La Consulta ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'articolo 7 della legge n.20 del 10 giugno 2002 della Regione Toscana (calendario venatorio) nel testo vigente prima della sua sostituzione intervenuta con la legge di manutenzione nel 2012, nonchè del comma 12 dell'articolo 28 (tesserino venatorio), anch'esso nella forma prevista prima della riforma del giugno 2012.
Anche se queste norme sono state abrogate e modificate successivamente, i giudici della Corte fanno notare che "perchè il calendario venatorio è stato adottato con legge anzichè con regolamento", su di esso non può influire l'abrogazione intervenuta. Il ricorso (partito dalla Lav) si basa su un atto della Giunta provinciale riferito all'annata 2010 2011, periodo in cui erano ancora in vigore le norme dettate all'articolo 7 dai commi 5 (che permetteva l'anticipo per la caccia al cinghiale al primo ottobre) e 6 (che prevedeva la possibilità di cacciare anche su terreni coperti da neve gli ungulati) e sul tesserino venatorio. Come è stato più volte affermato dalla stessa Corte Costituzionale, infatti, "ove un determinato atto amministrativo sia stato adottato sulla base di una norma poi abrogata "la legittimità dell'atto deve essere esaminata in virtù del principio tempus regit actum, con riguardo alla situazione di fatto e di diritto, esistente al momento della sua adozione".
La Corte ha ritenuto fondata anche la questione relativa all'approvazione del calendario venatorio con legge regionale, anzichè con un atto amministrativo. Interpretando l'intenzione del legislatore, la Corte sostiene infatti che, prescrivendo l'acquisizione obbligatoria del parere Ispra, abbia esplicitato la natura tecnica del provvedimento e quindi, implicitamente, anche il divieto di impiegare la legge-provvedimento (fatto questo, già oggetto delle analoghe sentenze n. 20 del 2012; n. 105 del 2012, n. 116 del 2012, n. 310 del 2012).
Fondata per la Consulta anche la questione relativa all’art. 28, comma 12, della legge regionale n. 3 del 1994, nel quale si stabiliva che «nelle aziende agrituristico venatorie non è necessario il possesso del tesserino per l’esercizio dell’attività venatoria» (comma poi abrogato). La Regione, ed analogamente anche Eps (ente produttori selvaggina) nell’eccepire l’infondatezza della questione, si è difesa sottolineando che nelle aziende agrituristico venatorie viene cacciata senza limiti giornalieri selvaggina immessa, proveniente da allevamento, perciò non sottoposta al regime di controllo tipica all'esercizio della caccia. Per la Corte l’argomento è privo di consistenza "perché il tesserino venatorio non ha solo la funzione di consentire una verifica sulla selvaggina cacciata, ma ha anche una più generale funzione abilitativa e di controllo, come si desume innanzi tutto dall’art. 12, comma 12, della legge n. 157 del 1992".
Vai al testo della sentenza |