Buonissima, sana, perfetta per i piatti più raffinati ma trovarla nei ristoranti da qualche tempo a questa parte (dopo l'approvazione del decreto 91) è impossibile. Ad analizzare il difficile rapporto tra ristorazione e cacciagione è un corposo articolo di questi giorni de Il Gambero Rosso, che da anni promuove il rilancio della carne di selvaggina, punta di diamante dell'alta cucina. Purtroppo, viene spiegato nell'articolo, la selvaggina da piuma non si può commercializzare e non si può servire nei ristoranti nemmeno in seguito ad un acquisto regolare all'estero, dove invece è legale e regolamentata. L'articolo di Stefano Polacchi parte dall'esperienza vissuta “da un importante chef della capitale”, di cui non si fa il nome per la sua tutela, il quale si è visto sequestrare sette alzavole, quattro beccacce e un beccaccino.
Presentare certificazioni sanitarie e fatture regolari d'acquisto non è bastato per lo chef, che è stato denunciato alle autorità. Da qui è partito l'allarme dei ristoratori. E della rivista più rinomata in Italia in fatto di altissima cucina. “Noi per un pelo – scrive Polacchi - non abbiamo pubblicato sul numero di marzo del Gambero Rosso, che esce a giorni, un articolo del suddetto chef dal titolo: Beccaccia & Montepulciano. Se fosse uscito, ci sarebbe stata l’aggravante? La premeditazione? Ma abbiamo approfondito la notizia. Memori di una copertina del mensile di ottobre del 2012 che titolava: Caccia, la carne del futuro (vedi notizia su BigHunter). Oggi rischieremmo l’ergastolo o quanto meno il rogo sulla pubblica piazza (delle copie del mensile!)”.
Gambero Rosso ha intervistato “il re dell’alzavola, il romagnolo Igles Corelli, che della cacciagione ha fatto uno dei suoi caratteri distintivi. “Certo – dice lo chef - , per la ristorazione italiana è uno smacco grande, viene a mancare un grande ingrediente in cucina! E poi, anche se non ho avuto il tempo di rifletterci a fondo, credo pure che quando si toglie valore commerciale a un animale, il rischio che si estingua diventa maggiore”. Ancora più critico lo chef Lucio Pompili, patron del Symposium di Cartoceto, tempio della cacciagione: “occorre sapere cosa si fa, quanto si prende e quanto si lascia… Basta ricordare quando sullo Stelvio vietarono la caccia totalmente, anche per gli abbattimenti selettivi: serviva a isolare e scoprire i bracconieri. La caccia di frodo venne azzerata. Ma il divieto rimase: in poco tempo ci furono così tanti stambecchi che un’epidemia di congiuntivite li sterminò tutti. Ecco dove porta la cecità di chi vieta senza analizzare le situazioni e comprenderne i diversi ambiti. L’etica è importante, così come è importante il versante antropologico e ambientalistico di un tema come quello della caccia".
L'articolo ricorda ciò che dichiarò Mauro Uliassi di Senigallia – chef sulla sabbia dell’Adriatico – in quel famoso gambero Rosso di ottobre del 2012, dedicato appunto alla cacciagione: “Con la caccia ho un rapporto viscerale, erano le uscite con papà e zio, erano le chiacchiere al bar. Certo, proporre un menu di caccia qui sul mare può sembrare stravagante. E invece no. Caccia e pesca sono entrambe attività ancestrali. La carne per me è la caccia. E poi selvaggina e pesce sono simili anche in altro: hanno poco grasso, non oltre il 5%, e prediligono cotture veloci”. Dunque, anche sane. E chiude con Corelli: “La selvaggina è sempre stata la carne per eccellenza, fino a non molti anni fa era il mangiare dei signori, i pochi che potevano cibarsi di carne. Era per i ricchi, ma era anche indubbiamente una pietanza sana, ricca di nutrienti, senza colesterolo… Ed è sicuramente la carne del futuro! L’unico problema è renderla controllata e sostenibile”. Purtroppo da allora si sono fatti altri passi indietro, almeno per quanto riguarda la selvaggina nobile da penna.
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