A proposito dell'emergenza cinghiali, pubblichiamo l'intervista rilasciata dal Ministro dell'Agricoltura Maurizio Martina a Gianfranco Fulgenzi per conto di "Caccia e Natura" organo ufficiale di Enalcaccia Nazionale.
Signor Ministro, tra i problemi che sono emersi con sempre maggiore insistenza in questi anni c’è quello della proliferazione incontrollata di alcune specie selvatiche che danneggiano ambiente, agricoltura, fauna. Fenomeno culminato questa estate con il drammatico episodio di Cefalù, che ha visto purtroppo la morte di una persona assalita da un cinghiale: come pensa che si debba affrontare questa situazione che preoccupa molto anche gli agricoltori?
È una situazione della quale ci stiamo occupando con uno stretto coordinamento con il Ministero dell’Ambiente. Vogliamo uscire da un’ottica di emergenza e mettere in campo una strategia di gestione, che punti innanzitutto alla sicurezza delle persone e alla tutela dell’attività agricola. Proprio per questo stiamo coinvolgendo nelle decisioni i portatori d’interesse e le organizzazioni agricole per soluzioni che siano condivise e attuabili. I dati ci dicono che negli ultimi 10 anni c’è stato un aumento importante delle popolazioni di cinghiale e in parallelo dei danni provocati alle coltivazioni. I risarcimenti non possono rappresentare l’unica soluzione possibile, per questo diventa sempre più importante un attento lavoro di prevenzione.
Non sarebbe il caso di cominciare a definire un piano di abbattimenti controllati, come si fa anche in altri paesi? Secondo alcuni bisognerebbe intervenire anche nei parchi e nelle zone limitrofe divenute in molti casi quasi dei territori di “allevamento” per alcune specie.
Servono equilibrio e scelte operative efficaci e realizzabili. Quando dico gestione parlo proprio di questo. Si devono rafforzare i monitoraggi, lavorare sulla base di dati scientifici certi per poi mettere in campo un modello di controllo da condividere con tutti i soggetti che operano sul territorio, in particolare con le Regioni, per avere maggior successo rispetto al passato.
Nel mondo venatorio, ma non solo, anche in quello agricolo, sono in molti a pensare che l’attuale normativa, la legge 157 del 1992, sia ormai obsoleta e che sia tempo di sedersi tutti attorno a un tavolo per adeguarla, insieme, alla realtà attuale. Magari per renderla più europea. È d’accordo?
Dopo vent’anni credo sia opportuno fare il punto della situazione e migliorare gli interventi e gli strumenti legislativi a disposizione. Penso in particolare alla necessità di adeguamento rispetto alle direttive comunitarie sulla tutela della fauna selvatica, tenuto conto delle difficoltà di molte regioni nell’approvare i loro calendari venatori annuali. La legge 157 si poneva obiettivi complessi, dobbiamo verificare dove si può fare meglio, in particolare sui comitati di gestione e sulla necessità di un coinvolgimento più attivo di tecnici faunistici adeguatamente formati.
C’è un paese in Europa che secondo lei potrebbe essere preso ad esempio per quanto riguarda la gestione della caccia e per le leggi che la regolano?
Dobbiamo guardare alle peculiarità della nostra realtà, abbiamo un patrimonio forestale, agricolo e anche faunistico unico e vogliamo proteggerlo al meglio. Credo sia importante concentrarsi per perfezionare il “modello Italiano”. Da noi ci sono esempi dove la legge è stata ben attuata con risultati importanti. Occorre prendere spunto dalle varie esperienze per individuare la migliore soluzione possibile, tenendo però sempre ben presente che le imprese agricole, in particolare quelle zootecniche, devono essere adeguatamente tutelate, perché fare agricoltura nelle aree marginali significa difendere il territorio, proteggere l’ambiente e tutelare la biodiversità, sia animale che vegetale.
Le associazioni venatorie stanno per imboccare una strada nuova: quelle più rappresentative si avviano a dare vita a una Federazione unitaria che raggrupperà quelle riconosciute, pur mantenendo le diverse identità di ciascuna. Come valuta questa decisione? Pensa che gioverà ad una migliore gestione dell’attività venatoria nel nostro paese?
Qui come in altri settori dare unitarietà alla rappresentanza è importante, soprattutto nell’ottica di una collaborazione rispetto ai temi di cui stiamo trattando e che vanno affrontati con un lavoro condiviso.
Ministro a 36 anni
Maurizio Martina è nato a Calcinate (Bergamo) il 9 settembre del 1978. Sposato e padre di due figli. Dopo essersi diplomato all’Istituto tecnico Agrario di Bergamo, consegue la laurea in Scienze Politiche. Nel 1999 è eletto Consigliere comunale, carica ricoperta fino al 2004. Sempre nel 2004 dopo una militanza nell’organizzazione giovanile dei Democratici di Sinistra, viene eletto Segretario della Provincia di Bergamo.
Nel 2006 assume la carica di Segretario regionale dei Democratici di Sinistra in Lombardia. Nel 2007 è tra i fondatori del Partito Democratico. Nello stesso anno, a seguito delle primarie, è eletto primo Segretario del Partito Democratico della Lombardia. Nel 2009, sempre attraverso le primarie, viene riconfermato alla guida del Partito Democratico regionale Lombardo.
Nel 2010 è eletto Consigliere della Regione Lombardia, incarico riconfermato nelle consultazioni popolari del febbraio 2013. Durante i mandati di Consigliere regionale Lombardo è stato componente della Commissione Affari Istituzionali e della Commissione Attività Produttive.
Il 3 maggio 2013 ha giurato come Sottosegretario di Stato del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali del Governo Letta.
Il 9 maggio 2013 ha rassegnato le dimissioni da Consigliere della Regione Lombardia.
Con il DPCM del 24 maggio 2013, gli è stata conferita la delega a presiedere la Commissione di coordinamento per le attività connesse all’EXPO Milano 2015.
Il 22 febbraio 2014 ha giurato da Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali nel Governo Renzi. |