Roberto Barbani è responsabile dell'
Unità Operativa Semplice Igiene degli Alimenti di Origine Animale dell'Azienda USL di Bologna.
Dal 2006 si occupa della valorizzazione delle carni della selvaggina, ha fatto parte del gruppo di lavoro regionale che segue queste tematiche e attualmente fa parte del gruppo di lavoro dell'AUSL di Bologna. Ha partecipato in qualità di relatore a molte iniziative di formazione e di aggiornamento dedicate agli stakeholder di questo settore. Ha al suo attivo pubblicazioni relative agli aspetti nutrizionali delle carni di selvaggina cacciata nonché alla loro qualità microbiologica.
Sull'interessante argomento Bighunter l'ha recentemente interpellato.
“La
carne di selvaggina cacciata - ha dichiarato - rappresenta senza dubbio una risorsa importante sia dal punto di vista del gusto sia, soprattutto, per quanto riguarda gli aspetti nutrizionali: ciò è particolarmente vero se vengono rispettate le buone pratiche relative all'abbattimento ed in seguito tutte quelle operazioni che sono previste dalla cosiddetta filiera. Ovvero: l'
abbattimento deve essere effettuato colpendo l'animale nel torace o alla testa (evitando l'addome al fine di prevenire la contaminazione fecale delle carni); il colpo inferto deve essere efficacemente conclusivo, al fine di
evitare all'animale inutili sofferenze e stress (con conseguente rilascio di sostanze che possono andare a detrimento della qualità delle carni): in questa ottica è sicuramente preferibile il cosiddetto “
aspetto” (l'animale in questo caso non ha alcuna coscienza di ciò che sta per accadere) rispetto ad altre pratiche come ad esempio la cosiddetta “
braccata”, nel corso della quale l'animale viene sottoposto a severi stress con conseguenti danni alla qualità delle carni (per non parlare dell'inutile sofferenza arrecata).
Subito dopo l'abbattimento devono essere effettuate a) iugulazione; b) l'eviscerazione possibilmente utilizzando la pratica della legatura del retto e dell'esofago al fine di evitare la contaminazione fecale. Ritardare l'eviscerazione significa consentire ai microbi presenti all'interno dell'intestino (enterococchi, coliformi) di moltiplicarsi, per cui tale eventualità va evitata soprattutto nei mesi più caldi.
La
carcassa così ottenuta deve essere sottoposta al più presto a temperatura di refrigerazione (0-4°C) tramite la sosta in una cella frigorifera situata all'interno di strutture quali centri di rilevazione biometrica o meglio, nel caso che le carni che si otterranno siano destinate alla commercializzazione, centro di raccolta (registrato) dove potrà sostare in attesa di essere trasferita (sempre nel caso di destinazione alla commercializzazione) ad un centro di lavorazione della selvaggina nel quale dovrà sostare alcuni giorni (almeno 3 o 4) per completare il processo di “frollatura”, un processo biochimico-enzimatico naturale che si realizza all’interno delle fibre muscolari dopo la morte dell’animale che rende le carni tenere.
L'animale dovrà poi essere scuoiato (la
frollatura è sicuramente maggiormente efficace se attuata “sottopelo”) tenendo ben presente che il pelo dell'animale è molto sporco e che quindi bisogna evitare la contaminazione crociata delle carni (utilizzo di coltelli puliti che devono essere cambiati o sanificati quando si cambia il tipo di lavorazione).
La zona di entrata del
proiettile dovrà essere molto bene rifilata (asportando eventuali ematomi e pelo entrato all'interno della carcassa. Nel caso dei suidi (cinghiali) deve essere sempre prelevato un pezzetto di diaframma per la ricerca della trichina (parassita che può causare malattia nell'uomo).
La carcassa così ottenuta verrà poi sezionata ottenendo i tagli più vari, i quali, se ottenuti con tutte le suddette misure di
buona prassi igienico-sanitaria, sono senza dubbio adatti ad ogni tipo di preparazione culinaria: a questo proposito, alla luce di quanto detto, va precisato che la pratica tradizionale di sottoporre le carni di selvaggina a lunghissime marinature nonché lunghissime ed aggressive cotture non ha alcun motivo se non quello di “coprire” l'odore ed il sapore dato all'alimento dalla crescita microbica causata da una serie di errori che ormai sono radicati nella tradizione.
La
cottura di queste carni deve essere blanda e non aggressiva anche per non vanificare le preziose caratteristiche nutrizionali che sono state a più riprese evidenziate: scarsissima quantità di grassi, ottimo rapporto tra grassi saturi/monoinsaturi/polinsaturi ed ottimo rapporto tra acidi grassi polinsaturi omega 3/omega 6. Va poi ricordato che queste carni sono ovviamente esenti da residui farmacologici.
L'
aumento degli ungulati nell'ultimo ventennio ha assunto un andamento pressoché esponenziale: ciò ha causato molti danni economici soprattutto agli agricoltori: sarebbe importante utilizzare tutte le conoscenze e gli strumenti che abbiamo a disposizione per “cambiare orizzonte” rendendo questa maggiore disponibilità una risorsa in termini di recupero del territorio e di incremento occupazionale: è perciò necessario effettuare interventi mirati di formazione per i cacciatori che sono i principali “attori” della vicenda; inoltre bisogna divulgare i risultati di diverse ricerche attestanti la salubrità delle carni ottenute; importantissima sarebbe anche l'educazione alimentare tesa a fare sì che quando viene richiesta la carne di selvaggina, ciò sia fatto alla stessa stregua della carne bovina, privilegiando quella a km 0 invece di carni provenienti da paesi dell'Est, le quali hanno fatto percorsi molto poco conosciuti.
Ci sono altri aspetti da tenere in considerazione?
Purtroppo - è l'opinione di Barbani - l'età media dei cacciatori è sempre più elevata e la loro costante diminuzione dovrà essere presa in seria considerazione al fine di cominciare a creare i presupposti utili per la creazione di una figura professionale che diventerà indispensabile, ammesso non lo sia già, ovvero il “professional hunter”, il
Cacciatore professionista. In più, l'implementazione di una filiera efficace di commercializzazione delle carni di selvaggina cacciata passa giocoforza attraverso una “
riantropizzazione” del territorio con la creazione di centri di lavorazione della selvaggina e di centri di sosta/raccolta, nonché attraverso una maggiore gestione più razionale ed efficiente del “turismo venatorio” che potrà creare numerosi indotti virtuosi attraverso una maggiore pubblicizzazione delle zone dove tale attività si esplica. Per non parlare poi delle carni che si otterranno, portatrici di valori nutrizionali molto importanti nonché di sapori ed odori caratteristici dei territori sui quali gli animali hanno vissuto per anni alimentandosi di bacche, castagne, ghiande, piccoli artropodi, etc, peculiari di quella specifica zona”.