Le associazioni regionali piemontesi Pro Natura, Lac, Lav, Legambiente, Lipu, Wwf, Cai-Tam ritengono che “la caccia in Italia e nella nostra epoca sia attività anacronistica e crudele e pertanto non più giustificabile”. Lo scrivono a chiare lettere in una comunicazione inviata all'Assessore regionale alla caccia Giorgio Ferrero, minacciando la riproposizione del referendum abrogativo nel caso in cui non saranno prese in considerazione ulteriori limitazioni alla caccia, proposte al nuovo testo di legge su cui è al lavoro la Regione. “Il referendum non è morto – scrivono - ma solamente dormiente, perché non si è mai svolto pur essendo stato dichiarato ammissibile e, ove la nuova legge regionale non tenesse conto delle istanze referendarie, il Comitato Promotore del referendum riprenderebbe con nuovo vigore la battaglia legale per l’affermazione della democrazia e del diritto”.
Ed eccole, in estrema sintesi le richieste dei protezionisti piemontesi. Anzitutto no alla caccia a ghiandaia, gallinella d'acqua, alzavola, folaga, fischione, allodola, fauna tipica alpina (gallo forcello, coturnice, lepre variabile e pernice bianca). “Il divieto di caccia previsto nei confronti di pernice bianca e lepre variabile nell’attuale stagione venatoria 2014/2015 – scrivono - costituisce un primo tentativo per preservare queste specie alla visione delle generazioni future, che pertanto auspichiamo venga presto esteso anche alle altre specie” (peccato che tale divieto sia poi stato giudicato illegittimo da una recente ordinanza del Tar).
Le associazioni chiedono poi di vietare la detenzione e l’utilizzo della munizione spezzata per i cacciatori oltre i 1.000 metri di quota, oltre che maggiori tutele anche per le specie migratrici (cesena, tordo bottaccio, tordo sassello, beccaccia, beccaccino, tortora selvatica, colombaccio, quaglia, ecc.), ma anche per starna e pernice rossa. La lista delle imposizioni continua con il divieto assoluto della caccia in preapertura e con il blocco dell'attività venatoria in assenza del Piano faunistico venatorio regionale, che per altro, una volta emanato, secondo le associazioni, dovrebbe prevedere il divieto assoluto di caccia in tutte le zone Natura 2000 (cosa che l'Europa non richiede). Ce n'è ancora: come lo stop ai ripopolamenti a scopo venatorio, e il divieto per i cacciatori di esercitare in più di un Atc. Come non bastasse, Wwf, Lipu, Legambiente e consorelle hanno anche pianificato di allargare la loro influenza, con una legge organica sulla vigilanza venatoria che, testualmente, “incrementi competenze e poteri delle guardie volontarie”.
Le sette associazioni chiedono anche il divieto di caccia la domenica, per proteggere gli escursionisti. Per giustificare questa assurda imposizione la sparano grossa: “ogni anno - scrivono - sono oltre cinquanta i morti di caccia nel nostro paese”. Palesemente falso. Il dato vero si aggira sulla ventina e quasi mai riguarda cittadini non cacciatori. Anche il fine gestionale della caccia viene del tutto delegittimato dagli animalambientalisti. “Riteniamo che l’uso delle armi da fuoco per risolvere i problemi ambientali - scrivono - non sia la strada migliore da percorrere” scrivono. Come risolvere allora il problema dei cinghiali che distruggono i raccolti? “Strategie dissuasive incruente, il rapido rimborso dei danni, le colture a perdere, la scelta oculata delle colture, gli interventi ecologici dovrebbero rappresentare la strada maestra per iniziare ad affrontare il tema importantissimo dell’interazione tra la fauna selvatica e le attività umane produttive” dicono. Giova ricordare che a livello nazionale alcune delle associazioni di cui sopra hanno fatto e fanno parte di importanti tavoli in cui la gestione venatoria è considerata di fatto l'unico mezzo praticabile ed efficace. Legambiente pochissimo tempo fa ha anche firmato un protocollo d'intesa con le associazioni venatorie, basato proprio su questi principi. Schizofrenia? Chi volesse leggere il testo integrale della lettera lo trova qui © RIPRODUZIONE RISERVATA |