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News CacciaGIOVANI MEMORIE, Daniele Pedranghelu "Ultima giornata di caccia" martedì 29 luglio 2014 | | “E quindi non rimane che andare!”. Non era una domanda, una richiesta, un parere. Era piuttosto, quello del mio amico Fausto, qualcosa di molto vicino ad un ordine.
Non sono state tantissime le giornate di caccia vissute insieme quest'ultima stagione, che perciò ha lasciato quel senso di incompletezza. E che, a due giornate dalla chiusura e con la prima neve ad imbiancare le campagne, può a ben ragione dirsi archiviata. In una situazione normale, non avrei nemmeno avuto bisogno di pensarci troppo, ma oggi il riacutizzarsi del male alla schiena mi fa nicchiare: una scarpinata su e giù per i colli ghiacciati non sarebbe stata davvero l'esercizio adatto.
“Ha nevicato in pianura. Figurati cosa può esserci in collina!” Tento di aggirare l'ostacolo. “No, mi hanno detto che là è pulito. Dai, passo a prenderti tra mezz'ora col brocco tedesco!”. Proprio così, il brocco tedesco. Trattasi ovviamente di un Kurzhaar, un bracco tedesco, giovanissimo ma pieno di voglia, tutto cuore e muscoli, in cerca di esperienze. È stata questa la spinta decisiva a farmi capitolare. Vedere un giovane promettente crescere nelle sfide portate a selvatici veri ed elusivi come solo quelli di fine stagione è per un cacciatore cinofilo un piacere che non ha termini di paragone nella complessa disciplina venatoria con nessun altro, compreso l'abbattimento del selvatico. E' vedere l'intero universo concentrarsi in un unico momento.
Padrino di Jeff, questo il nome del Kurzhaar, il mio Bullo, epagneul breton, promessa mantenuta lui, reduce da una stagione esaltante e in piena forma. Queste dunque le premesse di quel giorno. Dalla chiusura della telefonata, Fausto giunge a casa mia esattamente trenta minuti dopo, il tempo di caricare Bullo sulla sua jeep e via, verso la zona prescelta. Giunti sul posto ho notato subito che era stato risparmiato totalmente dalla neve e che sul terreno c'era solo una sottile pellicola di ghiaccio che avrebbe reso ancor più ardo il percorso già scabroso di suo. E c'eravamo solo noi. Si tratta sostanzialmente di una valletta abbastanza profonda dove l'acacia vive in pace col carpino bianco, incorniciata da prati verdi, vigneti, frutteti e lingue di bosco della stessa natura.
Siccome per me camminare in discesa a freddo sarebbe esercizio improbo, mando Fausto verso il basso, dove il ghiaccio indebolendo la sua morsa avrebbe regalato aree più promettenti, mentre io mi sarei dedicato con Bullo ad aree più periferiche, camminando il più possibile in piano almeno fino a scaldarmi un po'. Ma se a caccia gli eventi fossero scontati e ovvi, dove sarebbe il fascino di questa arcana disciplina? Sarebbe senz'altro relegata al ruolo di esercizio noioso e forse vile. Andò quindi a finire che nel bordo alto, Bullo incocciava un effluvio che aveva tutte le caratteristiche per sembrare buono e al bordo di un sentierino si pietrifica in ferma contro un tronco caduto.
Il beeper inizia a scandire la sua monotona canzone, inutile quindi avvisare Fausto. Impossibile tentare l'aggiramento del sito: posso solo dirigermi a passo spedito, sperando di poter cogliere l'animale nel momento in cui si palesa. A dieci passi da me, molto più in basso di quanto supponevo, dietro all'unico abete della zona, un paio di ali brune esplodono con forza e senza darmi nemmeno il tempo di puntare il fucile si dirigono verso il basso. “FAUSTOOOOO!!!” Aspetto di sentire la fucilata ma nulla.
Mi appare la testa di Fausto tra i carpini, era esattamente sulla linea d'involo della regina, mi dice di aver guardato subito in alto ma di non aver visto proprio nulla. E ora? Sarà rimasta in alto o si sarà diretta verso il basso? Decidiamo di rimanere più vicini e di provare innanzitutto le zone in alto. Essere silenziosi è impossibile e sappiamo che si tratta di un animale allertato e scaltro, difficile che possa reggere ad un altro accostamento da parte dei cani. In mezz'oretta siamo sulla probabile rimessa.
