Sull'argomento, molto sentito da tantissimi cacciatori, abbiamo chiesto e ricevuto una nota di Alessandro Cipriani, alla quale Mario Biagioni ha aggiunto un suo commento. Leggiamoli.
Caccia con i segugi: quale futuro all’orizzonte?
Segugisti svegliamoci! La caccia con i cani da seguita ha nel nostro Paese tradizioni secolari. Appassionati allevatori hanno, nel corso dei secoli, selezionato diverse razze che, con mio grande rammarico, non godono tutte di buona salute.
Certo, il segugio italiano è sempre in auge (ricordiamo la bella vittoria di una muta di questi cani al Campionato Italiano e Campionato Sociale su cinghiale della Sips di quest’anno); il Maremmano, sia pur in attesa di un riconoscimento definitivo, sta vivendo un momento di grande successo, ma altre razze, non riconosciute dall’Enci, stanno lentamente scomparendo.
Parliamo in particolare del “piccolo lepraiolo dell’Appenino” e del “cravin”, che ormai vengono allevati da uno sparuto gruppetto di appassionati che stanno combattendo una battaglia di retroguardia contro un processo che ormai, almeno al sottoscritto, appare scontato: questi due bei cani da seguita tutti italiani sono destinati, prima o poi, ad una inevitabile estinzione.
Contro questa sconfitta occorrerebbe un’azione decisa da parte delle organizzazioni deputate alla tutela ed allo sviluppo delle razze canine, ma chi come il sottoscritto è addentro alle faccende della cinofilia ben sa come il nostro mondo sia lacerato da lotte intestine che stanno indebolendo la forza delle nostre idee e dei nostri propositi.
Fino a pochi anni fa la Società Italiana Pro Segugio era l’unica organizzazione riconosciuta dall’Enci.
Incomprensioni e mancanza di comunicazione tra le sue componenti (non vogliamo entrare nel merito della polemica, semplicemente registriamo quanto accaduto nel recente passato) hanno portato alla secessione degli allevatori dei segugi di razza francese.
Da un paio di anni questi appassionati, usciti dalla Sips, hanno il loro Club riconsciuto dall’Enci: parliamo del “Club Italiano del Bleu de Gascogne”, che tutela, oltre a questa razza, anche altri segugi di provenienza transalpina.
Appassionati del segugio Maremmano e dei segugi slavi stanno cercando anche loro di ottenere il riconoscimento dall’Enci: non sappiamo come andrà a finire, ma, lasciatemelo dire, a me sembra che questa ricerca di indipendenza, al di là delle motivazioni personalistiche, sia il sintomo di una debolezza globale del segugismo italiano.
Nuove forme di caccia si stanno affacciando nella realtà nazionale e la caccia con i cani da seguita, specie quella sul cinghiale, si trova a far fronte ad una offensiva portata avanti dai sostenitori di nuove forme di caccia, a mio avviso estranee alla nostra cultura venatoria.
Io personalmente caccio il cinghiale in tutti i modi: partecipo alle braccate, ma non disdegno affatto sia la caccia alla cerca senza cane che quella da appostamento fisso. Una cosa però mi sta a cuore: se dovessi scegliere una di queste forme di caccia opterei senza ombra di dubbio per la braccata per una serie di validi motivi.
Anzitutto perché la braccata ha alle spalle un mondo che non possiamo buttarci dietro alle spalle: parlo dell’allevamento, dell’addestramento e della selezione delle razze da seguita, che sono un vero e proprio patrimonio del mondo venatorio e cinofilo nazionale.
Secondo, perché la braccata è il metodo migliore per far si che tutti i cacciatori appassionati di cinghiale continuino a rinnovare, anno dopo anno, la licenza di caccia. Penso a quelle migliaia e migliaia di cacciatori anziani che continuano, a dispetto dell’età, ad esercitare con dedizione e sacrificio il loro ruolo di postaioli. Crediamo forse che questi amici si possano riciclare in selecontrollori o cacciatori a singolo? Sappiamo bene che è un’utopia e dobbiamo farci carico del fatto che un loro allontanamento dal mondo della caccia sarebbe una vera tragedia per la realtà venatoria italiana.
