Paola Diani vive a Grosseto, fa l'avvocato per un Ente pubblico, è sposata e ha due figli. Ma è anche una cacciatrice: un po’ per indole, un po’ per necessità pratica la caccia al cinghiale, in battuta, come tradizione nella sua terra (la Maremma). Ma non è sempre stato così ed il percorso che l'ha portata fino a qui è tutt'altro che scontato. “La mia storia venatoria è forse singolare” ci racconta. “Circondata in famiglia da cacciatori, fin da bambina ho condiviso con mio padre questa passione. Mi portava con sé , qualche volta anche senza cane per il piacere di andare. Cosi’ fino all’età adulta. Raggiunti i diciotto anni decisa a prendere il porto d’armi , rinunciai sconsigliata da mio padre stesso. Tutt’ora, a tanti anni di distanza, non ho capito se il consiglio fu dettato dalla convinzione , ormai ciclica in ogni “vecchia” generazione – che vede vicina la fine naturale della caccia – scoraggiata dai crescenti costi, adempimenti burocratici e dalla scarsità di selvaggina naturale, ovvero dalla preoccupazione che una attitudine del genere non fosse adeguata ad una ragazza (sto parlando infatti – ahimè - di più di trenta anni fa). Poi – spiega Paola - in età matura, in quella fase concitata della vita in cui si accavallano studio, famiglia, lavoro e figli il contatto con la caccia si è affievolito. Ma come spesso succede per ogni passione rimasta irrealizzata, è tornata più tardi a galla. Condivido in pieno quello che ha scritto proprio su questo sito un’altra donna cacciatrice e cioè che è la caccia che cerca te, non il contrario. Aggiungo che è anche molto pervicace: nel caso mio ha impiegato 30 anni a (ri)trovarmi, ma alla fine ci è riuscita”.
Cosa pensa della caccia? Del fatto se sia giusto o meno giusto, moralmente, abbattere un selvatico? “Non è questo il punto – spiega lei - : per me la caccia è una passione, e come tale in gran parte irrazionale; se ne può cogliere qualche tratto qua e la’ (l’attesa del giorno, la canizza che si avvicina, l’emozione dell’incontro con il selvatico, la gioia/tristezza dell’abbattimento) ma mai compiutamente definirla. Ovviamente trattandosi di una passione comune a molti ed esercitandosi nell’ambiente il limite che non deve essere mai varcato è il rispetto delle regole. La caccia ne ha molte ( lo può confermare chi ha sostenuto l’esame per l’abilitazione negli ultimi anni!!) ; osservarle credo sia un dovere di civiltà, e significa rispettare gli altri e la natura. Assicurare questo è compito della legislazione e della coscienza di ogni cacciatore”.
I cacciatori? “Ne esistono – dice Paola - come in tutte le attività, di più o meno corretti e rispettosi. Dove per rispetto intendo quello verso la preda, l’ambiente, gli altri cacciatori, chi cacciatore non è, e verso il cane – prezioso ausiliare, indispensabile in quasi tutti tipi di caccia. I secondi , per fortuna, sono una minoranza; presunti furbi, invisi ai cacciatori, che rischia però di danneggiare la caccia e l' immagine dei cacciatori stessi di fronte alla società. Dell’essere cacciatore però credo questo: cacciatori si diventa “ per contatto”, vedendo e respirando da piccoli - quando domina appunto l’irrazionalità - la caccia in tutti suoi momenti: il prima, il durante, ed il dopo ( con i racconti che ne conseguono). Più difficile, secondo me che la passione si susciti in età adulta”.
La caccia ha uno stretto rapporto con la tutela dell'ambiente. “Credo – argomenta Paola Diani - che sia oggi una pratica ambientalmente utile, se non necessaria, dal momento che l’equilibrio tra le specie selvatiche e tra esse e l’uomo è stato spezzato da quest’ultimo ormai da tempo, ragion per cui l’uomo stesso deve farsi carico della gestione del sistema. Ciò tanto più in Toscana, dove – mi risulta – rispetto al resto d’Italia si ritrovi la più ricca biodiversità e contemporaneamente il più alto numero di cacciatori rispetto alla popolazione residente”.
Infine un rammarico: “noto che progressivamente il cacciatore ha assunto una connotazione sempre più negativa nell’opinione pubblica. Voglio pensare che ciò sia dovuto in gran parte alla non conoscenza del fenomeno, poiché le nuove generazioni, dovunque e anche in Maremma, dove io vivo, hanno sempre meno contatto con ambienti non urbanizzati e sono quindi privi degli strumenti per anche solo provare a capire che cosa sia la caccia. Questo mi dispiace e spero che i miei figli, qualora non diventino cacciatori, lo facciano avendo visto che cosa è la caccia (come si dice: a ragion veduta) . Per parte mia è sicuro che darò loro la possibilità di accendere la scintilla. Non è mai troppo tardi!”. |