Interessante il dibattito aperto dal quotidiano La Stampa sul referendum caccia a partire da una lettera di un cittadino, pensionato e non cacciatore, Gianni Carnevale, che avanza una serie di dubbi sulla liceità delle domande referendarie. “In primo luogo – dice - perché solo la caccia e non anche la pesca? Che differenza c’è? Si tratta sempre di sopprimere animali per poi cibarsene”. Cacciare un fagiano, spiumarlo e cucinarlo per Carnevale è equivalente ad acquistare un pollo in rosticceria. “Mi sembra che in questa proposta – dice - ci sia poco raziocinio, a meno di non voler diventare tutti vegetariani, vietando il consumo di alimenti animali”. Il suo ragionamento non fa una piega: “se si vuol colpire l’aspetto sportivo della caccia, allora si colpisca anche nella pesca, se si vuol colpire l’uccisione di animali per uso alimentare, allora chiudiamo allevamenti, mattatoi, vietiamo la pesca, chiudiamo macellerie e pescherie. Certo caccia e pesca non possono essere lasciate all’arbitrio di ognuno, vanno regolamentate. Ma posso avere una risposta logica, razionale?”.
Qualche giorno dopo il quotidiano pubblica la risposta del Comitato, di Rossana Vallino. Di logico e razionale però c'è però ben poco. “Il Referendum ha lo scopo di regolamentare l’attività venatoria in modo da adeguarla alla situazione ambientale e sociale dei nostri giorni” dice, e ancora, riferendosi agli incidenti venatori “la caccia è quindi un’attività non necessaria, che però può avere, ed ha, conseguenze negative”. Poi la stoccata del tutto antiscientifica. “Tante specie - scrive - sono alla pura sopravvivenza a causa dei vari usi del nostro territorio oltre che della caccia, e pare tutt’altro che logico eliminare e per divertimento gli ultimi sopravvissuti”.
A tutte queste considerazioni, si aggiungono quelle del presidente provinciale dell'Arcicaccia di Cuneo, che in queste ore ha inviato la sua risposta, al quotidiano, elencando in vari punti le posizioni del mondo venatorio. Eccoli:
A) - L a Regione Piemonte adotta il più restrittivo ed ultraregolato calendario venatorio d'Europa e forse del mondo intero, B) - Le 60mila firme, raccolte venti e passa anni fa, per indire il referendum non sono poi tante se si contano i circa 4milioni e mezzo di abitanti (nel 1992 i cacciatori piemontesi erano circa 45mila); C) - "Si evoca lo spettro della mancata sicurezza per i cittadini, quando gli incidenti venatori, seppur sempre dolorosissimi e deprecabili, sono pochissimi in confronto a pressochè qualsiasi altro tipo di attività umana. In Piemonte poi, sono ancor più sporadici e legati perlopiù alla caccia al cinghiale. Quest'ultima sarà, però, comunque consentita anche in caso di "vittoria" degli animalisti/anticaccia". D) - "Si parla infine di salvaguardia della biodiversità. E questa la si dovrebbe recuperare convogliando le attenzioni venatorie su tre sole specie di selvatici? quelle decine, se non centinaia, di specie animali e vegetali di NESSUN interesse venatorio che sono scomparse negli ultimi decenni, o rischiano di farlo nel prossimo futuro, per motivi noti a tutti, a quale referendum si dovranno appellare per avere qualche speranza di vita presente e/o futura?".
"In gran parte del mondo - sottolinea Ezio Cardinale - l'attività venatoria è considerata una risorsa ed ambientalisti (quelli veri e seri) e cacciatori (quelli veri e seri), combattono insieme per preservare l'habitat". Il fatto è che, conclude il presidente di Arcicaccia Cuneo, "in Italia siamo ancora fermi alla caccia alle streghe, ai capri espiatori e dei risultati di questo atteggiamento ne fanno mestamente le spese tutti e tutto. In quanto ai milioni di euro che si andranno a BUTTARE per la consultazione referendaria, appare ovvio ma forse necessario ricordare, che non sono stati i cacciatori a volerla, così come certo non desiderano togliere ancora più risorse a chi opera a vario titolo nel settore specifico e/o collaterale".