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News CacciaPRIMA LICENZA DI CACCIA, Marco Ciarafoni: "La mia salvezza dalle derive fondamentaliste" venerdì 16 maggio 2014 | | La prima volta, si sa, non si dimentica mai. Per me è stata più di trent’anni fa in un Paese permeato da tensioni sociali e dall’insorgere del terrorismo (rapimento Moro), dai primi scandali in politica (caso Lockheed), dalle censure di uno Stato bigotto che ordinò di bruciare tutte le pellicole di un film (Ultimo tango a Parigi di Bernardo Bertolucci), tanto per citare episodi che segnarono la mia gioventù e quella di molti italiani.
Eppure quel ragazzo così attento ed impegnato nel tentativo di costruire un “avvenire migliore” sentì il bisogno di prendere la prima licenza di caccia e di coniugare il tempo residuo dello studio tra una assemblea studentesca e una battuta di caccia.
Non poteva essere diversamente, di “pane e caccia” vivevo quotidianamente le ragioni per tradizione familiare e per cultura rurale. Già prima dell’uscita ufficiale non perdevo occasione di seguire padre e zii e l’assenza del fucile in spalla non mi impediva di vivere insieme a loro passioni, aspettative e qualche tensione. Seppur migranti dalle Marche a Roma alla ricerca di una maggior fortuna di quanto potessero sperare dei braccianti agricoli assurti al “ruolo” di mezzadri le prime uscite di caccia di ogni stagione riportavano scarponi e cuore in quelle terre native anche per ricomporre un nucleo familiare disperso.
E così fu anche la prima volta. Giornate febbrili, anche dal punto di vista del termometro, segnarono la vigilia. Meticolosa, quasi ossessiva la preparazione degli “attrezzi” del mestiere: vestiario, calzature, munizionamento. Sfogliavo le riviste del settore e tentavo di immedesimarmi in fantasiosi racconti che la mano dell’esperto scrittore gonfiava sulle ali di un interesse editoriale. E poi letture più attente. Del maestro Mario Rigoni Stern era stato già pubblicato “il bosco degli urogalli” e solo successivamente riuscii a comprendere perché per lui la caccia fosse ”libertà, sole, spazi, tempeste”.
La notte prima non dormii; come avrei potuto! Il silenzio accompagnò il tragitto che mi separava dalla prima uscita con licenza regolare. Ripassavo a memoria i luoghi già visitati qualche settimana prima nella fase dell’addestramento dei cani. La vigna in cima alla collina e poi giù quel grande pezzo di maggese che arrivava ai confini del divieto. Era il periodo del sorgo basso e dei medicai: la mano saggia dell’uomo si vedeva e le siepi segnavano ancora le proprietà dei contadini.
Tirai fuori la doppietta dal fodero e la guardai con rispetto. Era ben oliata, decisamente troppo. Il primo fischio di zio che richiamava Laica mi riportò alla realtà. Osservavo ogni aspetto dell’azione, cercavo con gli occhi quello che potevano non sentire i cani, mantenevo le distanze da papà e zii. Sembrava che il tempo scorresse via con grande velocità e che il destino cinico e baro vincesse sulla trepidazione di un giovane nembrotto. Poi Lola in un rientro dopo l’allungo scarta e si irrigidisce al limite di un sorgo prima del coltrato. Sono il più vicino, tocca a me. Vado a servire, stringo forte la doppietta. Tempo pochi secondi e si alza un gallo dalla voce fragorosa. Il tiro è d’imbracciata, la prima (e meno male) si perde nell’aria. La seconda va a segno. Lola riporta a zio, ma non fa niente contano di più lo sguardo affettuoso e complice dei miei cari compagni di caccia. Li rivedo ancora oggi quegli occhi sui miei e trovo conferme su una scelta che rifarei senza alcuna esitazione, consapevole di esercitare una attività che ha accompagnato la storia del mondo e che è fondante di una tradizione che è al tempo stesso cultura della responsabilità e rispetto verso la natura. Da allora le esperienze, la tecnica, gli accorgimenti si sono affinati ma l’alba del primo giorno di caccia rimane un mix di emozioni incontrollabili. Oggi abbiamo un dovere in più come cacciatori. Vincere nell’era del consumismo le derive fondamentaliste di chi imponendo divieti vorrebbe fare pace con la natura. Non sanno e non sapranno mai che è nella campagna viva e fruibile che si onorano le vicende umane, sociali e culturali di un popolo e si scrive il futuro dell’umanità. Marco Ciarafoni
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