Sulla questione cinghiale, a seguito del tragico incidente di Cefalù (ma lì è opinione comune che si trattasse più di maiali che di cinghiali), si sono lette e ascoltate infinite castronerie. Sia sulla stampa nazionale sia sui principali canali TV, non ultimo l'infinito sproloquio della WWeffina Isabella Pratesi, figlia di tanto padre, sul TG5, noto canale a cui si affianca la famigerata "Striscia la notizia", palesemente filoanimalista, con servizi a volte disgustosi.
Per fornire un ulteriore contributo alla conoscenza, riportiamo uno stralcio di un recente intervento sull'argomento (fonte Federparchi),del Presidente di Federparchi, Giampiero Sammuri, anche se le sue indicazioni peccano di un difetto di fondo, riconducibile alla poco apprezzata legge 394 sui parchi e le aree protette. In ogni caso, la ragione di questi esuberi, in diversi casi giustamente condannati dagli agricoltori, dipende essenzialmente dalla inadeguata gestione faunistica delle aree protette (o interdette alla caccia: sicuramente più del 20% della superficie agroforestale nazionale; in molte province si supera anche il 70%). Il più accreditato riscontro tecnico scientifico risale almeno al 2010 quando il Cirsemaf certificò senza ombra di dubbio che l'eccesso di popolazioni di ungulati era sicuramente da attribuire ai serbatoi costituiti dai parchi e dalle aree protette, come oggettivamente riconosce anche Sammuri.
Cosa aspetta il ministro Galletti - come fa di solito nei confronti della caccia - a imporre con un decreto una drastica modifica della 394, per interrompere questa esecrabile situazione? Altrimenti, per equanimità, nella bacheca del suo ufficio, dove dicono abbia fatto apporre le 50mila firme raccolte dagli animalisti contro la caccia, sarà bene che cominci a pensare di riservare uno spazio per le fotografie dei morti e dei feriti che per merito della sua fede animalista andranno ad allungare la fila delle vittime della parcomania.
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“Motivazioni specifiche nelle aree protette. Nelle aree protette alcune le motivazioni per il controllo numerico che sono valide su tutto il territorio sono ulteriormente accentuate per una serie di motivazioni.
1) Nelle aree protette la caccia è vietata - Questo non solo determina che in quell’area non venga ridotto il numero dei cinghiali, ma crea un effetto “spugna” per cui nel periodo di caccia i cinghiali si rifugiano all’interno delle aree protette. Ovviamente questo fenomeno è tanto più accentuato quanto l’area protetta è piccola. Dato che l’attività venatoria si svolge nel periodo novembre-gennaio, immediatamente prima del principale periodo riproduttivo del cinghiale, vengono favorite le nascite all’interno dell’area protetta il che determina un incremento immediato e deciso della consistenza primaverile che coincide con la riproduzione di tutte le altre specie e con la fase vegetativa più importante di molte piante, incrementando quindi l’impatto sulla biodiversità.
2) nelle aree protette sono presenti specie animali e vegetali rare o di particolare interesse in numero maggiore rispetto al resto del territorio - E’ chiaro che se, ad esempio, un'area protetta è stata istituita anche per la tutela di una stazione di orchidee rare e per la presenza di una specie di uccello di interesse comunitario che nidifica a terra, il potenziale danno del cinghiale è molto maggiore. Questo aspetto è ancora più evidente e critico in presenza di siti Natura 2000 che sono stati istituiti in funzione della presenza di specie di interesse comunitario”.
