Quando parliamo delle buone pratiche di conservazione derivate dalla caccia, un pensiero corre immancabilmente al sistema virtuoso del turismo venatorio d'elite nei paesi africani. Dietro a questi safari (che portano tanti soldi dove ce n'è realmente bisogno) c'è anche tanta passione e una grande dedizione. Come quella di Marina Lamprecht, che da oggi annoveriamo nel “club” Amiche di BigHunter, che vive in Namibia da molti anni, dove ha costruito davvero qualcosa che va a beneficio dell'ambiente e della tutela della fauna. Marina è co- proprietaria di una riserva di caccia fondata insieme al marito nel 1984 (Hunters Namibia Safari) che gestisce personalmente organizzando safari venatori indimenticabili. Sulla scia dell'argomento trattato dall'editoriale di questa settimana, vogliamo quindi raccontarvi cosa succede laggiù, dove la la caccia è vissuta come utilizzo etico e sostenibile delle risorse naturali. In questa direzione, da sempre, si impegna Marina Lamprecht, che ha ottenuto numerosi riconoscimenti internazionali per i successi raggiunti nell'ambito della conservazione dell'ambiente e della fauna, in continua crescita.
Le riserve – racconta lei sulla rivista African Outfitter - hanno garantito finora numerosi vantaggi biologici per gli animali selvatici, grazie al principio di selezione che garantisce il rinnovo genetico e mantiene le specie in ottima salute. Si tratta di strumenti collaudati (anche se come visto non certo accettati da tutti) per la conservazione, che funzionano e si integrano in modo sostenibile alla fruizione delle risorse disponibili. I benefici sono anche di natura economica e sociale.
Le statistiche dimostrano infatti che i soli trofei di caccia generano il 2,3 % del prodotto interno lordo della Namibia (esclusi quindi beni e servizi secondari come biglietti aerei, alloggi, pasti, noleggio auto, ecc). Il che significa che i trofei da soli pagano salari migliori e garantiscono un livello più alto di formazione professionale, creando competenze e nuove opportunità di tutela del territorio.
La battaglia di Marina è anche quella di favorire il riconoscimento alla caccia della sua funzione ecologica e della sua valenza sociale. “Con orgoglio dico che i risultati degli ultimi cinque decenni hanno dimostrato che il prelievo selettivo, etico e sostenibile è una delle forme più redditizie dell'utilizzazione del territorio, ponendosi al contempo come un grande strumento per la conservazione nel nostro paese”.
Tutto in Namibia è iniziato nel secolo scorso, quando gli agricoltori e le comunità locali hanno cominciato a realizzare che la caccia offriva più opportunità di guadagno rispetto all'allevamento e all'agricoltura, accettando quindi di buon grado di entrare a far parte di questa nuova forma di sostentamento. Dalla metà degli anni Settanta gli animali selvatici, prima guardati come antagonisti, sono diventati fonte di reddito e proprio per questo hanno cominciato a crescere considerevolmente. Negli anni ciò ha permesso di ripristinare antichi habitat perduti (eliminando infrastrutture e recinzioni) e permesso alle specie di raggiungere ecosistemi funzionali alla riproduzione.
Oggi la caccia in Namibia è regolata da una legge approvata nel 2008. La nuova politica prevede obiettivi chiari e principi per la concessione delle quote di animali abbattibili che si basano su precisi obbiettivi condivisi dalle comunità. Si tratta di una gestione intelligente che intende garantire rendimenti sostenibili in tutto il Paese.