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GIOVANI MEMORIE, Emanuele Castelli: "il mio primo cinghiale da canaio"


martedì 20 maggio 2014
    

Apriamo con Emanuele Castelli la nuova rubrica Giovani memorie, dedicata alle esperienze di caccia particolarmente significative vissute e  raccontate dai giovani cacciatori. Se volete raccontarci la vostra, scrivete a [email protected].


Cacciavamo il cinghiale in una piccola frazione dell’Oltrepò Pavese. Era una fredda giornata d’inverno e il terreno ghiacciato era ancora parzialmente coperto dalla neve caduta nei giorni precedenti. La stagione volgeva al termine e l’intenzione era di battere un versante del monte, alla ricerca dei pochi ma astuti cinghiali rimasti.

Le poste erano schierate ai piedi e ai lati del monte; i cani dovevano essere sciolti partendo dal crinale. Il capocanaio che abitualmente accompagnavo nel fitto dei rovi era assente a causa di un infortunio. Fu così che il caposquadra mi affidò la “Brina”, una vecchia meticcia di comprovata esperienza, dicendomi di battere una zona molto sporca, piena di rovi. Taciturno mi incamminai con la fedele cagna lungo una stradina sterrata che conduceva ad una vecchia casa diroccata. Sostai un attimo ad osservare le antiche pietre, oramai avvolte dai rovi. Per un attimo sognai di abitare in quella casa isolata, con le travi in castagno e il camino con la legna, i buoi nella stalla.

Improvvisamente la radio mi riportò alla realtà: “Qua in basso siamo a posto, potete sciogliere”. Mi chinai verso la cagna e la liberai dalla corda. Essa mi guardò negli occhi e partì spedita. La seguivo faticosamente; la neve ghiacciata rendeva la mia discesa lenta e rumorosa. Mi diressi verso una rimessa situata a mezza costa, esposta al sole, scavata nel terreno e riparata dal vento. Vi trovai la “Brina” che eccitata annusava il terreno circostante. Ispezionai la grotta che non sembrava essere stata frequentata di recente. La cagna però aveva preso una pista e iniziò a scendere decisa lungo un canalone. Il cuore mi balzò in gola quando vidi  le tracce di un cinghiale enorme. Non erano freschissime ma la cagna, pur non dando voce, seguiva concentrata la traccia.  Procedeva lentamente, naso a terra, ogni tanto voltandosi e fermandosi per aspettarmi.  

Arrivammo in fondo al canalone, quando mi trovai di fronte ad un muro impenetrabile di rovi. Non potendo proseguire, mi portai in cima ad un rilievo per seguire l’azione della cagna. All’improvviso il dolce suono del suo campanello si arrestò. Poi l’assoluto silenzio della natura fu interrotto da un breve abbaio cupo, spaventato, della cagna. Il mio cuore inizio a battere come un tamburo, mentre l’abbaio diventava sempre più insistente e feroce. Stava abbaiando a fermo il cinghiale. Incitai con un grido la cagna e sparai un colpo a salve. Il roveto sembrò esplodere davanti ai miei occhi.  “È partito! Attenti alle poste! La Brina è dietro ad un cinghiale enorme! Viene giù lungo il fosso!”, gridai per radio. Di lì a poco tuonarono due fucilate. “L’ho ferito, è fermo nel fosso!”, esclamò l’amico Renzo. Presi un sentiero laterale che aggirava il roveto e mi avvicinai al cinghiale. Altri cani, richiamati dagli spari, erano sopraggiunti a dare manforte e l’abbaiare diventava sempre più assordante.  

Finalmente lo vidi: era un verro enorme, nero come il carbone. Sbuffava fiato dalle narici e dalla bocca e il corpo bagnato fumava nell’aria gelida. I cani lo avevano circondato e abbaiavano furiosi. Mirai alla testa e tirai. Crollò di schianto, come fulminato. I cani si avventarono addosso, sfogando il loro istinto predatorio. La Brina mi corse incontro scodinzolando; mi inginocchiai e l' abbracciai forte. In quel momento provai un’emozione fortissima: mi sentii vivo.

Scesa l’adrenalina, mi avvicinai ad ammirare meglio la preda. Era un giovane, magnifico verro con delle brevi ma aguzze zanne. L’amico Renzo l’aveva colpito in più parti mentre il mio colpo gli aveva dato il colpo di grazia. Arrivarono gli amici e dopo i complimenti recuperammo la preda ed i cani e ci avviammo alla casa di caccia. Al macello scoprimmo che il cinghiale aveva avuto altre due esperienze forti con i cacciatori. La giornata si concluse con un brindisi, all’insegna della caccia e dell’amicizia.

Per motivi di studio e di lavoro mi sono dovuto allontanare dai compagni di caccia, dai fedeli cani e dagli amati boschi dell’Oltrepò Pavese e solo in sogno rivedo quel cinghiale abbattuto sotto il fermo dei cani.
Il racconto di questa esperienza mi riporta accanto a voi, amici cacciatori, con il cuore e con il pensiero. Scrivendo di voi ho avuto la possibilità di sentirmi come mi sentivo allora: felice e orgoglioso di essere un cacciatore.

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1 commenti finora...

Re:GIOVANI MEMORIE, Emanuele Castelli: "il mio primo cinghiale da canaio"

Emozioni Uniche!! ke solo gli amanti della caccia comprendono.. complimenti x il bel racconto

da giovane canaio siciliano 22/05/2014 16.43