“Metodologie per la gestione del cinghiale nelle aree protette. Per la gestione del cinghiale ai fini del contenimento dei danni alla biodiversità e all’agricoltura si possono intraprendere due tipi di azioni: la prevenzione per la riduzione del danno e la gestione della specie attraverso il controllo numerico. La prevenzione si basa sull’impiego di strutture protettive (recinzioni) o su elementi dissuasivi (sostanze maleodoranti). Le prime sono molto più efficaci delle seconde, ma entrambe hanno maggiore efficacia quanto più l’area da tutelare è piccola. È chiaro che per superfici piccole in presenza di colture molto pregiate o elementi di elevata biodiversità puntuale può avere un senso una recinzione. Per grandi estensioni, e, nel caso della biodiversità, per specie con areale diffuso a scala locale, le recinzioni oltre ad essere antieconomiche nel rapporto costi-benefici presentano anche altre evidenti controindicazioni, come ad esempio quelle di carattere paesaggistico e, in taluni casi costituiscono delle barriere indesiderate per altre specie. Inoltre le recinzioni favoriscono l’incidenza del danno sulle aree più facilmente frequentabili con evidenti incrementi dell’impatto. In definitiva in un piano di gestione corretto vanno valutate anche le forme di prevenzione più efficaci e che variano a seconda del territorio interessato. I programmi di gestione della specie finalizzati al controllo numerico delle popolazioni presenti, se condotti ad una scala adeguata rappresentano di certo la tecnica più efficace di riduzione dell’impatto. È infatti palese che il controllo numerico è la misura di riduzione del danno più incisiva perché, una recinzione protegge un’area ben precisa, ma il cinghiale che trova quell’area interdetta rivolgerà la sua attenzione e si alimenterà a danno di altre superfici, mentre ogni cinghiale rimosso dal territorio corrisponde ad una riduzione netta del danno a scala locale.
Molte delle tecniche per il controllo del Cinghiale possono essere applicate allo stesso modo sia all’interno sia all’esterno delle aree protette. In queste ultime però una regola che è fondamentale per tutte le operazioni di controllo faunistico assume un’importanza ancora maggiore: intervenire solo sulla specie target arrecando il disturbo minimo possibile a tutte le altre specie presenti. Inoltre nelle aree protette c’è spesso presenza di visitatori e le operazioni vanno condotte in modo che la normale fruizione non ne venga in qualche modo danneggiata. Per ottenere riduzioni consistenti delle popolazioni di Cinghiale, lo strumento più efficace è sicuramente quello delle catture. Oltretutto, se ben gestita l’attività di cattura è anche poco invasiva e non crea particolari problemi alle altre specie.
L’abbattimento in natura, se condotto da personale specializzato ed appositamente addestrato, può essere una valida attività di supporto alle catture, perché, anche se non garantisce grandi numeri, consente di intervenire in modo più mirato, immediato e libero rispetto alle catture che comunque richiedono la predisposizione di infrastrutture e la loro gestione. In estrema sintesi: con le catture si fanno i prelievi consistenti e con gli abbattimenti si fa il lavoro di “rifinitura” finale. Chiaramente è buona regola, anche nel caso degli abbattimenti selettivi l’utilizzo, nelle aree protette, di quelle tecniche che riducano al minimo il disturbo alle altre specie. In questo senso va prevalentemente utilizzata la tecnica di abbattimento da appostamento fisso, mentre va sempre esclusa quella della braccata o girata con cani. In definitiva le tecniche di controllo sono ampiamente sperimentate, efficaci e di facile utilizzo”.
“Gestione sociale e rapporti con gli stakeholders. La gestione sociale e degli aspetti di comunicazione nonché i rapporti con gli stakeholders sono la vera criticità nella gestione del cinghiale: interessi vari, approcci emotivi, scarse conoscenze scientifiche e disinformazione rendono la gestione sociale e politica molto problematica. I vari soggetti interessati rappresentano tutti minoranze all’interno della società italiana, ma spesso sono fortemente motivati e capaci di azioni eclatanti e di una buona capacità comunicativa”.
