Riceviamo e pubblichiamo:
Affermazioni emotive e inadeguate. La gestione si attua di concerto fra gli enti preposti, come previsto dalla legge
A seguito dello scritto firmato da ENPA, apparso su Tusciaweb il 31/07/2016, la Federazione Italiana della Caccia Regionale del Lazio, associazione che è socia fondatrice di tutti i direttivi dei 10 Ambiti Territoriali di Caccia (Atc) del Lazio, si sente in diritto ma soprattutto in dovere di denunciare l’inadeguatezza, per dirla in modo elegante, delle affermazioni riportate da uno “scrivente anonimo”, di cui di più non è dato sapere. Scrive l’anonimo: “[…] ecco le misure che secondo la protezione animali andrebbero attuate anche ai sensi dell’art.19 della legge 157/92, il quale stabilisce che – prima di procedere ad inutili abbattimenti – l’Ispra ponga in essere metodi ecologici per la prevenzione e il controllo della specie, verificandone successivamente l’impatto sul territorio”. L’articolo 19 della 157/92 non parla di “inutili abbattimenti”, ma di Piani di abbattimento autorizzati da ISPRA quando l’istituto abbia verificato l’inefficacia dei metodi ecologici. I cosiddetti metodi ecologici vengono attuati dagli enti incaricati della gestione della fauna (Regioni, Province, Atc) e dagli agricoltori stessi, e non da ISPRA, come erroneamente riporta lo scrivente anonimo. Inoltre non è chiaro chi dovrebbe verificare il cosiddetto “impatto sul territorio”.
In relazione al paragrafo sui censimenti è necessario evidenziare che proprio ISPRA, istituto grazie al quale grandi passi sono stati fatti verso una gestione responsabile della fauna, ha più volte evidenziato che le difficoltà di conoscere il numero degli effettivi di una popolazione di cinghiali, rende necessario approcciare alla gestione attraverso altri sistemi di verifica dell’efficienza dei Piani di controllo, ad esempio utilizzando come parametro di valutazione la riduzione effettiva degli impatti (danni, incidenti stradali).
Gli studi ci sono e sono pluriennali, condotti da enti di ricerca e non, come ad esempio le aree protette, che ormai in modo diffuso sul territorio laziale, vista l’inefficacia della prevenzione attuata (?), procedono alla cattura dei cinghiali e alla loro vendita a utilizzatori finali, soprattutto Istituti di caccia privati, come peraltro previsto dalla recente DGR del Lazio 676/2015.
Se è vero che in passato gli enti preposti alla gestione della fauna, Province e Atc, effettuarono ripopolamenti con i cinghiali, è altrettanto evidente che tale pratica è alla berlina ormai da tempo, fino ad arrivare al “collegato ambientale” alla Legge di stabilità 2015 che ne vieta esplicitamente il ripopolamento.
In relazione a quanto scritto a proposito degli allevamenti di cinghiali e di suini allo stato brado si concorda sulla necessità di verifiche sulla correttezza amministrativa e gestionale di tali forme di economia agricola, pur sottolineando, però, che essi possono rappresentare una fonte di reddito dell’imprenditore zootecnico che non può essere vietata aprioristicamente.
In relazione alla vendita di cinghiali vivi si ricorda che essa è attuata in primis da chi cattura, dunque le aree protette regionali, che hanno identificato una possibile fonte di reddito e di riduzione degli impatti che non sono solo economici ma anche ecologici.
Il problema evidenziato della cattiva gestione dei rifiuti è estremamente rilevante al fine di ridurre le popolazioni di specie problematiche, in particolare corvidi, laridi e volpi, ma non certo i cinghiali la cui proliferazione è legata a ben altri fenomeni. In particolare l’aumento di spazi idonei, con il bosco che ha visto raddoppiare la sua superfice negli ultimi 50 anni, e di risorse trofiche disponibili per il cinghiale, ha innescato la crescita numerica della specie, che poi ha trovato nelle aree non gestite correttamente il volano per la sua esplosione. In letteratura scientifica, vengono descritti in modo esaustivo i cosiddetti “effetto rifugio” ed “effetto spugna” a causa dei quali i cinghiali limitano le perdite durante il periodo di attività venatoria. Il caso dell’Arcionello è evidentemente derivante da questi fenomeni.
Per quanto concerne l’informazione riteniamo che sono a disposizione dei portatori di interesse tutti, dai cacciatori agli agricoltori, numerose pubblicazioni, articoli divulgativi oltre a momenti di confronto anche internazionale sulla tematica specifica, tenuti da Enti di ricerca o dalle aree protette (corsi di formazione per selecontrollori del parco secondo quanto previsto dalla Legge su Parchi 394/91). Recente è l’incontro che si è svolto all’Università della Tuscia. Purtroppo però la cattiva informazione provoca spesso disinformazione, soprattutto quando faziosa ed evidentemente miserrima.
Sulla sicurezza stradale, pur restando fondamentali il rispetto delle norme e il buon senso, ci sentiamo di evidenziare che l’aumento del numero degli animali non può che portare ad un aumento della frequenza degli incidenti. E’ una semplice quanto scomoda verità statistica. Un riequilibrio, anche in questo caso, basato sulla riduzione degli effettivi, è l’unico strumento reale di contenimento del fenomeno incidenti stradali. I decantati sistemi ipertecnologici rappresentano valide eccezioni, ma tali restano; basta verificarne l’efficienza e la diffusione.
Gli strumenti di prevenzione dei danni, recinzioni elettriche e quant’altro, rappresentano sicuramente un valido strumento che può contribuire alla riduzione degli impatti. Spesso però essi spostano il problema su altre aree sensibili, aumentando la mobilità della specie. È necessario ricordare, inoltre, che non sempre sono utilizzabili a causa delle estensioni delle coltivazioni e dell’orografia accidentata del terreno.
Sulla inutilità della caccia per la riduzione dei problemi ricordiamo che sono diverse decine di migliaia i cinghiali prelevati durante la normale stagione venatoria con i metodi tradizionali. Possiamo concordare sulla necessità di integrare a tale forma di prelievo tecniche moderne, come la caccia di selezione e la girata, che per loro natura possono essere utilizzate anche in controllo, nelle aree normalmente precluse all’attività venatoria. La caccia di selezione infatti rappresenta una valida alternativa, a bassissimo impatto, così come indicato da ISPRA e verificato anche in sede di Valutazione di incidenza dei Piani di selezione.
È questa la necessità impellente: gestire la specie su tutto il territorio: Atc, aree protette, istituti privati, coordinando gli interventi facendo sistema. Questo è previsto dalle leggi vigenti, indicato da ISPRA e posto in essere, in via embrionale ma esistente, dalle aree protette e nell’Atc: si tratta solo di trasformare lo straordinario in ordinario.
Quindi ciò che viene dichiarato in forma emozionale e imprecisa nello “scritto” dall’ENPA è da stigmatizzare come fazioso e scorretto, soprattutto in un’ottica moderna di gestione del territorio seria ed efficace, che vede i responsabili della gestione – Regione, Atc, aree protette – solidali e collaborativi…. O forse è questo che non si vuole?
Roma, 2 agosto 2016
Ufficio Stampa Federcaccia Lazio