Non si capisce ancora perché (o forse lo si capisce troppo bene) per convincere le persone ad apprezzare l'attività delle associazioni ambientaliste (e magari fare qualche donazione in più), si finisca col farla fuori dal vaso, talvolta addirittura fornendo informazioni non vere. Un articolo di Repubblica sulle zone umide italiane, accusa la caccia fin dal titolo (“Chiude la caccia, godiamoci le zone umide”), lasciando così intendere che queste siano assediate dai cacciatori e perciò non fruibili o minacciate.
Falso, molte di esse sono aperte al pubblico, accessibili e in buono stato proprio grazie alla caccia - che comunque si svolge in periodi e momenti della giornata ben precisi - e molte altre, anche gestite da altre entità ambiental-animaliste, e perciò chiuse alla caccia, si trovano in stato di degrado. A dirla tutta, basta leggere le definizioni e gli intendimenti delle direttive UE, le zone umide sono concepite dall'Europa come ambienti da tutelare in armonia e con il contributo delle comunità locali e delle attività tradizionali che in esse coesistono (caccia, pesca, agricoltura, ecc.). In molti Paesi UE (come anche da noi, anche se agli ambientalisti forse brucia ammetterlo) le zone umide sono l'esempio vivente di come la caccia sia un elemento economico e sociale sostenibile, uno dei pochi avamposti per la protezione concreta della biodiversità.
Nella sua impostazione l'articolo di Margherita D'Amico è fazioso dove afferma che le associazioni ambientaliste per tutelarle, le zone umide, hanno dovuto affrontare un durissimo braccio di ferro con le amministrazioni, “soprattutto in merito a concessioni venatorie e tentativi di deroga”, che, e qui viene il bello “negli anni passati hanno condotto l'Italia a pesanti sanzioni economiche da parte dell'UE”. Non è proprio così. Le procedure avviate dalla Commissione Ue finora non hanno comportato alcun pagamento di multe. Lo stato delle due procedure ancora in corso (una sul recepimento italiano della Direttiva Uccelli della legge quadro sulla caccia, l'altra sulla legge della caccia in deroga del Veneto del 2004), sono attualmente in fase di messa in mora. Il che significa che nessuna sanzione è stata emessa e che prima della successiva fase della “messa in mora complementare” il Governo ha tempo per rispondere ed evitare le sanzioni. Proprio a causa di queste inedeguatezze evidenziate dall'UE le deroghe in questa stagione venatoria sono pressochè scomparse.
Si prendono poi a prestesto le “vittorie” al Tar delle associazioni sui calendari per dimostrare che “ le Regioni italiane non hanno alcun interesse per la tutela di natura e fauna selvatica" e che "reiterano comportamenti illegittimi, censurati e condannati più e più volte dai tribunali italiani e europei”. Ma costringere a tambur battente i tribunali amministrativi ad analizzare ogni possibile cavillo che può prestarsi, a ragione o a torto, a diverse interpretazioni (e lo si vede dalle diverse decisioni da regione a regione) è ben altra cosa. E non significa affatto che la caccia di per sè sia dannosa. Come sappiamo tutto sta nell'insindacabile parere dell'Ispra e nell'abilità nel fornire le motivazioni scientifiche a constrasto di quelle osservazioni. Ma alla resa dei conti, come abbiamo visto, con le domande cautelari e un po' di fortuna, tutto diviene possibile. |