I
Cuochi italiani a congresso alla
Leopolda di Firenze (8-10 novembre), hanno inserito nel loro "
Manifesto etico" una sezione dedicata alla
selvaggina a tavola, elaborato in collaborazione con la
Confederazione Toscana dei Cacciatori.
Da sempre i cacciatori, singoli e associati - ha detto Marco Romagnoli nella sua presentazione al pubblico di esperti - s'impegnano per far conoscere la bontà delle carni di selvaggina. In anni recenti, ad esempio, a Firenze, città dove visse a lungo Pellegrino Artusi, sotto il titolo “I sapori della caccia”, con la partecipazione entusiasta di ben cinquanta ristoratori, fu organizzata una settimana della gastronomia venatoria, che che fu poi riproposta in Lombardia, dove tuttora si celebra.
Nel frattempo le principali associazioni venatorie nazionali hanno dato il via a un progetto per la valorizzazione della cacciagione, guidato dall'Università delle Scienze Gastronomiche di Pollenzo, che mira a strutturare una filiera che coinvolga cacciatori, agricoltori, operatori del trattamento delle carni, ristoratori. La stessa Regione Toscana si sta occupando dell'argomento, per dare appropriate risposte all'abbondanza di selvaggina ungulata che popola boschi e campagne del nostro territorio.
E' quindi con piacere - ha concluso Romagnoli - che abbiamo aderito alla richiesta della Federazione Italiana Cuochi per la stesura di questo importante documento.
Questo il documento che da adesso fa parte del Manifesto Etico della Federazione Italiana Cuochi, che rappresenta ben diciottomila associati.
La carne di selvaggina è da sempre parte integrante della dieta dell'uomo fino da tempi primordiali. È cosa nota a tutti che racchiude in sè caratteristiche di pregio non certamente inferiori a quelle di qualsiasi altra carne che arricchisce le nostre tavole.
I diversi progetti in corso promossi dalle categorie interessate – il più recente: "selvatici e buoni”, intrapreso dall'Università di scienze gastronomiche di Pollenzo, che interessa la selvaggina ungulata (cinghiale, capriolo, daino, cervo) – mirano tutti a consolidare una filiera che, partendo dal territorio, porti valore alla selvaggina anche in ambito alimentare, attraverso un percorso di tracciabilità garantito per il controllo sanitario dei capi di cacciagione abbattuti nell'esercizio venatorio e nelle attività di controllo delle popolazioni, fino all'immissione in commercio delle loro carni. Con un disciplinare e un marchio di produzione locale, per procedere alla valorizzazione del prodotto cacciagione. Fornendo utili strumenti che permettano al cacciatore stesso di procedere in maniera più completa al trattamento del soggetto cacciato. Col coinvolgimento di tutti gli operatori della filiera della cacciagione, principalmente in un'ottica di scambio dove si confronteranno le esperienze del cacciatore, del macellatore, del norcino, con le esigenze del ristoratore. Fornendo anche un'adeguata formazione, nuovi sbocchi economici e imprenditoriali oltre che ludici. Promuovendo una caccia sostenibile, con procedure e percorsi di sicurezza alimentare, un lavoro complesso, che passa attraverso un'indagine accurata sul territorio, interpellando e codificando le testimonianze e le esperienze di cacciatori, macellatori, norcini, ristoratori, per procedere a una mappatura di natura storico antropologica di quelle che sono le tradizioni legate alle produzioni artigianali, le tecniche di caccia, la preparazione e la diversa e variegata composizione dei piatti in relazione ai tagli di carne, al sezionamento, agli accorgimenti per la conservazione.
Tutto questo accompagnato passo dopo passo da una adeguata sensibilizzazione degli operatori, dell'opinione pubblica e degli utenti, attraverso specifiche campagne di informazione.