Infine perché la caccia alla cerca e quella da appostamento non appartengono al nostro retaggio culturale: sono forme mutuate dalla scuola mitteleuropea che nulla hanno a che vedere con il modo di caccia esercitato dai nostri padri e dai nostri nonni.
Che fare, dunque?
Non spetta certo a me dare una risposta, poiché non ho alcun titolo per farlo.
A me resta solo il diritto ed il dovere di esortare gli appassionati di segugi a sedersi intorno ad un tavolo per discutere, lasciando alle spalle le polemiche che hanno lacerato in anni recenti il nostro mondo, il modo migliore per rilanciare la nostra passione, il nostro patrimonio ed i nostri desideri.
Segugisti, svegliamoci!
Alessandro Cipriani
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Biagioni. Cerchiamo di essere prudenti
Tutti noi sappiamo che le razze oggi ritenute e riconosciute come pure, derivano o da ceppi non omogenei (quelle più antiche) o da lunghi e difficili incroci di selezione.
Da qui il concetto di razza pura che il tentativo di trasmettere determinate caratteristiche fisiche, psichiche e venatorie del cane. E a proposito dei segugi, è importante ricordare che nel nostro Paese non sono state selezionate diverse razze, ma una sola, che è quella del segugio italiano, divisa in due varietà (pelo raso e pelo corto) ma con identiche caratteristiche.
La Francia invece, con la tradizione della chasse à courre, ha dato origine a diverse razze da grande e piccola Venaria. Poi i segugi svizzeri, di chiara derivazione francese, ma selezionati in situazioni diverse, e quelli inglesi, specializzati in forme di caccia tradizionali e particolari.
Necessariamente da considerare, sono anche i segugi nordici, quelli slavi, austriaci, polacchi, tedeschi e così via. È chiaro che le razze selezionate e riconosciute sono molte, forse anche troppe, e in grado di soddisfare qualsiasi esigenza. Non vedo quindi cosa ci sia di strano se viene creato un Club specializzato fuori dalla Pro Segugio. Senza voler indagare su organizzazione e operato di questa benemerita associazione, viene da pensare a cosa sarebbe una Società Specializzata del Cane da Ferma, senza, per esempio il Kurzhaar Club, o quello dello spinone o l’SiS. Ci sono compiti e scopi precisi per ogni società specializzata. Argomento dibattuto e di certo non affrontabile in breve.
Riguardo alle richieste di riconoscimento di nuove razze, pensiamo che L’ENCI, con le sue Commissioni, sarà sicuramente in grado di poter valutare e decidere al meglio. La cosa è delicata e difficile. Auguriamoci che non si faccia confusione. A questo proposito sono stato in contatto per molti anni con don Nando Armani, il sacerdote a pelo forte, allevatore di segugi e cacciatore, che proponeva di riunire in una razza unica il Lepraiolo dell’Appennino, il Cravin, e il montagnino delle Alpi. Si sarebbe dovuta chiamare Lepraiolo Italiano, ma per Lui è rimasta un sogno. Tieni presente – mi disse al telefono pochi giorni prima di morire – che in certe zone, ogni paesino ha la sua razza di segugi. Metterli d’accordo sarà proprio difficile. –
Caro don Nando, me ne rendo conto. E non soltanto a proposito di cani. Così qualcuno scrive, allarmatissimo, denunciando nuove forme di caccia al cinghiale “del tutto estranee alla nostra cultura venatoria” e subito dopo confessa di praticarle tutte: in braccata, alla cerca senza cani, o da appostamento fisso.
Personalmente sono preoccupato.
Mario Biagioni