resto.
Individuiamo quindi, prima di tutto, gli elementi che compongono il puzzle (complessità).
La società nel suo insieme è ovviamente il primo elemento. E lo sanno tutti che la società italiana è in estrema sofferenza. Manca il lavoro, i giovani con più ardimento e talento se ne vanno, gli altri languono fra inedia e ignavia, la paghetta dei genitori; alcuni vittime anche di tentazioni turpi.
Le categorie. Gli agricoltori lamentano danni, ma sotto sotto non hanno ancora rinunciato ad appropriarsi del bene fauna selvaggina, che costituisce una fonte di reddito aggiuntivo sempre più cospicua. I cacciatori sono sempre più in affanno. Scarseggia il ricambio, le schiere ingrigiscono e si assotigliano, aumenta il conflitto interassociativo, interspecialistico, ne soffre l'aggiornamento culturale, malgrado una buona fetta anche di anziani riesca ormai a spippolare sulla tastiera del PC e dello smartphone. Gli ambientalisti, anch'essi in declino, nel frattempo stanno cambiando pelle sotto la minaccia di agguerrite congreghe animaliste, che ostentano pacifismo e praticano violenza.
Il futuro. Come sempre - pur se oggi una illusoria e martellante propaganda ci fa credere che il trapasso entropico (la sorella m. corporale di San Francesco) possa essere rinviato sine die o eluso (anche Pascal immagina che la caccia possa favorire una temporanea distrazione dal quel pensiero che tutti assilla) e che tutti si possa vivere l'eterna giovinezza - la nostra natura ci porta a prefigurare il dopo di noi nel "frutto del ventre" delle nostre donne. Non c'è principio di saggezza che non evochi (retoricamente) la salvaguardia dei beni, morali e materiali, come patrimonio da consegnare ai figli e ai nipoti. Quello che si dice "passare il testimone" a chi ci sarà dopo di noi. E saggezza dice che le generazioni future vanno preparate a questo grandissimo e terribile impegno. In una società organizzata, per li rami, è compito prima della famiglia, poi della scuola e della società. Le istituzioni, lo stato nel suo insieme, ne devono promuovere e sostenere il passaggio.
Tuttavia, per quello che mi pare di riscontrare nel piccolo nostro mondo della caccia (non disgiunto però da quello della gestione del territorio, piante, animali, attività antropiche), temo che qualcuno in questi ultimi decenni si sia distratto: secondo me, nella caccia, le generazioni guida non si sono preoccupate a sufficienza di costituire un adeguato ricambio.
Ma, ecco la follia....
La gioventù che langue potrebbe essere coniugata all'ungulato che avvampa! Nel mentre si esurisce la spinta degli odierni atteoni, ai diversi livelli di governo del paese e del territorio ci si dovrebbe far carico di un progetto di "indirizzo virtuoso", una fantastica riconiugazione del concetto di impiego giovanile (remunerato, non gratuito, checchè ne pensi Domenico De Masi, sociologo del lavoro, affittato ai grillini) per ricondurre a sistema un patrimonio, storico, culturale, sociale, di cui il capitale ungulato è solo una parte, forse la più visibile, ma non l'unica, che se non nuovamente dimensionata sarà sempre di più un problema e sempre meno una risorsa. Un imperativo che dovrebbe andare dal governo al parlamento, dalle regioni ai comuni, alle scuole di ogni ordine e grado, dalle organizzazioni di categoria ai bistrattati ATC, fino ai cacciatori e agli ambientalisti più responsabili individualmente intesi, spesso coincidenti nella stessa persona.
Lo so che queste idee bislacche provocheranno una rumorosa (sguaiata?) reazione, ma vi invito a riflettere su un fatto: due dei massimi epigoni delle possibili prefigurazioni del futuro, uomini di indiscusso successo, hanno segnato la loro azione con indubitabile apparente eccentricità. Mark Zuckemberg, giovanissimo patron di Facebook, a capo della più grande nazione al mondo (due miliardi di utenti), si appresta a scendere in politica, alternando le sue attività dal contenuto superavveniristico con momenti di caccia estrema (mangia solo la carne di animali selvatici che caccia personalmente). E nel suo ultimo discorso ai giovani, Steve Jobs, il padre di Apple, consegnò al futuro il suo testamento con queste semplici parole: "siate affamati; siate folli!".
Abbiamo bisogno di forze giovani, vogliose, appassionate, talentuose, un po' folli. Che ne direste, perciò, se - per dare sostanza al titolo - ci adoperassimo, vecchi, meno vecchi, giovani, cacciatori e governanti, per impreziosire, arricchire questa caccia e questo paese affrontando il rischio con idee nuove e un pizzico di follia?
Proviamo?
Paolo Leonardi