C'è anche la fauna selvatica tra le risorse su cui partire per il rilancio dell'economia degli Appennini in base ad una piattaforma lanciata da Slow Food. Un appunto sull'associazione fondata da Carlin Petrini, che si occupa di valorizzare il territorio attraverso le tipicità gastronomiche locali, occorre farlo. Non è una delle tante non profit italiane. E' stata capace di fare, oltre che dire. Suo il merito del ritorno alla ribalta di tantissimi prodotti quasi dimenticati. Gestisce e approva i migliori prodotti italiani, è in stata in grado di uscire dal nostro piccolo Paese ed esportare il concetto di prodotto di qualità in tutto il mondo, arrivando perfino a condizionare la Casa Bianca su stili di vita più consapevoli e rispettosi delle tradizioni. Tornando all'Appennino, tutto è partito nel 2013 con la convocazione delle Comunità locali in Emilia Romagna. A Marzo nel 2014 in Umbria è stato presentato il Manifesto con il quale si è inteso rilanciare la riscossa dell'Appennino, in termini di rinascita sociale ed economica dell'agricoltura e delle tradizioni. Infine nel 2015 c'è stata la convocazione degli Stati generali delle comunità dell'Appennino, che hanno visto la creazione di diversi gruppi tematici: Agricoltura, ambiente e paesaggio, Turismo sostenibile e infrastrutture, Ricerca e innovazione, Reti sociali, culturali e relazioni territoriali.
La fauna selvatica rientra a pieno titolo tra le tante risorse da valorizzare, in termini di carne ecosostenibile e ad impatto zero. Potrebbe essere servita nei ristoranti locali e nei negozi con il marchio di indicazione geografica tipica, il che corrisponde perfettamente a tutti i presupposti dei prodotti lanciati e protetti da slow food, che incentiva il consumo delle tipicità a km zero a condizione che rispettino l'ambiente e le tradizioni del posto.
Ciò che si legge nel documento programmatico di Slow Food, condiviso da Ministero dell'Ambiente, Parco delle Foreste Casentinesi, comunità locali e Regioni (Umbria Toscana, Emilia Romagna) corrisponde in effetti alle numerose riforme avviate in Italia sul fronte ungulati. Anzitutto Slow Food parla di una profonda revisione delle normative che regolano la caccia per agevolare l'avvio della filiera. Ma pensa anche ad un’indennità che compensi gli agricoltori per il costante fattore di rischio in cui si trovano, al rafforzamento delle sensibilità ambientali dei cacciatori, al miglioramento della legge 394 sui Parchi che consenta non l’intervento dei Parchi solo a riparare danni conclamanti, ma la prevenzione del danno attraverso rilevazioni e riequilibri specifici; infine anche alla formazione e valorizzazione di figure professionali che gestiscano la fauna selvatica, capaci di lavorare con i pianificatori delle risorse forestali e di quelle agricole.
“Come avviene per i raccoglitori di funghi, anche la presenza di cacciatori si traduce in risorsa economica per le popolazioni residenti (ricezione turistica e in generale utilizzo delle attività commerciali del territorio) - scrive Slow Food nel manifesto - tuttavia, a differenza di quel caso, in questo momento le attività venatorie non si sposano quasi mai alla corretta gestione delle risorse e solo in alcuni Paesi europei ed extraeuropei si coinvolgono i cacciatori in attività ambientalmente rilevanti”.
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