In questi giorni nel dipartimento francese del Var è stata autorizzata la caccia al lupo fino al 19 settembre. Il problema è sempre lo stesso, più volte segnalato (a vuoto) anche in Italia: gli allevatori, specie se gestiscono attività di piccole dimensioni e tradizionali, non ce la fanno più a subire continui attacchi a pecore e vitelli, fenomeno in continuo aumento, nonostante le misure di prevenzione attivate, da diversi anni, in tutto l'areale di espansione del lupo e che in particolar modo coinvolge le Alpi Marittime. Lì, in Francia, anche gli ambientalisti hanno dovuto arrendersi all'evidenza e ammettere che il problema esiste e che un controllo mirato di alcuni esemplari è ormai inevitabile.
Tutto questo a pochi chilometri dal confine italiano, in cui in pochi decenni si sono spinti i ormai anche i lupi francesi. Nella valle del Var da primo di gennaio al 31 luglio si sono registrati 85 attacchi di lupi, che hanno causato la morte o il ferimento di 201 animali da allevamento. Lo stesso allarme coinvolge da tempo anche il Piemonte, dove più volte anche l'assessore Claudio Sacchetto ha parlato della possibilità di prelevare in deroga alle direttive comunitarie alcuni esemplari a difesa delle attività zootecniche.
Incredibile a dirsi ma anche in questa occasione qualcuno è riuscito a dare la colpa dei cacciatori. Come il presidente dell'Enpa di Cuneo, Marco Bravi, che arrampicandosi sugli specchi, propone una moratoria della caccia nei comparti alpini per almeno due anni. Come se il lupo attaccasse i pascoli perché altrove non esistono più prede naturali e come se i cacciatori facessero ogni anno piazza pulita di fauna selvatica alpina. All'Enpa risponde il cacciatore Marco Forno con una lettera al quotidiano piemontese TargatoCN: “non mi risulta – sottolinea - che il fatto che si pratichi caccia di selezione agli ungulati sulle nostre montagne porti ad una drastica diminuzione degli stessi: il prelievo avviene su basi scientifiche, sotto l’egida di tecnici faunistici (checché ne pensino i detrattori, in particolar modo quelli residenti in città, dell’attività venatoria, che spesso e volentieri blaterano di “doppiette selvagge” ed altre castronerie), in modo tale da preservare la consistenza numerica delle popolazioni; anzi, all’opposto non di rado si hanno problemi di sovrannumero, malgrado la caccia di selezione, si pensi al caso lampante del capriolo”.
In un altro articolo dello stesso quotidiano si spiegava, giustamente, che “i lupi non seguono le teorie dei “maitre a pénser”, al posto di selezionare la selvaggina debole e malata, come prevedono i “sacri testi”, preferiscono attaccare le mucche che danno una resa in carne (sia in quantità che in qualità) molto superiore a quella degli animali selvatici. Anche i lupi seguono l’universale principio della fisica del “lavoro minimo”.