Un articolo apparso sul Venerdì di Repubblica affronta la complicata questione dei ripopolamenti, mettendo l'accento sugli elevati costi che comporta l'acquisto delle lepri allevate in specifiche strutture, sia italiane che estere. Cifre alla mano, il prezzo di una lepre può arrivare a quella di un suino da macello o di un vitello, all'incirca 180 euro. Soldi che arrivano direttamente dalle tasche dei cacciatori, ben inteso, quindi semmai ci fosse uno spreco di risorse, è nel mondo venatorio che va risolto.
“Oggi il 40 per cento delle lepri messe in zona di caccia - dice Andrea De Matteis, direttore del Centro ricerche sulla gestione della fauna selvatica di Sampeyre, collegato all’ateneo di Torino - arrivano dalle Zrc, zone di ripopolamento e cattura, e il 60 per cento da allevamenti, italiani ma soprattutto stranieri”. Immettere esemplari estranei all'ambiente di riferimento, come si è visto in maniera massiccia in passato, può essere sicuramente controproducente e causare paradossalmente la scomparsa delle razze autoctone, ovvero il contrario della buona gestione.
Perciò occorre pensare a sistemi più intelligenti e spingere di più per la cattura e il successivo rilascio a breve distanza. Gli esempi virtuosi ci sono, basta un po' di buona volontà da parte di tutti per seguirli. Alcune province come Bologna e Mantova sono già autosufficienti e non hanno bisogno di acquistare nessun esemplare. Risultato? Più soldi disponibili per la gestione faunistico venatoria e selvaggina di alta qualità a costo zero.