L'aumento della quota annuale di iscrizione, pari a 25,82 euro, deciso dall'Atc 3 di Terni non è un abuso di potere e non viola alcuna legge. Lo ha stabilito il Tar dell'Umbria respingendo il ricorso di diversi cacciatori, tutti iscritti al medesimo Atc, che ironia della sorte, dovranno ora pagare anche le spese in giudizio, pari a 4 mila euro a favore di ciascuna delle parti resistenti (Provincia e Atc).
Il Tar risponde punto per punto alle osservazioni di illegittimità poste. Anzitutto smonta la tesi secondo cui non ci sarebbe stata l'intesa sulle quote tra le due Provincie, visto che le stesse durante la riunione dell'11 luglio 2011, hanno riconosciuto la possibilità di differenziati contributi, da stabilirsi autonomamente. Per il Tar è ragionevole “ritenere che differenti territori possano richiedere differenziati interventi, a seconda delle loro condizioni geomorfologiche e faunistiche, da finanziare con altrettanto differenziati contributi”.
Non è vero inoltre che non c'è stata condivisione da parte del mondo venatorio, visto che – dice il Tar - le associazioni hanno esaminato la proposta di variazione del contributo e l’hanno approvata con la sola eccezione di una di esse (v. riunione della Consulta Faunistico Venatoria Provinciale del 16 giugno 2011). Non è da considerarsi illegittima neanche la tempistica della variazione (ad iscrizione già avvenuta all'Atc), “visto che - si legge nella sentenza - non v’è nessuna norma che preveda termini perentori per la determinazione del contributo”, né la mancanza di specifica motivazione, visto che l'Atc ha delineato “gli interventi necessari, giustificati con una nutrita serie di considerazioni che si estendono per ben otto pagine, supportate da un’ampia documentazione tecnica”.