Una corposa inchiesta de La Repubblica mette all'angolo le associazioni animaliste che fanno affari con i randagi, mettendo in evidenza anche le colpe dei Comuni e delle Asl. Questi ultimi, stando alla legge quadro sul tema, la 281 del 91, sono i responsabili dell'attuazione sul territorio delle politiche contro il randagismo. La legge infatti ha vietato la soppressione dei cani senza padrone, prevedendo l'attuazione di un capillare controllo delle nascite, oltre che un approccio educativo della popolazione sul tema.
Basta dare un'occhiata alla situazione canili in Italia per capire che la 281 è stata completamente disattesa. Le ragioni sono ben poco edificanti e comprendono gestioni interessate e corrotte, da parte di chi finora ha usato canili e trasferimenti per trarre profitti, attingendo alle risorse pubbliche. Secondo l'inchiesta di Repubblica, che al proposito cita uno studio americano (della Doris Day Animal League), per ogni cagna non sterilizzata, in sette anni nascono qualcosa come 67 mila esemplari (due parti l'anno per una media di otto cuccioli di cui almeno quattro femmine, e via moltiplicando). Il che fa capire la dimensione esponenziale del problema, soprattutto al sud Italia, dove le sterilizzazioni sono rare. Ogni randagio è un peso per le casse pubbliche. Mentre in molti paesi del mondo (America, Giappone e quasi tutta Europa) i randagi vengono soppressi dopo un periodo di tempo più o meno lungo, da noi per legge devono essere mantenuti a vita dai comuni. Questo vale anche se trasferiti in un'altra regione.
Il vero nodo sono le attribuzioni degli appalti. Da nord e sud si assiste a battaglie feroci per accaparrarsi le convenzioni per la gestione di canili e case rifugio. E' evidente quindi l'interesse di mantenere alto il numero dei randagi, che spesso finiscono stipati in strutture inadeguate, maltrattati o venduti all'estero chissà dove, dopo trasferimenti di massa che fanno perdere per sempre le loro tracce. Un giro d'affari (fonte Lav) che può arrivare a fruttare 500 milioni di euro l'anno e che, proprio per questo, attira la criminalità organizzata e la corruzione. “Non sono pochi – scrive Margherita D'Amico nella sua inchiesta – i comuni che, invece di premiare l'adottante con visite veterinarie gratuite o forniture di mangimi, stanziano una tantum (400 – 500 euro) devolute talvolta nemmeno al cittadino che accoglie l'animale, ma all'associazione mediatrice”.
La precaria situazione dei canili è fotografata da un dettagliato dossier, consegnato da Michele Visone, presidente di Assocanili alle autorità. Il fascicolo denuncia “rilevanti leggerezze – scrive D'Amico – nello scambio fra amministrazioni e assegnatari delle convenzioni pubbliche sia essi privati o stimate associazioni protezionistiche”. I casi sono parecchi, individuati fra le realtà locali. "In Toscana, per esempio, l'Enpa conta su numerosissime gestioni degli animali ben sovvenzionate dal pubblico", dice Visone. "L'Enpa di Pistoia, presieduta da un vigile sanitario della locale Asl3 e componente della Commissione regionale, ha con dodici comuni un appalto da centinaia di migliaia di euro, elargiti previo affidamento diretto". Ovvero 600 mila euro per 3 anni. Ma l'affidamento diretto, per legge - ed è questo che contesta Visone, prevede un massimo di 40 mila euro.
L'inchiesta, tra gli altri, cita il caso del canile di Marigliano (Napoli), sequestrato nel 2010 ma tornato in attività perché l'Asl ha evitato di revocare l'autorizzazione, cosa che ha consentito a quei gestori, incriminati per 300 cani maltrattati, di vincere l'appalto per i randagi del Comune di Pompei, affidatagli per il considerevole ribasso. Lo gestisce l'associazione Cani Felici Onlus, il cui presidente è la moglie del veterinario dell'Asl di Magliano, competente per il canile in questione.
C'è poi la questione dei trasferimenti. “Sedicenti volontari si contendono gli animali, li arraffano contro la legge e il buon senso”. Dove vanno a finire? Nessuno lo sa. Tutto può essere: mercato di carni e pelli, lotte clandestine, vivisezione occulta, zooerastia (abusi sessuali sulle altre specie), trasporto della droga, sadismi e rituali di vario genere.
“D'altro canto – scrive D'Amico - è sempre più difficile operare distinzioni di merito fra le associazioni, legate talvolta da intrecci inaspettati. Come per esempio suggerisce la lettera di credenziali (di cui esistono due copie diversamente datate, forse un uso disinvolto da parte del beneficiario) con cui Carla Rocchi, presidente nazionale dell'Enpa, garantisce l'affidabilità di un'associazione locale, già contestata dal commissario prefettizio Aldo Lombardo, per la gestione del canile di Manduria (Taranto) che è oggi in via di smantellamento.
Prendiamo atto della seria indagine di Repubblica e speriamo che serva a far emergere situazioni di illegalità diffusa. D'Amico, che fa parte della schiera dei protezionisti, questa volta ci ha sorpreso, aprendo la strada ad una critica serrata all'interno del mondo animalista. Avanti così.
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