Dalla relazione di Luigi Boitani – Unione Zoologica Italiana – sul previsto Piano di conservazione e gestione del lupo in Italia, redatto in collaborazione con il Ministero dell'Ambiente, ISPRA e i diversi portatori di interesse, e già contestato dalle associazioni animaliste, emerge una generale elevata disponibilità di prede selvatiche (cinghiali, cervi, caprioli, mufloni, camosci alpini).
Infatti, nel periodo di tempo compreso fra il 1980 e il 2010 il cervo ha incrementato la sua consistenza più del 700%, il capriolo del 350% circa e le altre specie per valori che vanno dal 120% (camoscio alpino) al 300% (muflone). Per quanto riguarda il cinghiale, per il quale non si hanno stime relative al 1980, sembra essere aumentato del 400% negli ultimi 15 anni.
Secondo gli ultimi dati ISPRA, riferiti al 2010, ad oggi si stima la presenza di circa 1,9 milioni di capi, in gran parte rappresentati dal cinghiale (almeno 1 milione di capi) e dal capriolo (almeno 456.000 capi).
Riferendoci ai dati disponibili su scala nazionale, secondo il rapporto qualora si ipotizzasse un prelievo venatorio annuale del 60% di cinghiali e del 20% delle altre specie (sarebbe in ogni caso un dato in difetto dal momento che non tutte le specie sono cacciate e non tutte le specie cacciate lo sono in tutte le regioni), resterebbero comunque accessibili alcune decine di migliaia di tonnellate di biomassa (20.000 tonnellate), utile per i predatori. A queste condizioni, il lupo, in Italia, non ha proprio di che lamentarsi. Ne stiano tranquille quelle anime belle degli animalisti-ambientalisti, che non sanno più a cosa attaccarsi per dimostrare che la loro presenza nel panorama politico e sociale italiano è ancora di una qualche utilità.