“Cacciatori. Il pensiero più ricorrente tra non addetti ai lavori ed anche tra molti agricoltori è che i cacciatori siano alleati per la riduzione della densità dei cinghiali. Questa convinzione deriva dal fatto che si pensa che uccidendo cinghiali se ne riduca conseguente il numero. Questo in parte è vero, ma viene trascurato un elemento fondamentale e cioè che i cacciatori, sotto certi aspetti anche legittimamente, hanno sì interesse ad abbattere un gran numero di cinghiali, ma non hanno nessun interesse che nel tempo diminuiscano. Ad esempio: se una squadra di caccia al Cinghiale in una stagione venatoria abbatte 100 cinghiali, la sua aspettativa per l’anno successivo sarà di abbatterne almeno altrettanti e questo è possibile solo se la densità non scende. Ci sono numerose tecniche di gestione venatoria per favorire l’incremento di cinghiali, sulle quali per brevità non ci si dilunga. Per questo, molti cacciatori contrastano in modo più o meno evidente interventi che producano una effettiva riduzione dei cinghiali, anche all’interno delle aree protette perché grazie all’effetto “spugna” queste di fatto rappresentano dei serbatoi per le zone circostanti dove si svolge l’attività venatoria. Tutto questo non esclude che cacciatori possano essere coinvolti in attività di controllo all’interno delle aree protette, rappresentano una mano d’opera a basso costo (anzi gratis). Adeguatamente formati, coordinati e controllati i cacciatori possono essere un valido ausilio nelle operazioni di abbattimento”.
“Ambientalisti. Le associazioni ambientaliste più strutturate nei loro vertici nazionali sono consapevoli dei danni che il cinghiale in numero eccessivo può fare alla biodiversità, per cui in misura maggiore o minore condividono l’esigenza che si facciano interventi di controllo. Queste stesse associazioni devono spesso fare i conti con le loro strutture periferiche locali e di base che, spesso molto meno informate, hanno un atteggiamento che si sovrappone un po’ a quello animalista e quindi possono esprimere delle contrarietà a riguardo. In più, talvolta prevale un atteggiamento ideologico per cui gli abbattimenti possono andare bene purché non li facciano i cacciatori, ma soggetti pubblici come guardaparco, corpo forestale, polizia provinciale etc”.
“Animalisti. Gli animalisti per loro impostazione ideologica rifiutano sia catture che abbattimenti. Consapevoli (almeno alcuni) del problema che può essere creato dall’eccessiva presenza di cinghiali propongono spesso come soluzione la sterilizzazione. Questa pratica, largamente diffusa per gli animali d’affezione (cani e gatti in particolare), è poco sostenibile da un punto di vista economico. Con le tecniche oggi a disposizione per attuare questa soluzione si dovrebbe prevedere, successivamente alla cattura, la sterilizzazione dei vari soggetti con interventi veterinari di varia natura ed il rilascio successivo in natura. Un animale sterilizzato ovviamente non si riproduce, ma continua a danneggiare, cosa non trascurabile per una specie relativamente longeva, invece se viene rimosso del tutto il suo impatto si riduce a zero. Cosa diversa sarebbe se in futuro venisse messa a punto una tecnica di sterilizzazione per via orale, sufficientemente selettiva da non far correre il rischio di agire negativamente su specie di interesse conservazionistico. In tal caso la cosa sarebbe poco dispendiosa e molto efficace, basterebbe, in questo caso, foraggiare la specie con alimenti specifici per ottenere un sicuro risultato a medio termine. Ci sono sperimentazioni in tal senso in varie parti del mondo, particolarmente in Gran Bretagna, ma allo stato attuale, non è prevedibile un impiego di questa tecnica in tempi brevi”.
“Agricoltori. Sono la categoria che più direttamente subisce danno dalla presenza eccessiva di cinghiali. È ovvio che, dal loro punto di vista, più è ridotta la presenza di Cinghiale e meglio è. Talvolta l’agricoltore rappresenta anche altre categorie (ambientalista, animalista, cacciatore) e quindi le posizioni possono essere anche varie e discordanti, ma in linea di massima prevale, per lo meno per ragioni di tipo economico la posizione di agricoltore. Fino a qualche anno fa era molto diffusa negli agricoltori la convinzione che i cacciatori potessero essere grandi alleati per la riduzione del cinghiali. Spesso veniva data responsabilità al divieto di caccia nelle aree protette per l’eccessiva presenza di cinghiali. Più di recente le cose sono cambiate e molti agricoltori hanno capito che gli interessi sulle densità dei cinghiali tra loro e i cacciatori sono contrastanti”.