Uno dei luoghi comuni è quello di dire che cacciatori si nasce. E’ difficile divenirlo con il tempo. Essere cacciatore costa troppa fatica, troppi sacrifici. O lo si è oppure no! Bè, io non so se tutto ciò è vero, ma se cosi fosse, io cacciatore lo sono nato. O meglio come il Principe della risata autorevolmente sosteneva: lo nacqui!
Tutte le sante mattine prima di andare all’asilo raccontavo dei miei epici safari africani a una mamma attenta e compiacente. Fucili e pistole i miei unici giocattoli che portavo sempre con me. Così a quattro anni in visita al giardino zoologico di Palermo m’imbattei nel leone Ciccio, ormai vecchio e malato. Ovviamente fu preda del mio fucile giocattolo. Pochi giorni dopo, in prima pagina sul Giornale di Sicilia, faceva bella mostra di se il povero leone Ciccio con una ampia fasciatura a una zampa, postumo di un intervento chirurgico dovuto all’età. Ma mio padre in piedi in cucina leggeva così l’articolo: il piccolo Federico Cusimano durante una battuta di caccia grossa ha ferito mortalmente il leone Ciccio a Villa Giulia….. Non so per quanto tempo ho creduto di essere stato davvero io a sparare al leone e chissà, nel profondo del mio cuore, nella mia parte ancora di bambino, ancora ci credo. La mia prima licenza la presi immediatamente, appena la legge me lo consentì. Una mattina io e mio cugino anche lui fresco di licenza andavamo a caccia di tordi. Ci avevano insegnato un posticino nei pressi di Corleone con un bell’uliveto e il bosco. Posto perfetto per lo spollo. Stava quasi per albeggiare e non riuscivamo a trovare la strada per raggiungere il posto, in effetti lo vedevamo dall’altra parte di una vallata ma con la macchina non c’era verso di arrivarci. Così decidemmo di abbandonare l’auto e incamminarci a piedi, non volevamo perdere il momento magico in cui si spara di più. Arrivati in fondo, prima di risalire per l’uliveto, c’erà da attraversare un fiumiciattolo basso, così non appena mettemmo il primo piede in acqua, ffrrrrr parte il primo beccaccino. Dopo pochi passi il secondo. Per la miseria qui è pieno di beccaccini! Ovviamente abbandonammo l’idea dei tordi e ci buttammo a capofitto lungo la fiumara. Uno dopo l’altro partivano i beccaccini, veloci come le saetta, scartando prima a destra poi a sinistra e schizzando via. Bang Bang, le fucilate si si ripetevano ma il carniere rimaneva vuoto. Una vera Waterloo. Finimmo le cartucce, tutte quante, e ne avevamo parecchie con noi. Alla fine il nostro bottino totale ammontava, mi pare, a non più di cinque beccaccini. Avviliti andammo subito dal nonno di mio cugino, vecchio ed esperto cacciatore, a chiedere consiglio e ricevere conforto. Seduto su uno sgabello in campagna ascoltò il nostro racconto mentre sbucciava una bella arancia matura, poi, quando finì di mangiarla disse: “il beccaccino quanto salta sfarfalla una volta a destra una a sinistra o viceversa, poi va dritto. Se gli sparate quanto scarta vi ruba le fucilate. Dovete aspettare quando addrizza allora avete una possibilità di prenderlo”. La notte la passammo insonne e la mattina successiva tornammo nello stesso posto. Di beccaccini c’enerano assai meno. Ma questa volta tornammo a casa con un ricco carniere.
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