I cacciatori della
Val Chisone come avevano annunciato la settimana scorsa, si sono dichiarati
contrari alla riapertura della caccia al cinghiale rifiutandosi di sparare contro i responsabili dei danni all'agricoltura della valle. “Sarebbe una strage di scrofe gravide e di piccoli – hanno detto - “E disturberebbe le altre specie non oggetto di prelievo”. La caccia selettiva al cinghiale, con
aperture dal 17 gennaio fino al 14 marzo, è stata disposta dalla provincia di Torino in accordo con i Comprensori alpini in seguito alla volontà espressa dalla Regione, di
limitare il più possibile i danni all'agricoltura.
La posizione dei cacciatori è stata rimarcata da una
lettera inviata alla Provincia di Torino, in particolare al presidente provinciale Saitta, al Servizio tutela fauna e al presidente del Comprensorio alpino Torino 1 Enzo Armand Pilon, da una
rappresentanza di cacciatori appartenenti a diverse associazioni venatorie. “Non è falcidiando i cinghiali – hanno scritto - che si possono risolvere i problemi di un'agricoltura marginale come quella delle vallate alpine”.
I cacciatori contestano anche la necessità dell'intervento “Nel Cato 1 la popolazione di cinghiali risulta sostanzialmente stabile - affermano - i danni sono concentrati soprattutto nell'oasi del Barant, in alta Val Pellice, già oggetto di interventi di contenimento”, ma anche l'approccio selettivo proposto dalla Provincia “non è caccia, ma solo abbattimento di animali”. Meglio “Rispettare il legame cacciatore-territorio e
anticipare la riapertura della caccia al cinghiale a inizio settembre, quando i piccoli sarebbero svezzati” , hanno rilanciato i firmatari.