"Sarebbe arrivato il momento di far pagare anche agli ambientalisti una tassa per gestire l’ambiente". E' la proposta di Sergio Frasson, presidente provinciale di Enalcaccia Ferrara, a seguito dell'
allarme lanciato sullo stato in cui si trova la fauna selvatica nell’area protetta del Mezzano, dove le specie opportuniste hanno causato un declino repentino della biodiversità. Frasson accusa le associazioni ambientaliste e gli "amministratori incapaci" di questo degrado e propone di "tassare le associazioni ambientaliste e poter aprire la caccia indiscriminata al cormorano e al gabbiano reale, senza scadenze temporali, sul modello di quanto già disposto in Paesi del Nord Europa come Svezia e Norvegia".
Solo in questo modo, secondo i cacciatori, si può porre rimedio a quella che è stata definita la “morte” del Mezzano e delle Valli di Comacchio:
uno squilibrio tra specie predatorie e selvatiche causato da un "aumento a sproposito di fauna invasiva: la famiglia dei corvidi, dei rapaci, volpi e aironi, che sono diventati i veri padroni". "Nel percorso del crollo della fauna - dice il rappresentate di Enalcaccia - è sempre stato molto facile colpevolizzare il mondo agricolo e quello venatorio,
mentre gli ambientalisti pubblicizzavano interventi di recupero e cura di rapaci in difficolt�per liberarli nell’area del mezzano – afferma Frasson – Tutto questo ha però alterato il rapporto tra specie".
"Ciò vale anche nelle valli di Comacchio - prosegue Frasson - , dove la
presenza di gabbiani reali e cormoraniha provocato la distruzione della fauna ittica, mettendo in ginocchio la pesca". Per tutti questi motivi, secondo i cacciatori, è il caso di far pagare il conto di questi disastri ambientali a chi li ha provocati. "Noi cacciatori - spiegano - paghiamo ogni anno circa 400 euro di tasse. Nonostante il danno causato, invece,
le associazioni ambientaliste se non ottengono sovvenzioni rischiano sempre la chiusura. È arrivato anche per loro il momento di essere tassate".
Dal quotidiano La Nuova Ferrara, da cui abbiamo tratto la notizia, la direttrice del Parco del Delta del Po, Lucilla Previati ammette la situazione. "Bisogna intervenire in maniera laica – afferma – con piani dettagliati di controllo che contemplino anche le forme di agricoltura presenti nei diversi territori.
In alcune zone umide, la situazione è scappata di mano: il parco, ad esempio, alleva animali, ma se ci sono squilibri tra predatori e specie protetta si ottiene solo il risultato che quest’ultima diventi “carneficina” per le specie predatorie".