La mia famiglia viveva in un appartamento a Milano e a tutti gli effetti ne hanno sempre fatto parte a pieno titolo anche i cani di mio Padre, Giovanni, appassionato cacciatore che mi ha trasmesso questa grande passione.
Fin da piccolino ho sempre cercato di farmi portare a caccia provando ogni strategia: farmi trovare già pronto e vestito quando Papà si alzava o farmi trovare già giù alla macchina. Purtroppo molto spesso mi toccava restare a casa e aspettare con trepidazione la sera quando Papà sarebbe tornato per corrergli incontro e vedere cosa aveva preso.
Fortunatamente a volte riuscivo a convincerlo e così a partecipare da accompagnatore a qualche cacciata, magari quando usciva da solo e non era in compagnia dei suoi amici così da non essere di intralcio a nessuno.
Poi crescendo sono diventato accompagnatore fisso e infine, finalmente, membro effettivo della squadra con la mia brava licenza in tasca. Ma non è stato facile. Nel settembre del 1977 compivo 16 anni e non vedevo l'ora di conseguire la sospirata licenza con l'autorizzazione e le firma di Papà, che già mi aveva regalato una bella doppietta Bernardelli S. Uberto con uno scudetto sul calcio riportante incise le mie iniziali. Già mi vedevo andare a servire Birba in ferma, la nostra Bretoncina di allora, ma non avevo fatto i conti con la sfortuna.
Proprio in quell'anno, infatti, fu approvata la legge n. 968 che sposto' l'età della licenza ai 18 anni. Quando andammo a consegnare i documenti per iscrivermi all'esame e appresi tale "ferale" notizia fu per me come prendere una pugnalata.
Così la mia prima licenza arrivo' solo nel gennaio del 1980 e ricordo benissimo la mia prima uscita "ufficiale".
Di solito Papà andava a caccia con il suo grande amico Renato e con Fabio, di pochi anni più vecchio di me e figlio di un altro amico di Papà, Claudio, purtroppo venuto a mancare ancora giovane qualche anno prima. Quel giorno di gennaio 1980 però eravamo soli io è Papà e partimmo per Nibbia, in provincia di Novara, dove avevamo trovato un buon posto per pavoncelle e cesene: un grande prato dove erano rimaste le tracce di una recente nevicata e che confinava con un filare di vecchi pioppi.
Lasciata Birba a riposo decidemmo di dedicare la giornata a questo tipo di caccia da appostamento. Ricordo l'emozione provata caricando la vecchia R4 con stampi, capannino e, finalmente, anche il mio fucile. Non mi sembrava vero. Continuavo con la mano a "palpare" i foderi sul sedile posteriore per avere sempre conferma che fossero davvero due.
Era una giornata fredda e serena. Giungemmo sul posto che stava appena facendo chiaro. Montammo il capannino a ridosso della fila di pioppi e posati gli stampi nel prato davanti a noi iniziammo l'attesa dei selvatici. Sentivo il cuore che mi batteva in gola mente scrutavo il cielo cercandovi il primo volo di uccelli.
Non passo' molto tempo e l'arrivo di un bel voletto di cesene fu anticipato dal loro inconfondibile canto. Papa' fece un bel doppio mentre io ne abbattei solo una di seconda. Corsi subito a raccoglierla: il mio primo selvatico con la licenza.
Poi arrivo' il primo volo di pavoncelle, attratte più dagli stampi che dai nostri un po' maldestri tentativi con i fischietti a bocca. Papa' mi diceva: "aspetta, sono lunghe. Aspetta, aspetta....Ora!".
Mentre una pavoncella colpita da Papà cadeva, io vuotavo invano la mia doppietta dietro alle altre che riguadagnavano quota con agilità lasciandomi in bocca l'amaro della prima bolletta da patentato.
Per fortuna quella mattina ebbi molte altre occasioni di riscatto e verso mezzogiorno avevamo un bel mazzetto misto di cesene, pavoncelle e .... di altre "bollette" alcune delle quali veramente incredibili.
Tornando a casa, mente Papà guidava, io continuavo ad ammirare i selvatici catturati e già pensavo con trepidazione alla prossima uscita. Ero felicissimo e anche Papà lo era per questa prima giornata di caccia vera vissuta assieme.
Dopo quel giorno indimenticabile ne sono venuti molti altri bellissimi anche se, purtroppo, un brutto male ha portato via mio Padre nel novembre del 1986 quando aveva solo 58 anni.
Delle tante esperienze di caccia vissute assieme a lui e agli amici Renato e Fabio (con il quale ancora oggi mi accompagno) mi restano ricordi bellissimi.
Ma quello che penso sia il vero valore di dividere la stessa passione tra genitori e figli e' che si realizza un rapporto che va oltre a questi ruoli familiari. Al rispetto e all'amore che si prova per il proprio genitore si aggiungono un'intimità, una confidenza e un reciproco senso di appartenenza, un'amicizia veramente particolare, che ben difficilmente a mio parere si possono altrimenti realizzare.
Sei allo stesso tempo genitore o figlio, compagno d'avventura e amico. Ti ritrovi a parlare con tuo Padre di cose che forse normalmente si faticano ad affrontare con tanta spontaneità e semplicità.
E ancora oggi che le mie licenze sono diventate 35, non passa giorno che non pensi a lui ancora in quel modo, a lui come Padre, come amico e compagno di caccia, ringraziandolo per tutto quello che mi ha dato e per avermi fatto ammalare di questa splendida malattia che è la caccia.