Oltre 253 mila euro è quanto speso dal Parco dell'Arcipelago Toscano dal 2005 in poi per le operazioni di cattura dei cinghiali all'Isola d'Elba e per affidare a terzi la vendita delle carni. Lo dice il rapporto dell'Atc LI10 che porta numeri e dati a raccontare quello che Fidc Toscana, che fa sue le considerazioni dell'Atc – descrive come un chiaro fallimento dell'approccio ideologico nell'affrontare l'emergenza cinghiali, tutto per una pregiudiziale opposizione all'impiego gratuito dei cacciatori e della loro esperienza nell'area del parco.
Da quando si è deciso di rinunciare agli interventi di controllo in braccata con le squadre del Distretto, evidenzia Fidc Toscana, si è registrata una crescita costante della specie, che il Parco non è riuscito a tenere sotto controllo anche se ha aumentato i prelievi dei capi arrivando nel 2010 ad un massimo di 10 per km quadrato.
Ma se sulla stampa locale Legambiente ribalta la frittata, dando la colpa alle "scelte disastrose” in fatto di gestione venatoria da parte della Provincia, Fidc riporta la questione su questioni pratiche imputando agli ambientalisti di proporre “solo metodi inefficaci (ad esempio la girata con cane al guinzaglio, decisamente poco adatta nella macchia mediterranea!!) opponendosi alla caccia in battuta, perché disturberebbe l'altra fauna”. Peccato che, proprio a causa dell'incontrollata espansione del cinghiale di quella preziosa fauna rimanga ben poco. Per la Federcaccia ormai “non c'è altro, nel parco, che cinghiali e mufloni: i nuclei residui di pernici rosse presenti all'Elba stazionano quasi esclusivamente nel territorio dell'ATC grazie ai miglioramenti ambientali attuati dai cacciatori!”
Al Parco recentemente è stata indicata la necessità di aprire all'intervento dei cacciatori coinvolgendo Ispra per un parere favorevole ad interventi più efficaci. "Sono passati mesi - dice la nota Fidc -ma ancora si attende di entrare nel merito"