La Regione Lazio e le associazioni venatorie intervenute contro il ricorso di Lac, Wwf, Enpa, Lipu e Legambiente ce l'hanno fatta. Il calendario venatorio della stagione 2013 – 2014, sospeso a seguito della richiesta cautelare e successivamente modificato per consentire la ripresa dell'attività venatoria (con i conseguenti disagi causati ai cacciatori) era del tutto legittimo. Una magra consolazione per chi ha perso intere giornate di caccia pur avendo regolarmente versato quanto dovuto in tasse. Ma la sentenza definitiva del Tar del Lazio, depositata questa mattina (lunedì 17 febbraio), parla chiaro: tutti i motivi del ricorso sono stati ritenuti infondati.
I giudici, vista l'evidenza dei dati scientifici presentati e l'aderenza delle disposizioni di caccia alla normativa italiana ed europea non hanno potuto far altro che rigettare il ricorso e riconoscere la valdità del calendario venatorio. Nella sentenza si legge infatti che la Regione Lazio “ha dato dimostrazione di aver attentamente esaminato le osservazioni dell’ISPRA e, per quelle alle quali ha ritenuto di non aderire, ha esaustivamente fornito le relative argomentazioni, con riguardo ai periodi ed alle modalità di caccia”. In particolare la sentenza sottolinea il “riferimento ai risultati di studi svolti da organi aventi riconoscimento a livello europeo e/o studi riferiti alla specifica realtà regionale, che evidenziano le peculiarità legate al territorio del Lazio”. Ovvero al documento “Key Concepts della direttiva 79/409/EEC, elaborato dal Comitato scientifico Ornis, costituito da esperti ornitologi, documento ufficialmente adottato dalla Commissione europea che riporta indicazioni specie per specie e paese per paese, le date (decadi) di inizio e durata della riproduzione e di inizio della migrazione prepuziale, nonché della “Guida alla disciplina della caccia nell’ambito della direttiva 79/409/CEE sulla conservazione degli uccelli selvatici”, redatta dalla Commissione per fornire suggerimenti per la corretta applicazione della direttiva per quanto attiene l’attività venatoria.
Il Tar mette nero su bianco un concetto già esplicitato dal Commissario Europeo Potocnick poco fa, con una risposta formale ad un'interrogazione al Parlamento UE, ovvero che non si ravvisa “la denunciata violazione dell’art. 18, comma 1 bis, della direttiva Uccelli 09/147/CE nel suo complesso e con particolare riferimento al paragrafo 7.4 (principio di precauzione), e che “la sovrapposizione di dieci giorni sul periodo di migrazione prenuziale è consentita dal documento “Guida alla disciplina della caccia nell’ambito della direttiva 79/409/CEE sulla conservazione degli uccelli selvatici - Direttiva Uccelli selvatici”, redatto sempre dalla Commissione europea”. Più chiaro di così....
Per quanto riguarda la lepre, si legge ancora nella sentenza “le obiezioni dell’ISPRA sono state comunque motivatamente superate: è stato limitato il carniere giornaliero a non più di un capo e il carniere stagionale a non più di cinque capi, mentre, riguardo al richiesto spostamento dell’apertura della caccia al 1° ottobre, si è rilevato lo scarso impatto che ciò determinerebbe, in quanto nel bimestre settembre-ottobre si verificano meno del 5% delle nascite, come si evince dallo stesso prospetto dato da tale organo”. Il che significa che nel discostarsi dal parere Ispra la Regione “ha messo in evidenza le misure comunque adottate per tutelarle”.
Il Tar ha dato torto agli animalisti e ambientalisti anche sulla censura secondo cui la Regione avrebbe dovuto sottoporre il calendario venatorio a valutazione di incidenza, in relazione alle ZPS”. Sarebbe bastato dare una scorsa alla Direttiva Habitat, che prevede questa procedura solo per il piano faunistico venatorio (non impugnato) e non anche per il calendario venatorio. Un'altra vittoria incassata dal mondo venatorio, un'altra dimostrazione lampante di come i ricorsi anticaccia siano quasi sempre pretestuosi e privi di fondamento giuridico. |