Il Consiglio internazionale della Caccia e Conservazione della fauna selvatica (CIC) e la Federazione delle associazioni di caccia e conservazione dell'UE (FACE) sostengono la posizione del Principe William, che riconosce l'importante ruolo di conservazione della caccia a livello commerciale (a volte indicata come “caccia ai trofei”) opportunamente regolamentata. L'evidenza scientifica indica che:
1. la caccia ben gestita e sostenibile crea benefici tangibili per le persone e per la fauna selvatica;
2. la caccia sostenibile promuove gli sforzi di conservazione per le specie e gli habitat sia all'interno che all'esterno delle aree protette;
3. la caccia commerciale prevede incentivi socio-economici per le comunità che coesistono con la fauna selvatica
In termini di conservazione delle specie, la caccia ai selvatici cosiddetti “da trofeo” ha portato al recupero dell'antilope in Sud Africa (con minimi di popolazione inferiore a 2.000 capi nei primi anni del 1900 a più di 250.000 esemplari oggi). Allo stesso modo, la caccia sostenibile ai rinoceronti bianchi ha consentito il loro recupero portando la popolazione da pochi esemplari nel 1900 ai più di 20.000 capi attuali.
Le iniziative per vietare la caccia commerciale non solo rappresentano una moderna forma inaccettabile di colonialismo morale, ma possono avere effetti negativi sulle comunità locali e sulla fauna selvatica, con conseguente ulteriore proliferazione del bracconaggio (come ad esempio il Botswana).
Per quanto riguarda la fauna selvatica che sopravvive al di fuori (e anche all'interno) delle aree protette in Africa, le persone devono avere forti incentivi a tollerare, o idealmente condividere, la convivenza con essa. A questo proposito la caccia commerciale dà un significativo “valore di conservazione” ad ampie zone di terra: un minimo di 1,3 milioni di km quadrati nell'Africa sub-sahariana, che supera la superficie coperta dai parchi nazionali.