I cani sono entrambi eccitati, ma mentre Bullo compie movimenti quasi al rallentatore e col naso alto cerca di ubicare l'arcera, il giovane Jeff combina il più classico dei patatràc: con le nari invase dall'afrore selvaggio della beccaccia, compie un approccio col garbo di un cinghiale e stavolta udiamo il frullo sotto di noi e possiamo solo vedere l'oggetto dei nostri desideri lanciato in volo, cavalcare le arie in un tratto libero di cielo, prima che le ramaglie ne impediscano la vista. Molto presto il rammarico per l'occasione persa lascia spazio alla voglia di avventura, proviamo a ricercarla, a tentare un'impresa che sa di impossibile. Anche la schiena sembra farmi meno male.
Andiamo in basso, sempre più giù, dove il bosco lascia spazio per i rovi e il terreno si fa infido per il fango ghiacciato. Un paio di scivoloni non bastano a fermarmi, l'adrenalina che mi circola nelle vene, insieme ad appena un po' di sangue, non mi consente soste, mi rende i sensi più acuti e raffinati, gli arti scattanti. Giungiamo al prato, fili d'erba verde che sembrano canditi, resi duri dal ghiaccio che al nostro passo si sbriciola in polvere bianca che aleggia ancora per un po' dopo il nostro passare, prima di tornare a posarsi. Poi di nuovo si sale, lungo una lingua di bosco, incontro al sole che sta per ultimare la sua parabola discendente e con gli occhi della mente mi sembra di vedere una clessidra che sta per cedere gli ultimi granelli di sabbia di quella che non è solo una giornata ma un'intera stagione e già l'anima si avvolge di malinconia. È andata, ci abbiamo provato ma non ci siamo riusciti. Lei è stata più brava di noi, ma la ritroveremo il prossimo anno, quando Jeff sarà più maturo e io più in forma.
Per quest'anno più nulla da fare, penso, mentre quasi non credo a quello che i miei occhi vedono: Jeff è una statua scolpita da artista superiore e lasciata dove deve stare, tra il bosco e la striscia di rovi, Bullo è dalla parte opposta del bosco e solleva la testa con espressione allibita al suono del beeper del collega. Non facciamo in tempo a piazzarci a dovere, il giovane è ansioso e impaziente e compie un passettino in più che fa scaturire la regina dai rovi. La vedo non bene, meglio: è distesa in volo rettilineo come una quaglia, passa davanti a Fausto mettendosi addirittura di traverso come per farsi ammirare in tutta la sua regalità e il mio amico compie una delle più facili prime canne che gli sia mai toccato fare.
Ma la gioia dell'abbattimento della preda è nulla in confronto a quando raccoglie dalla bocca del suo pupillo quella preda tanto a lungo inseguita ed agognata. Sorrisi, complimenti reciproci, strette di mano e foto di rito; non ci stanchiamo di ammirare le forme perfette della beccaccia, vero miracolo della natura: il becco lungo, l'occhio grande, la silouette allungata, il piumaggio con quei colori strappati al bosco invernale.
La soddisfazione è massima, non importa chi ha fatto goal, è la squadra intera che ha collaborato all'azione ed è la squadra che porta a casa il punto. Mancano solo trenta minuti alla fine dell'orario consentito e la macchina è a poco meno di cinquecento metri, ma sono tutti in salita e ci muoviamo subito. Una volta seduto in macchina, tutta la stanchezza mi si concentra di colpo addosso e il male alla schiena che fino ad un secondo prima pare va dormire, si risveglia prepotente.
So già che domani pagherò caro il mio eroismo con la rigidità degna di un pilastro, ma non conosco molti altri casi in cui si poteva dire la fatidica frase “Ne valeva la pena!”, come passare con un mio amico l'ultima giornata di caccia. I giovani cacciatori che volessero partecipare alla nostra iniziativa e mandarci un racconto relativo ad una giornata speciale di caccia, lo facciano mandando una mail a [email protected]. Sarete ricontattati al più presto | Leggi tutte le news | |
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