Maicol Testi ha 32 anni, abita a Fusignano (RA) ed è un ingegnere. Non è cacciatore ma nemmeno contrario alla caccia, anzi, crede che “se affrontata con lo spirito giusto sia un'attività molto affascinante”. “In famiglia sono tutti cacciatori – spiega -, io non lo sono diventato per semplice pigrizia. Ma non c'è nessun motivo per essere contrari, in fondo le prede si mangiano, è naturale”.
La sua passione è la fotografia. Ed è qui che Maicol incontra di nuovo l'ars venandi. Nel suo paese i cacciatori sono tanti e lui, frequentando il circolo della zona, li conosce tutti.
Ultimamente ha deciso di accostarsi a loro da osservatore esterno, di raccontare la dimensione più significativa della caccia, che è quella della convivialità e della condivisione di un rito sociale senza tempo, ancora in grado di unire generazioni e di metterle in comunicazione tra di loro. Il primo novembre scorso si è alzato di prima mattina per seguire una battuta al cinghiale che si è svolta nelle vicinanze di Casola Val Senio, in provincia di Ravenna. Munito di due vecchie reflex di 30 anni fa (una scelta stilistica coraggiosa considerando l'imperante moda del digitale ad alta definizione e gamma dinamica estesa), e rullini per il bianco e nero, ha immortalato i momenti più belli, che vi presentiamo in esclusiva nella gallery sottostante. Ne è uscito un bellissimo fotoracconto, drammatico ed emozionante, che testimonia quanto la caccia vissuta in squadra funga da collante tra la gente del paese. Ma la caccia al cinghiale ha anche un'utilità marcata, secondo Maicol. “I nostri contadini – ricorda - devono continuare a produrre quello che serve alla società e un controllo attivo di quegli animali che possono arrecare danni ai raccolti è fondamentale e penso sia eticamente corretto”.
L'esperienza per lui è stata particolarmente emozionante, tanto che ci confessa che gli piacerebbe poter rifare la stessa cosa ma stavolta seguendo i battitori con i cani. “Alla prossima apertura vorrei organizzarmi per farcela” dice. “Un'altra idea che mi è venuta è quella di testimoniare i momenti di rilascio degli animali nelle bandite, o dalle bandite nelle zone cacciabili. O quando fanno le battute per catturare gli animali e spostarli”.
Maicol ci ha mandato anche un racconto di quella giornata. Ecccolo in versione integrale:
"Ci sono passioni che è difficile comprendere se non vissute. Non sono cacciatore, ma ho sempre nutrito un certo fascino per l’aspetto primordiale di questa attività. Partire all’alba, la ricerca della preda, l’abbattimento e il cibarsene in famiglia, più o meno come facevamo nel paleolitco. Più o meno, perché coi fucili è facile, l’uomo vince quasi sempre. Dipende dalle prede, ovviamente. Con i cinghiali non è mica così scontato vincere, c’è un certo rischio, è una caccia più fisica e la preda non si può mica insaccare nel giaccone per portarla a casa.
Pirì è mio nonno e va a caccia da sempre. Quest’anno l’autunno è estremamente mite e il primo novembre è praticamente maggio, così decido di aggregarmi alla sua squadra per documentare una giornata di caccia al cinghiale.
Scelgo il bianco e nero, ovviamente in pellicola, e due reflex che assieme hanno il doppio dei miei anni. Il ritrovo è il Bar Sport di Casola Valsenio, alle sette. Pirì è già là e prende le iscrizioni dei partecipanti. I cacciatori sono quasi una cinquantina, pianificano la battuta e fanno colazione, poi si parte per la zona di caccia.
Arriviamo in una vallata che si sta svegliando, con il sole che sbuca tra le nuvole e le creste delle colline romagnole dorando tutto quello che incontra. E’ bellissimo, ci sono questi gruppetti di soldati armati fino ai denti che si dividono per il crinale e circondano la valle da battere, i galli che cantano in lontananza, l’aria insolitamente tiepida, è tutto un contrasto.
Io mi apposto, non seguo i battitori con i cani, quello sarà il secondo capitolo di questo progetto fotografico. Per tutta la mattina non succede nulla nella zona in cui mi trovo. Potrebbe sembrare noioso, ma stavo da dio. Dalle radio si sente la telecronaca di quello che sta succedendo altrove.
Dopo diverse ore passa un battitore e si immerge nella macchia di foresta da cui dovrebbero uscire i cinghiali. Pochi minuti dopo una raffica di fucile ci segnala che il primo cinghiale è stato ucciso. La battuta prosegue, si uccide qualcos’altro e si decide di chiudere la battuta nel primissimo pomeriggio. Ora bisogna recuperare i corpi.
Decido di dare una mano, torno assieme ad altri quattro a recuperare quel cinghiale ucciso vicino a dove ero appostato. Una bella bestiola di una cinquantina di chili che leghiamo e sudando come se non ci fosse un domani, trasciniamo fino al pick up.
Ci si ritrova sulla vetta del crinale, sulla strada doveva avevamo lasciato le auto, per ammirare tutti assieme le prede e ripercorrere le scene con aneddoti infarciti di particolari. I cani e cinghiali ci sono tutti, la fanteria pure. Ci spostiamo in un’altra zona, ma iniziamo ad essere stanchi. La seconda battuta è in una location ancora più suggestiva, un giovane uliveto con un panorama mozzafiato, per essere in Romagna, si intende. Non si uccide nulla, così dopo poche ore ci si raduna alla casa di caccia, in paese, per la macelleria e la cena, tutti assieme.
Durante la macelleria vengo a conoscenza dell’aspetto più serio della battuta. In pratica i cacciatori devono fare le autopsie ai cinghiali uccisi, campionando diversi organi sulla base delle direttive sanitarie, perché poi devono essere consegnate all’ente competente per le analisi, che monitora lo stato di salute dei branchi ed eventuali anomalie.
E’ stata un’esperienza interessante, che vorrei approfondire seguendo i battitori con i cani, alla prossima occasione. E ci ho guadagnato un chilo di carne, selvaggia e con lo stesso odore acre che aveva 100.000 anni fa". © RIPRODUZIONE RISERVATA
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